Avrete letto tutti dell’inceneritore di Copenaghen. Quello con le piste da sci, per capirci. Ne avrete letto tutti perché ogni volta che si parla di inceneritori e termovalorizzatori (la Crusca ci dice che a livello linguistico che c’è poca differenza) viene tirato in ballo, fosse pure con una foto (e noi non ci sottraiamo), l’inceneritore di Copenaghen. Cos’ha di speciale questo impianto? Perché non si può fare a meno di citarlo? Ne abbiamo parlato con Tommaso Luzzati, economista e docente di Economia Ecologica all’Università di Pisa, che di questo impianto ha scritto.
Professore, eccoci qui anche noi a parlare dell’inceneritore di Copenaghen. Al netto dei risultati ambientali ed economici dell’impianto, si tratta senza dubbio di un successo dal punto di vista del marketing, non trova? Come mai secondo lei?
Gli inceneritori hanno sempre sollevato critiche per l’emissione di inquinanti, in particolare diossine, quindi l’aspetto tecnologico negli anni ha attratto l’attenzione, il profilo della sicurezza degli impianti per la salute pubblica è diventato centrale. Oggi questi impianti sono molto migliori che in passato. Sono migliori se, ovviamente, vengono seguiti i criteri ottimali di gestione – che spesso contrastano coi quelli ottimali dal punto di vista economico. Penso che sia questo il motivo del successo dell’impianto di Copenaghen, come di quello di Vienna, d’altra parte: questi due impianti, almeno sulla carta, hanno impatti limitati. Sono risultati che attraggono l’attenzione dell’opinione pubblica e dei media. E poi sono belle costruzioni.
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I danesi condividono lo stesso entusiasmo dei media italiani?
Onestamente non so cosa ne pensino i danesi e gli abitanti di Copenaghen, ma so che la Danimarca, qualche anno fa, ha predisposto un piano per ridurre drasticamente il numero di inceneritori. Un taglio del 30%. Si sono accorti che inceneriscono troppo, che questa politica non è appropriata. E quindi hanno adottato una strategia diversa nella gestione dei rifiuti. Il piano danese è recente, eppure queste cose si sapevano da tempo.
Ci spieghi.
Dal 2008 la direttiva quadro sui rifiuti sancisce chiaramente qual è la gerarchia. Una gerarchia in cui la discarica viene per ultima, ma di certo l’incenerimento non viene al primo posto. Al primo posto c’è la prevenzione. Incenerimento è una delle soluzioni peggiori, sta quasi in fondo alla gerarchia sancita già nel 2008. Insomma, almeno da allora, sappiamo che bruciare i rifiuti dovrebbe essere una delle ultime opzioni. Con una metafora, pulire è più faticoso che evitare di sporcare, questa è la logica che usiamo a casa: prevenire evita lavoro e fatica inutile …
E poi non dimentichiamo che quando si bruciano i rifiuti restano, come è noto, altri rifiuti: rifiuti speciali ancora più difficili da smaltire.
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Eppure parrebbe che la termovalorizzazione non influisca sui buoni risultati del riciclo.
Il tema è annoso. Voglio ricordare a proposito ii paradosso di Braess: allargare le strade, o aumentarne il numero, non risolve il problema del traffico, anzi lo aggrava, perché strade più grandi attraggono più traffico. Nel brevissimo periodo, si ottiene una maggiore scorrevolezza nel traffico. Poi però le persone usano più la macchina e meno i mezzi pubblici e si crea un circolo vizioso: alla fine l’utilizzo dell’auto aumenta ad un punto tale che siamo daccapo. È una delle tante forme degli effetti rimbalzo.
Cosa c’entra il traffico con gli inceneritori, professore?
