giovedì, Novembre 6, 2025

In Circolo

Il Green Public Procurement per ridurre la plastica nella pubblica amministrazione

Il green public procurement, vale a dire gli acquisti "verdi" o sostenibili da parte della pubblica amministrazione, è una strategia efficace contro l’inquinamento da plastica. Alcune buone pratiche provenienti dall'Europa indicano la via, ma ci sono criteri tecnici da rispettare e serve la formazione del personale

Tiziano Rugi
Tiziano Rugi
Giornalista, collaboratore di EconomiaCircolare.com, si è occupato per anni di cronaca locale per il quotidiano Il Tirreno Ha collaborato con La Repubblica, l’agenzia stampa Adnkronos e la rivista musicale Il Mucchio Selvaggio. Attualmente scrive per il blog minima&moralia, dove si occupa di recensioni di libri. Ha collaborato con la casa editrice il Saggiatore e con Round Robin editrice, per la quale ha scritto il libro "Bergamo anno zero"

Il green public procurement può essere uno strumento decisivo contro l’inquinamento da plastica: le pubbliche amministrazioni, infatti, hanno il potenziale di ridurre gli impatti ambientali orientando gli acquisti verso beni caratterizzati da un minor consumo di plastica, fino a vietare l’acquisto di plastica monouso oppure realizzati con un contenuto minimo di plastica riciclata o, ancora meglio, verso beni riutilizzati. Gli appalti pubblici, inoltre, hanno una forza tale da incidere sul mercato e possono spingere le aziende verso design più sostenibili e a ridurre la presenza delle plastiche problematiche, come quelle non riciclabili.

Si è discusso di questo nel webinar organizzato dal GPP Helpdesk della Commissione europea, il servizio di Bruxelles per rispondere alle domande concrete sui procedimenti di green public procurement. Nel corso del webinar, oltre a una panoramica delle funzionalità del GPP Helpdesk, si è parlato del quadro legislativo europeo e di come armonizzarlo con le priorità nazionali e con le sperimentazioni locali; inoltre si sono esaminate buone pratiche dai Paesi Bassi, dalla Francia e dalla Finlandia, per arrivare alla conclusione che anche nel green public procurement la stella polare è sempre e comunque dare la priorità ai principi della riduzione dei rifiuti e del riutilizzo.

Lo impongono i numeri: “Sappiamo che circa 40 milioni di tonnellate di plastica sono prodotte al mondo ogni anno. Circa il 12% dei rifiuti plastici sono inceneriti e solo il 9% sono riciclati, mentre tre quarti di tutta la plastica finora prodotta è già diventata rifiuto”, ha esordito Helena O’Rouke-Potocki, di ICLEI Europe e moderatrice dell’evento. Ogni anno circa 11 milioni di tonnellate di plastica finiscono nell’ambiente, con gravi conseguenze: “I rifiuti che non sono riciclati entrano negli oceani e negli ecosistemi e causano inquinamento o problemi per la salute umana, perché parliamo di interferenti endocrini”, ha spiegato.

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Le plastiche problematiche e cosa possono fare le PA

Mervyn Jones, del ministero delle Infrastrutture e delle Acque dei Paesi Bassi (Rijkswaterstaat), ha illustrato le sfide legate alle plastiche problematiche, come materiali non riciclabili, design che ne ostacolano il recupero o articoli soggetti a dispersione nell’ambiente. “Solo perché qualcosa è dichiarato riciclabile non significa che lo sia effettivamente nel luogo in cui vi trovate”, ha ammonito, ricordando la necessità di verificare le infrastrutture locali e di capire a fondo il ciclo di vita della plastica.

 Green Public Procurement

In particolare, “le criticità derivano da materiali rari o non trattabili, da oggetti troppo piccoli come i bastoncini per mescolare le bevande, vaschette monodose o da problemi di design nei prodotti”, ha spiegato Jones. A complicare il quadro ci sono anche lacune informative (“cosa è plastica compostabile e cosa non lo è”) e i rischi di sostituzioni ingannevoli. “Non vogliamo sostituire qualcosa che è 100% riciclabile con qualcosa che non lo è”, ha ribadito, citando l’esempio dei bicchieri di carta con rivestimento plastico. Il pericolo da scongiurare anche nel GPP, dunque, è “la mancanza di trasparenza sugli imballaggi e sulle plastiche”.

