di Alessandra Gasco
Quante imprese sul territorio italiano si sono orientate a una produzione sostenibile? Le ragioni dell’economia possono sposarsi alle istanze ormai non più rinviabili di protezione dell’ambiente? A dare una risposta a queste domande contribuisce un’iniziativa ambiziosa che intende agire su più fronti: l’Atlante dell’Economia Circolare, progetto avviato da Ecodom e CDCA poco più di un anno fa e che già sta portando risultati degni di nota.
Il primo: dimostrare che l’Economia Circolare in Italia è una realtà viva e in continua crescita, presente su tutto il territorio nazionale seppur con numeri e concentrazioni diverse. Il secondo: la creazione di un network tra queste imprese, che spesso non sono neanche consapevoli dell’esistenza di altre realtà che si basano sugli stessi principi e con le quali è possibile creare sinergie volte alla crescita e al rafforzamento del proprio mercato.
E più queste realtà crescono in numero e dimensioni, più fanno rete, più diventano un interlocutore forte e presente, più anche la politica deve – o dovrà – rendersi conto della loro esistenza e predisporre gli strumenti che le supportino: se infatti i dati dimostrano come l’Italia sia un esempio virtuoso in Europa per quanto riguarda l’Economia Circolare, dall’altra parte sembra che proprio l’assenza di specifici strumenti legislativi sia uno dei motivi principali della difficoltà di queste aziende nel ritagliarsi un ruolo di rilievo nel tessuto economico. Situazione in cui non aiuta anche lo storico e ormai noto “nanismo” dell’impresa italiana, frammentata in una miriade di iniziative lodevoli e lungimiranti, ma che non presentano le dimensioni necessaire a far sentire la propria voce in modo forte e coordinato.
L’Economia Circolare in Italia: un Atlante variegato
La mappatura delle esperienze di Economia Circolare è ormai giunta a circa 200 realtà inserite nell’Atlante ed è in costante aumento: alla base del progetto, un Comitato Scientifico composto da esperti di settore nel campo dell’economia ambientale e della sostenibilità, che ha individuato precise linee guida e un codice etico, che diventano conditio sine qua non per far parte di questo parterre di imprese virtuose. “Nel processo di mappatura delle realtà italiane – afferma Giorgio Arienti, direttore generale di Ecodom – ci siamo resi conto che agroalimentare e sociale rappresentano le espressioni più naturali di economia circolare: food sharing contro lo spreco alimentare, filiere agroalimentari circolari, cibo recuperato, tutela del km zero sono solo alcuni esempi. Questo dimostra che l’Italia è un paese capace di valorizzare le risorse del suo territorio privilegiando un modello rigenerativo che punta alla circolarità: è quello che vogliamo raccontare con la nostra piattaforma”.
A guidare la classifica delle imprese mappate è la Lombardia (20,6%), quindi Lazio (17%), Toscana (12%), Emilia Romagna (8%) e Veneto (5,3%): per quanto riguarda le singole città, il primo gradino del podio è occupato da Roma (27 realtà di economia circolare mappate), seguita da Milano (25), Bologna e Firenze a pari merito (8). Nonostante esperienze di questo genere siano state mappate anche nelle regioni del Sud Italia, proprio il meridione sembra fare più fatica a far proprio questo modello economico e sociale: il che indica la necessità di iniziative rivolte proprio a questi territori.
Colmare il divario tra settentrione e meridione: il progetto CircularSud
“Promuovere sistemi di produzione e consumo responsabili in Puglia, Campania, Sicilia e Sardegna attraverso iniziative di scambio di esperienze tra realtà economiche e sociali sui temi dell’economia circolare, ma anche rilevare e lavorare a quelle criticità che oggi impediscono il pieno sviluppo di iniziative economiche improntate alla sostenibilità economica e all’equità sociale”: queste parole si leggono nella mission del progetto CircularSud, pensato proprio per dare un contributo specifico alle regioni del mezzogiorno d’Italia.
Già nei mesi di febbraio e marzo 2019 sono stati organizzati due incontri in Sicilia (Catania e Palermo) e altrettanti in Puglia, a Bari, mentre il mese di aprile vedrà come protagonista Napoli; a maggio il progetto si sposterà in Sardegna. “I primi risultati ottenuti sono stati davvero incoraggianti, perché ci hanno permesso di prendere contatto con il tessuto imprenditoriale, associativo e politico di queste regioni, individuando insieme ai diretti interessati le principali problematiche e le relative richieste – spiega Laura Greco di ASud, che si sta occupando in prima persona dell’iniziativa – In particolare per quanto riguarda la Puglia abbiamo avuto modo di incontrare l’assessore regionale allo Sviluppo Economico Cosimo Borraccino, che si è impegnato ad intraprendere un percorso di confronto con queste realtà e ad emanare una specifica legge regionale sull’Economia Circolare sul modello di quanto già avvenuto in Emilia Romagna”.
Interessante anche la disamina dei problemi che queste aziende si trovano ad affrontare: “Proprio la mancanza di leggi che le tutelino è il primo punto evidenziato da tutte queste realtà: realtà che, vorrei sottolineare, si sono dimostrate estremamente competenti non solo per quanto riguarda il loro ambito specifico, ma sulle tematiche ambientali e sociali nel loro complesso. Inoltre è fondamentale la possibilità di fare network, di conoscersi e confrontarsi, cosa che spesso è complessa nella realtà quotidiana perché molti di questi imprenditori non hanno la possibilità materiale di muoversi dal proprio territorio e trovare altre realtà con cui instaurare rapporti significativi. Già in questi primi incontri ci sono state imprese che si sono conosciute e hanno immediatamente iniziato a collaborare: ecco, poter creare delle filiere, lavorare insieme, è di grande importanza”.
A breve gli incontri toccheranno le altre due regioni coinvolte nel progetto: “A Napoli verrà posto l’accento sulla collaborazione con il mondo accademico, mentre la Sardegna vedrà protagonisti la bioedilizia, i materiali naturali presenti su quel territorio e le filiere locali – conclude Greco – Questo è un altro aspetto molto importante: ogni regione ha sue caratteristiche specifiche, sue vocazioni che vanno valorizzate. Non si può parlare di un unico Sud, come fosse una realtà monolitica e indifferenziata”.