C’entra perché l’inceneritore è una comoda scorciatoia per gestire il problema rifiuti. Quando ero bambino avevo un’amica: facevamo merenda e invece di raccogliere le briciole con la scopa e la paletta, coi piedi le spingeva sotto l’armadio. L’inceneritore è un modo per fare un po’ così coi rifiuti, è un facile scorciatoia per scansare il problema. E per forza di cose ha un impatto su quantità e qualità del riciclo: l’incenerimento scoraggia la prevenzione. Se viene qualcuno a casa mia e mi fa sparire la monnezza … chi me lo fa fare a impegnarmi a ridurre i rifiuti che genero? Se poi questi rifiuti vengono gestiti tramite inceneritore, magari finisce che pure mi pagano. Indovini quale nazione genera più rifiuti urbani pro-capite?
Indovino: la Danimarca?
Esatto. La termovalorizzazione deresponsabilizza i consumatori e i produttori.
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Ma Milano, che ha a disposizione un impianto di incenerimento, è uno degli esempi virtuosi di raccolta e riciclo dei rifiuti.
Certo, ci sono amministrazioni brave, con ottimi risultati in termini di raccolta nonostante abbiano l’inceneritore. Poi non so da dove arrivano i rifiuti che brucia l’inceneritore di Milano.
A2A spiega che i rifiuti in ingresso all’impianto sono costituiti per il 95% dalla frazione residuale della raccolta differenziata nel Comune di Milano e nell’hinterland; dalla frazione secca da rifiuti urbani selezionata in altri impianti del gruppo o proveniente dal trattamento delle raccolte differenziate della città di Milano. Il rimanente 5% sono rifiuti speciali prodotti da attività commerciali e industriali presenti sul territorio provinciale. Tornando alla Danimarca: come mai questo ripensamento sulla politica dei rifiuti da parte della patria degli inceneritori?
Per quanto ne so, il tema è la scelta di arrivare a emissioni nette zero: per questo non vogliono bruciare più nulla, per non aggravare il bilancio di carbonio del Paese.
Qualcuno sostiene che quando si avvia un inceneritore la sostenibilità ambientale arriva, per importanza, dopo quella economica. Che i conti di chi gestisce l’impianto diventano più importanti del riciclo, per capirci. Lei che ne pensa?
Bruciare tanti rifiuti è una condizione essenziale affinché l’impianto di termovalorizzazione sia economicamente conveniente.
Poi c’è un aspetto talvoltatrascurato.
Prego.
Un impianto deve essere grande per funzionare bene. Per funzionare bene deve bruciare tanti rifiuti. E questi rifiuti vanno portati all’impianto. Se l’impianto è molto grande, quanta energia serve per portare tutti questi rifiuti? Quando si progetta un nuovo inceneritore si dovrebbe fare un’attenta valutazione anche da questo punto di vista
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Per concludere, non possiamo non accennare a Roma. Per la capitale si propone un impianto da 600.000 tonnellate di rifiuti l’anno (circa il 35% del totale di quelli prodotti oggi). E gli obiettivi europei fissano il riciclo degli urbani al 65% entro il 2035. Cosa ne pensa?
Il 35% mi pare elevato. È ammettere sin da subito una sconfitta. Posso capire un tasso del genere per qualche anno, come soluzione transitoria, emergenziale, ma non come obiettivo di lungo periodo. Un impianto ottimizzato per queste quantità opererebbe in condizioni non economiche qualora avessero successo politiche per la riduzione e il riciclaggio dei rifiuti. Si troverebbe o a dover importare rifiuti o a rinunciare alla sua economicità e bruciare meno rifiuti rispetto a quello che è il livello ottimale. Siamo disposti ad accettarlo? O, piuttosto, sarà inibito l’impegno per la riduzione e il riciclo. In definitiva, davvero conviene alla collettività sobbarcarsi elevati costi per una soluzione che non risolve la questione?
Da ultimo, penso che bruciare i rifiuti rappresenti un pessimo segnale per le aziende che si stanno muovendo verso l’economia circolare e che si nutrono di rifiuti da reimmettere nel ciclo produttivo. Non è che insieme ai rifiuti, gli inceneritori finiscono per mandare in fumo tanti nuovi posti di lavoro?
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