giovedì, Novembre 6, 2025

GLS promette di ridurre il proprio impatto sul clima e incappa in una sanzione per greenwashing

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato boccia l’iniziativa ‘Climate Protect” come greenwashing e multa GLS per 8 milioni di euro

Daniele Di Stefano
Daniele Di Stefano
Giornalista ambientale, redattore di EconomiaCircolare.com e socio della cooperativa Editrice Circolare

GLS dovrà pagare 8 milioni di euro per greenwashing. Lo ha stabilito un provvedimento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM). Dopo una inchiesta focalizzata sull’iniziativa ‘Climate Protect” e dopo confronti con il gruppo logistico l’AGCM ha accertato “che l’iniziativa di sostenibilità ambientale ‘Climate Protect”, con cui Gls – gruppo importante e noto – ha costruito la propria immagine green è stata organizzata, finanziata e comunicata senza la trasparenza, il rigore e la diligenza richiesti ad operatori di un settore molto inquinante, quale quello della spedizione, trasporto e consegna di merci”. Interessate della sanzione sono la società General Logistics Systems Enterprise S.r.l., General Logistics Systems Italy S.p.A. nonché a General Logistics Systems B.V., che “hanno concorso a diverso titolo alla realizzazione della pratica, traendone uno specifico e diretto vantaggio economico e/o commerciale”.

Come in un plot ben riuscito, il caso mescola ingredienti classici del greenwashing – dalla confusione tra compensazione e riduzione delle emissioni climalteranti alla vaghezza delle affermazioni ambientali – a stereotipi narrativi legati a personaggi di dubbia moralità, come fare la voce grossa coi più deboli o prendersi i meriti di cose fatte da altri.

Per questo, per fuggire la tentazione di cedere ad una vena romanzesca, mi atterrò alla lettera del giudizio dell’AGCM.

Oggetto della multa, il progetto “Climate Protect”

Credo tutti sappiamo chi è GLS. Ce lo dicono i furgoni che vediamo girare nelle strade delle città e probabilmente anche la nostra esperienza personale di fruitori dei servizi di spedizione: GLS è un gruppo attivo in tutto il mondo nel trasporto merci, che nel 2023 ha realizzato un fatturato di 5,6 miliardi di euro.

A far inciampare GLS è stata la “realizzazione e promozione” – due aspetti distinti ovviamente, ma entrambi interessati dal giudizio del garante – del progetto “Climate Protect”. Il progetto viene adottato nell’aprile del 2021 da GLS BV, a capo del Gruppo GLS, per favorire iniziative di sostenibilità ambientale.
Nel pacchetto troviamo l’utilizzo di energia “verde” nelle strutture di GLS e di veicoli per le consegne “a zero emissioni”, la realizzazione di edifici secondo elevati standard di sostenibilità, attività di calcolo e compensazione delle emissioni di CO2 prodotte dal gruppo. La compensazione delle emissioni, per la quale GLS si è affidata a alla società Climate Partner, “fa riferimento al quantitativo di anidride carbonica che le società del Gruppo non possono evitare di emettere nell’atmosfera nello svolgimento della propria attività”.

Ai fini della compensazione, le emissioni di CO2 prodotte dal Network GLS IT a partire dall’aprile del 2022 comprendono sia le emissioni che riguardano edifici, rifiuti, consumi e viaggi di lavoro (cosiddette Scope 1 Scope 2, secondo le classificazioni del Greenhouse Gas Protocol Standard), sia le emissioni relative al trasporto delle spedizioni (Scope 3) incluse quelle dei franchisee. Dai dati interni alle Società emerge che il 95% delle emissioni di CO2 del Network GLS IT deriva dalle attività di trasporto.

Nel settembre 2022 tutto questo atterra nel sito internet italiano di GLS, in cui viene “pubblicizzato il progetto Climate Protect e, conseguentemente, l’immagine di GLS come azienda caratterizzata dall’impegno ambientale, con l’“ambizione” di raggiungere la neutralità climatica entro il 2045/50”, spiega il garante.