Queste criticità possono essere superate con una serie di azioni: evitare prodotti non necessari, ottimizzare l’uso delle risorse esistenti, prolungare la durata dei prodotti attraverso la riparazione e la rigenerazione e chiudere i cicli con il riciclo e la sostituzione di materiali vergini. Questo, in sede di green public procurement, è possibile già nella fase iniziale del bando di gara (c.d. pre-tender): eliminare l’uso di plastiche problematiche o superflue in tutti gli acquisti, ridurre il consumo complessivo e la plastica associata, e favorire da subito il riutilizzo, passando da modelli monouso a sistemi riutilizzabili quando possibile.

Durante la tender phase, quando le aziende presentano le loro offerte, sono fondamentali il dialogo con il mercato e i fornitori, per identificare materiali che possono essere evitati o sostituiti, e la definizione di criteri adeguati e proporzionati al soggetto dell’appalto. È inoltre importante garantire la verifica delle dichiarazioni attraverso standard ed etichette ecologiche riconosciute, assicurando trasparenza e affidabilità delle informazioni. Infine, nella fase post-tender, non basta inserire clausole contrattuali. “Dobbiamo assicurarci che ciò sia seguito nella performance, nelle azioni effettive del fornitore”, ha spiegato Mervyn Jones, attraverso monitoraggio, formazione e KPI mirati.

Leggi anche: Acquisti verdi, cosa sono e perché sono così importanti

Green public procurement: l’esempio francese

Un esempio concreto di come le leggi nazionali possano indirizzare gli acquisti verdi della pubblica amministrazione è il caso francese, illustrato da Marlene Weber, del ministero della Transizione ecologica francese. La Francia è stata pioniera nel rafforzare le norme sugli acquisti sostenibili. “In Francia negli ultimi anni abbiamo elaborato un framework normativo per gli appalti pubblici sostenibili e alcuni degli ultimi decreti hanno rinforzato gli obblighi per i committenti pubblici”, ha spiegato.

Tra i punti chiave, il divieto di bottiglie di plastica nelle scuole dal 2020 e nelle mense universitarie e aziendali dal 2025. La Francia, inoltre, nell’articolo 58 della legge anti-sprechi ha introdotto criteri obbligatori che impongono agli acquirenti pubblici di includere il 20-40% di contenuto riutilizzato o riciclato in diciassette categorie di prodotti come tessuti, mobili per ufficio e veicoli, con un’ulteriore espansione prevista entro il 2030. Tra gli altri obblighi settoriali, Weber ha citato quello di installare distributori di acqua potabile negli esercizi aperti al pubblico. Inoltre, gli acquirenti pubblici devono dichiarare ogni anno la quantità di acquisti di prodotti riutilizzati e riciclati su un sito del ministero.

L’obiettivo è rafforzare progressivamente le norme. “Entro il 2026 tutti i contratti pubblici dovranno integrare criteri ambientali. In concreto, questo obbligo si applica sia alle specifiche tecniche e ai criteri di aggiudicazione, sia alle condizioni di esecuzione del contratto. È previsto inoltre un analogo obbligo per gli aspetti sociali”, ha spiegato. Per arrivare all’attuale legge, ha ricordato Weber “il ministero ha condotto indagini presso i committenti pubblici, per capire come l’obbligo fosse applicato, e parallelamente presso i fornitori, per valutare il grado di adattamento dell’offerta alla nuova domanda e le opportunità economiche che essa può generare”.

Un altro aspetto fondamentale è il sostegno ai funzionari pubblici per favorire il GPP. Il Green Help Desk è un servizio di consulenza gratuita attivo in dodici regioni francesi, che assiste gli acquirenti pubblici nell’integrazione di criteri ambientali, in collaborazione con il Ministero della Transizione Ecologica. È stato inoltre sviluppato un corso gratuitosugli appalti sostenibili, aperto a chiunque comprenda il francese, e avviato un programma di sostegno per i piani locali di acquisti sostenibili, obbligatori per i grandi acquirenti. Documentazione, eventi, corsi e strumenti pratici sono raccolti in un portale governativo.

