La giustizia ambientale ha un nuovo indice su scala globale. A definirlo è la ong Mani Tese, attraverso un lavoro realizzato grazie al contributo di Fondazione Cariplo e in collaborazione con Università degli Studi di Milano, Politecnico di Milano ed eNextGen. Lo strumento dell’indice di giustizia ambientale, nelle intenzioni di chi lo ha realizzato, serve a rendere “precisamente misurabile la complessa relazione tra diritti umani e sostenibilità ambientale” ed è stato pensato “per stimolare soprattutto le giovani generazioni a cambiare l’attuale modello di sviluppo, estrattivista e fonte di conflitti”.
L’indice è stato presentato lo scorso 2 aprile all’Università Statale di Milano insieme al primo rapporto periodico dedicato in particolare al comparto tessile, uno dei settori industriali più impattanti e su cui gravano i dazi recentemente imposti dal presidente USA Donald Trump, che però potrebbero diventare l’occasione per adottare pratiche circolari più estese.
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Metodo e fonti dell’indice di giustizia ambientale
Non sorprende che a creare l’indice di giustizia ambientale sia stata un’organizzazione non governativa come Mani Tese, che da oltre sessant’anni – è nata nel 1964 – si batte per la giustizia sociale, economica e ambientale nel mondo. Mani Tese opera in Africa, Asia e America Latina con progetti di cooperazione internazionale per sviluppare insieme alle comunità locali un’economia autonoma e sostenibile. In Italia l’ong promuove buone pratiche improntate alla solidarietà e sostenibilità, progetti d’inclusione sociale e di contrasto alle povertà educative, nonché iniziative di formazione per i giovani.

Affidandosi dunque a tale background, e dopo un lavoro lungo dieci anni, Mani Tese è approdato a un indice che è, prima di tutto, un lavoro di rete. Uno strumento che, secondo la descrizione della stessa ong, “ha permesso all’organizzazione di identificare indicatori appropriati, provenienti da fonti affidabili e open source, supportati da evidenze scientifiche riconosciute. A questo lavoro di raccolta è seguita l’analisi, attraverso una metodologia volta a garantire la validità e la rilevanza delle informazioni raccolte; la revisione e l’aggiornamento costante degli indicatori per permettere un calcolo valido, quindi per garantire che l’indice rifletta in modo dinamico l’evoluzione delle problematiche ambientali, nonché le esigenze di interpretazione e aggiornamento nel corso del tempo”.
L’indice ha una copertura globale e allo stesso tempo consente approfondimenti nazionali. La volontà, spiega ancora Mani Tese, era di “non fare tabula rasa delle ricerche precedenti ma puntando ad affinarle, includendo e dando valore ad ambiente, salute, diritti civili, relazioni internazionali. Un processo serio che ha previsto una fase di revisione e normalizzazione per evitare risultati dissonanti, per oltre 7.700 datapoint”.
All’indice si può accedere a questo link, mentre a quest’altro link si può scaricare il rapporto integrale, che al suo interno prevede un approfondimento dedicato al tessile.
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L’approfondimento sul tessile “tra giustizia sociale e ambientale”
A metà del rapporto sull’indice di giustizia ambientale, che ne descrive metodologia e dinamiche, si trova anche un interessante approfondimento tematico sul settore tessile. Per una ong come Mani Tese, attenta al sostegno verso gli ultimi, il punto di partenza è la Milano Fashion Week, che offre un racconto, grazie anche al supporto interessato dei giornali, gasato e iperproduttivo. Quando la realtà quotidiano del settore, invece, è molto più complessa.
“La capacità d’acquisto media è in costante diminuzione – si legge nel report – effetto diretto dell’inflazione e dei rincari energetici, il panorama economico internazionale è segnato da instabilità, guerre, crisi geopolitiche, che, inevitabilmente, rallentano la domanda nei mercati globali. Le incertezze economiche, unite a un clima di crescente austerità, stanno comunicando nuove esigenze di ripensamento dell’attuale modello di business”.

Nelle 40 pagine di analisi viene ripercorsa la storia del settore tessile, che secondo alcune ricerche è seconda per impatto ambientale soltanto al settore petrolifero, vengono affrontate i nodi e le criticità note e meno note (dall’uso di pesticidi allo sfruttamento lavorativo nell’Asia che va dal Bangladesh all’India) e sono riportate le normative europee come il regolamento ecodesign.
Infine vengono analizzati alcuni casi virtuosi di industrie lombarde, quasi sempre piccole e medie imprese, che riescono a coniugare sostenibilità economica, ambientale e sociale. Realizzando un auspicato modello di economia circolare. “I casi virtuosi analizzati – si legge nel rapporto di Mani Tese – offrono spunti concreti per promuovere una giustizia ambientale autentica, dove la responsabilità e l’innovazione diventano elementi centrali nella costruzione di filiere sostenibili e inclusive, capaci di creare valore condiviso e resilienza economica e sociale a lungo termine. Sono numerosi i brand innovativi e imprese di artigianato tradizionale che, nel caso specifico qui esaminato della Lombardia, hanno intrapreso percorsi alternativi capaci di inserirsi efficacemente sul mercato conquistando sempre più credibilità e fiducia da parte dei consumatori. Questi esempi rappresentano una risposta significativa ai problemi ambientali, sociali ed economici che affliggono il settore, proponendo modelli sostenibili fondati su principi di economia circolare, riduzione degli sprechi, tutela dei diritti dei lavoratori e valorizzazione delle risorse locali. Tale attenzione rispecchia una crescente consapevolezza da parte del cittadino che consuma rispetto agli impatti ambientali e sociali dei propri stili di vita e evidenzia una necessaria sensibilità a questi argomenti, sempre più in crescita, da parte del mondo delle imprese”.
Se è vero che i singoli casi servono a mostrare che un cambiamento è possibile, aggiungiamo noi, ora quel cambiamento deve diventare sistemico. Altrimenti l’economia circolare resterà sempre soltanto un collage di buone pratiche.
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