I risultati dell’indagine

Prima di scendere nei dettagli dall’analisi svolta dell’AGCM, sintetizzo qui i principali risultati, che riguardano comunicazioni e pubblicità rivolte non solo ai propri clienti, ma più in generale ai consumatori e agli affiliati che affiancano il gruppo nei viaggi di consegna. “Le iniziative di sostenibilità ambientale realizzate dal Gruppo GLS nel periodo oggetto di istruttoria sono state organizzate, finanziate e comunicate in assenza della trasparenza, del rigore e della diligenza che compete ad un operatore di un settore altamente inquinante, avente le caratteristiche dimensionali di GLS”, si legge nel documento dell’autorità. Che, partendo da “fatti inconfutabili”, definisce le condotte del gruppo come “gravi fenomeni di greenwashing nella misura in cui hanno generato importanti ambiguità sull’entità e sui benefici delle iniziative realizzate”. E che qualifica la pratica commerciale oggetto dell’istruttoria come “caratterizzata da profili di ingannevolezza e di aggressività” e volta a garantire al gruppo GLS “un’immagine green amplificata rispetto a quella risultata supportata dalle evidenze e ad evitare di sopportarne i relativi oneri”.  

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I dettagli 

Punto per punto, ecco cosa ha appurato l’Autorità.

Ambiguità dei claims. Secondo l’AGCM, le società oggetto dell’indagine hanno utilizzato “claims generici ed ambigui” in riferimento ad obiettivi ambientali raggiunti solo in parte: “100% energia verde nelle nostre strutture”, “Veicoli per le consegne a zero emissioni” e “Edifici realizzati secondo elevati standard di sostenibilità”). L’autorità punta il dito contro il fatto che le informazioni di dettaglio che dovrebbero sostenere queste affermazioni (il condizionale è d’obbligo, visto che in alcuni casi i dati sono risultati “non corretti”) sono state rese disponibili a chi legge il claim “solo in un momento successivo”: “Le percentuali degli obiettivi raggiunti sono state riportate solo dopo numerosi scroll della pagina e, in alcuni casi, tali percentuali non sono risultate corrette”. Ad esempio “la percentuale del 24% di ‘mezzi di linea’ alimentati con LNG (gas naturale liquefatto, ndr) è risultata non confermata dai dati forniti”. E anche le scelta terminologica è poco trasparente: “Non viene chiarito che i “mezzi di linea” sono solo una parte del complessivo parco veicoli utilizzato da GLS per le spedizioni, rispetto al quale la percentuale di mezzi alimentati con LNG scende drasticamente all’1,9% (rispetto al 24% indicato nel claim)”.

GLS greenwashing
Fonte: AGCM

Confusione tra compensazione e riduzione. I concetti di “riduzione” delle emissioni (emettere ed inquinare meno) e “compensazione” (sostenere economicamente progetti di afforestazione o riforestazione che assorbono una corrispondente quantità di emissioni climalteranti) “sono stati utilizzati in modo fuorviante, così da lasciar intendere che le iniziative di compensazione fossero idonee ad incidere direttamente sull’impatto ambientale dei servizi offerti dal Gruppo GLS”. Ad esempio, quando si descrivono le modalità di “compensazione” si richiama l’“utilizzo” di energia da fonti rinnovabili che, invece, attiene evidentemente all’attività di “riduzione”.

 
GLS greenwashing
Fonte: AGCM

Ambiguità sui certificati di compensazione. I green claims sul sito italiano di GLS “presentavano significative lacune ed ambiguità, in particolare rispetto all’asserita disponibilità di un certificato di compensazione delle emissioni di CO2, che al momento dell’avvio (del progetto, ndr) non era posseduto”. Le società di logistica hanno infatti lasciato intendere che la certificazione della compensazione fosse stata già ottenuta al momento della pubblicazione del claim.

GLS greenwashing
Fonte: AGCM

Metodo di calcolo delle emissioni inadatto. Anche il modo in cui è stato calcolato l’ammontare della CO2 da compensare è scorretto. Scrive l’Autorità garante della concorrenza e del mercato: “Le quantità di emissioni compensate indicate nelle certificazioni ‘nominali’ (quelle rilasciate ai clienti o alle imprese collaboratrici, ndr) sono state calcolate attraverso una metodologia risultata inidonea a garantirne la corrispondenza con le emissioni effettivamente riconducibili agli affiliati e ai clienti”.