Leggi anche: La conversione ecologica degli appalti pubblici, il GPP tra potenzialità e nodi da sciogliere

La plastica nell’edilizia: la best practice di Espoo in Finlandia

In Finlandia, la città di Espoo ha condiviso nuovi criteri di appalto per le materie plastiche da costruzione, elaborati attraverso un ampio dialogo di mercato con l’industria, i gestori dei rifiuti e la società civile. “Abbiamo realizzato i criteri di appalti pubblici per i materiali plastici e in particolare per il film di plastica che è usato per il packaging del materiale di costruzione”, ha raccontato Tuuri Tiia, funzionaria comunale di Espoo, la seconda città per popolazione della Finlandia. “Nei cantieri edili entra una grande quantità di plastica e si genera molto scarto. Se questo rifiuto venisse raccolto separatamente, in particolare il film plastico utilizzato per gli imballaggi dei materiali – un rifiuto piuttosto pulito e facilmente riutilizzabile –, potrebbe essere avviato al riciclo meccanico e trasformato in nuova plastica riciclata per la produzione industriale”.

GPP

Questi criteri, strutturati sia a livello “base” che “pionieristico”, mirano a ridurre la plastica monouso nei cantieri edili e sono già accessibili ai cittadini finlandesi: “I criteri più importanti da includere nei progetti di costruzione sono l’obbligo di raccolta separata dei film plastici e la raccolta e rendicontazione dei dati sul loro tasso di riciclo e utilizzo. La plastica è generalmente leggera, quindi nelle costruzioni ci si concentra spesso sui materiali più pesanti come cemento e metallo. Per questo è fondamentale considerare specificamente la plastica nei requisiti di progetto. Inoltre, dovrebbero essere stabiliti requisiti per l’utilizzo di materiale riciclato proveniente dai film plastici impiegati in cantiere per imballaggi o protezioni. Infine, un criterio più generale permette di selezionare obiettivi specifici negli appalti per incrementare il riciclo della plastica, in linea con il Green Deal”.

La sorpresa positiva nel dialogo con le imprese è stata che “la raccolta separata dei film plastici non comporta costi aggiuntivi per l’azienda: includere requisiti più rigorosi negli appalti risulta quindi neutrale dal punto di vista economico e non comporta rischi finanziari”: perciò “le aziende più avanzate vogliono davvero che il cliente formuli requisiti rigorosi, perché questo sostiene il loro business e apporta benefici, visto che già adottano tali pratiche”, ha concluso la funzionaria comunale di Espoo.

Armonizzare la legislazione europea con quelle nazionali

La discussione si è poi spostata sulla coerenza tra direttive UE e normative nazionali e locali. Dal lato della Commissione, è stato riconosciuto che raccogliere le esperienze locali e trasformarle in norme comuni è complicato, ma si sta lavorando per introdurre requisiti minimi obbligatori negli appalti, già previsti in regolamenti come ecodesign, packaging e Net Zero Industry Act. Come ha concluso Ivan Azevedo, della Direzione generale dell’Ambiente della Commissione “essere ambiziosi a livello di Unione ma al tempo stesso dare flessibilità agli acquirenti locali è la sfida che dobbiamo affrontare nel prossimo futuro”.

La coerenza legislativa deve essere, inoltre, accompagnata da un’adeguata formazione del personale, come ha ricordato Tuuri Tiia. “Chi prepara le gare d’appalto deve conoscere cosa prevede la legislazione attuale e cosa sia possibile fare”, dato che il contesto normativo cambia molto rapidamente. Un aspetto su cui l’Italia dovrebbe concentrarsi con particolare attenzione. È recente, infatti, un rapporto di Legambiente sugli appalti verdi, in cui tra i principali ostacoli per la loro diffusione nel nostro Paese si elencano proprio la difficoltà nella stesura dei documenti di gara e la carenza di formazione nel personale.

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