Il calcolo del quantitativo delle emissioni da compensare è stato effettuato, come spiega l’AGCM, attraverso l’utilizzo del “valore CO2/pacco” del Paese, ottenuto “suddividendo le emissioni totali riconducibili alle spedizioni effettuate in ciascun Paese per il numero di spedizioni effettuate in quel Paese in un dato arco temporale. Si tratta, dunque, come già sopra esposto, di un valore medio calcolato su scala nazionale”. Metodo che ovviamente, porta con sé tutti i limiti della media del pollo di Trilussa. Un dato medio nazionale, rileva l’autority, è “inattendibile laddove impiegato per calcolare e certificare le compensazioni delle emissioni effettivamente riconducibili ai singoli franchisee operanti in Italia, i quali hanno caratteristiche operative (tipologie di veicoli, distanze percorse, etc.) diverse l’uno dall’altro, che non possono dirsi riflesse nel ‘valore CO2/pacco’ del Paese”. Per essere ancora più chiari: “In definitiva, con l’impiego di tale metodo, due franchisee con caratteristiche diverse (es. distanze percorse per le spedizioni o tipologie di veicoli utilizzati), a parità di numero di spedizioni, possono ricevere certificati con lo stesso quantitativo di CO2 compensata, proprio a causa dell’improprio utilizzo del valore CO2/pacco nazionale alle loro spedizioni, anche se il loro impatto ambientale differisce”.

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Vantarsi del lavoro degli altri e prendersela coi più piccoli. Le società, secondo l’AGCM, “hanno affermato o lasciato intendere ai propri clienti, consumatori e affiliati, contrariamente al vero, che avrebbero esse stesse effettuato investimenti per sostenere iniziative di compensazione e riduzione”. Investimenti che invece sono stati “interamente coperti con i proventi derivati dal ‘contributo’ Climate Protect’”. “Contributo” sui generis, visto che non si è trattato di una scelta opzionale ma di un pagamento “imposto ai clienti abbonati aventi minore forza contrattuale, in cambio di un servizio non richiesto (il certificato nominale)”. Mentre ai clienti di maggiori dimensioni (Top Client) il sostengo al progetto non è stato richiesto. Inoltre GLS, che come riferito aveva lasciato intendere che si sarebbe fatta carico di parte delle compensazioni, non solo non avrebbe speso niente, ma da questa campagna avrebbe addirittura guadagnato. Gli importi richiesti ai clienti a titolo di “contributo” per Climate Protect, infatti, sono stati “solo parzialmente utilizzati per le attività per le quali erano stati richiesti”. All’AGCM risulta infatti che i soldi arrivati dai contributi sono stati “più che 4 volte superiori alle spese sostenute per coprire i costi di tutte le iniziative di compensazione riconducibili al Network GLS IT”. Né GLS ha saputo dimostrare che il resto dei denari sia stato utilizzato per attività di riduzione delle emissioni. Per questo l’ACGM afferma che il gruppo ha “costruito la propria immagine di società attenta alle responsabilità ambientali, non solo ribaltando sui clienti dotati di minore forza contrattuale tutti gli oneri delle pratiche di sostenibilità realizzate, ma addirittura traendo profitto dal Programma Climate Protect, al punto che le finalità commerciali connesse a tale Programma possono ritenersi esser state prevalenti rispetto a quelle di sostenibilità ambientale, così contribuendo ad attribuire opacità e ambiguità al programma”.

Sovvertito il principio “chi inquina paga”. Come ho scritto, GLS ha preteso i contributi solo dalle imprese più piccole, esentando (in una sorta di capovolgimento dei principi di giustizia che vorrebbero che più ha più paghi) i clienti di maggiori dimensioni. Un fatto che, nota l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, “sovverte il tradizionale principio del ‘chi più inquina più paga’”.

Un software amico del clima? Per giustificare che parte dei fondi raccolti e non utilizzati per la compensazione fossero almeno serviti alla riduzione, GLS ha sostenuto “la finalità ambientale anche di investimenti come l’acquisto di un software gestionale per i navigatori degli autisti”. Quel software, infatti “permetterebbe di ottimizzare i percorsi, riducendo distanze e consumo di carburante, e quindi le emissioni di anidride carbonica”. È vero che un software può ottimizzare i percorsi e in questo modo ridurre i consumi e le emissioni. Ma non basta, secondo l’AGCM. Perché le riduzioni “devono essere adeguatamente dimostrate”. GLS dovrebbe “essere in grado di produrre dati e documentazione che attestino, inequivocabilmente e senza margini di opinabilità, la correttezza delle affermazioni diffuse” relativamente alla riduzione dei consumi. È necessario che il gruppo “dimostri di aver effettuato una valutazione d’impatto che quantifichi effettivamente la CO2 che grazie ad esso sarebbe possibile risparmiare, rispetto al sistema di navigazione precedentemente utilizzato”. Una affermazione generica, anche in questo caso, serve a poco.

GLS greenwashing
Fonte: AGCM

Mancanza di un piano per gestire i fondi. L’AGMC denuncia anche “un significativo deficit di trasparenza” nel programma legata al fatto che GLS non avesse pianificato come investire i fondi che avrebbe raccolto: “L’assenza di un piano preventivo comporta, inoltre, che la misura del contributo Climate Protect applicato ai clienti sia stata determinata sulla base di criteri per nulla riconducibili alle azioni di compensazione e riduzione delle emissioni”.

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Perché nella logistica il greenwashing è più dannoso

Non tutto il greenwashing è uguale, riflette l’Autorità. Le asserzioni ambientalistiche false, ambigue o fuorvianti “sono tanto più nocive per il corretto dispiegarsi dei rapporti di consumo e delle dinamiche di mercato quanto maggiore è l’impatto ambientale delle attività svolte dall’impresa che ricorre a siffatte asserzioni e quanto maggiore è la sua dimensione e la sua notorietà”.  Se a ricorrere claim ambientali scorretti sono imprese di grandi dimensioni che fanno affari con attività molto inquinanti – come l’estrazione di idrocarburi, ad esempio – la scorrettezza sarà più grave. E l’autorità ricorda che “il trasporto delle merci è uno dei settori economici maggiormente inquinanti, che richiede particolare rigore e accuratezza alle imprese che vi operano e che decidono di promuovere la propria attività facendo leva sulle proprie iniziative di sostenibilità ambientale (cosiddetto green appeal)”.

Pratiche sleali concluse?

Vi abbiamo raccontato fatti che – a meno di eventuali ricorsi, di cui al momento non si hanno notizie – l’Autorità garante della concorrenza e del mercato ha giudicato come pratica commerciale scorretta ai sensi degli articoli 20, 21, 22 e 26, lettera f), del Codice del consumo”. Vietandone “la diffusione o continuazione”.

Veniamo alla questione tempo allora. “Per quanto riguarda la durata della violazione – scriveva l’AGCM ai primi di febbraio – dagli elementi disponibili in atti risulta che la pratica commerciale sia stata posta in essere almeno dal 28 aprile 2022, ed è ancora in corso”. Infatti “risultano essere stati rimossi dal sito web di GLS solo le asserzioni ambientali contenute nella sezione descrittiva delle percentuali degli obiettivi ambientali raggiunti, mentre permangono gli altri claim ambientalistici di cui è stata accertata la scorrettezza”. 

La decisione dell’autorità prevede che le società “comunichino all’Autorità, entro il termine di sessanta giorni dalla notifica del provvedimento, le iniziative assunte in ottemperanza alla diffida” ricevuta.

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Il greenwashing funziona (purtroppo)

Aggiornamento del 30 aprile 2025

A ricordarci una volta di più l’importanza di norme a tutela del consumatori e delle imprese corrette, e di formazione per i comunicatori, arriva uno  studio condotto due ricercatori dell’Università Ca’ Foscari di Venezia che ha indagato la vulnerabilità dei responsabili acquisti (purchasing managers) al fenomeno del greenwashing, e ha scoperto che il greenwashing funziona, anche quando a leggere le etichette e le affermazioni ambientali fuorvianti sono degli esperti.  

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