“La selezione opaca dei progetti strategici mina gravemente la fiducia del pubblico nella strategia sulle materie prime critiche dell’Unione Europea”. È netto il giudizio di Robin Roels, coordinatore della EU Raw Materials Coalition (la coalizione europea sulle materie prime critiche), in merito all’annuncio degli scorsi giorni da parte della Commissione Europea sui 47 progetti strategici che, nelle intenzioni delle istituzioni europee, dovranno aumentare l’indipendenza sull’intera catena del valore in merito alle materie prime critiche, così come previste dal regolamento (il Critical Raw Materials Act) entrato in vigore a maggio 2024.
Come abbiamo già raccontato, la selezione della Commissione è stata piuttosto rapida (meno di un anno) e prevede un investimento complessivo di 22,5 miliardi di euro. Inoltre più della metà dei progetti selezionati riguardano nuove estrazioni minerarie, mentre si distinguono i 4 progetti italiani, tutti incentrati sul riciclo. Se da una parte la velocità decisionale è stata valutata con favore restano i dubbi sulla trasparenza e sulla partecipazione popolare.
La coalizione europea sulle materie prime critiche, che nasce proprio per favorire un contributo attivo della società civile, ha denunciato che proseguendo di questo passo il Vecchio Continente potrebbe essere attraversato da numerose proteste contro le nuove estrazioni minerarie – e viene da pensare subito alle proteste che vanno avanti da un anno in Serbia, dove un ampio fronte lotta contro la multinazionale anglo-australiana Rio Tinto che vorrebbe aprire la più grande miniera di litio d’Europa nella valle agricola del fiume Jadar, vicino al confine con la Bosnia.

La coalizione segnala che “l’UE deve rispettare i suoi valori fondamentali – diritti umani, diritto internazionale e responsabilità ambientale – nelle sue politiche sulle materie prime, in particolare nell’ambito di questi progetti strategici”.
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Materie prime critiche e democrazia ambientale
Le preoccupazioni della EU Raw Materials Coalition sottolineano inoltre che la mancanza di trasparenza nel processo mina non solo il controllo democratico, ma mette anche in discussione gli impegni assunti dall’UE nell’ambito della convenzione di Aarhus che, come si legge nel portale della Commissione UE, mira a garantire “l’accesso alle informazioni, la partecipazione del pubblico al processo decisionale e l’accesso alla giustizia in materia ambientale”. Si tratta di uno dei più importanti accordi sulla democrazia ambientale, firmato sotto l’egida delle Nazioni Unite nel 1998 in Danimarca (nella città di Aarhus, da cui prende il nome). Un accordo particolarmente definito che protegge il diritto di ogni persona a vivere in un ambiente sano, successivamente recepito con una serie di direttive dall’Unione Europea, e che si pone quattro obiettivi:
- stabilire una serie di diritti procedurali di base per il pubblico;
- imporre alle autorità pubbliche l’obbligo di rendere tali diritti efficaci;
- aumentare la trasparenza;
- rendere i governi più responsabili nei confronti del popolo
Obiettivi che, secondo la coalizione europea per le materie prime critiche, sarebbero sacrificati sull’altare di una (presunta) maggiore autonomia. “Se l’Ue è seriamente intenzionata a una transizione equa e sostenibile – ha affermato ancora Robin Roels, a capo della EU Raw Materials Coalition – deve aprire questo processo a un controllo reale e garantire che le voci della comunità siano ascoltate. La società civile, i popoli indigeni, le comunità locali colpite e gli esperti indipendenti sono stati in gran parte esclusi dal processo decisionale, lasciando poco chiare la valutazione e la definizione delle priorità dei progetti. Nonostante le ripetute richieste, l’elenco completo dei candidati al progetto e i criteri di valutazione rimangono non divulgati”.
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A rischio anche i diritti dei popoli indigeni
Mancata trasparenza e assenza di democrazia ambientale non sono gli unici aspetti critici dei 47 progetti strategici sulle materie prime critiche che sono stati indicati dalla Commissione Europea lo scorso marzo. Lo denuncia Johanna Sydow, a capo della Divisione Politica Ambientale Internazionale della Fondazione Heinrich Bàll.
“Durante i negoziati del processo legislativo del Critical Raw Materials Act – ha detto Sydow – sono state messe a tacere le preoccupazioni sui diritti umani troppo deboli e sugli standard ambientali con riferimento alla direttiva sulla due diligence sulla sostenibilità aziendale. Tuttavia il pacchetto Omnibus recentemente proposto dalla Commissione europea indebolisce in modo significativo questi criteri minimi per le importazioni nel settore delle materie prime. Ciò è particolarmente allarmante data la storia del settore e rappresenta una minaccia a lungo termine per la sicurezza umana e nazionale. Questo indebolimento mina la credibilità dell’UE nel perseguire standard elevati”.
Infine c’è un altro aspetto fondamentale, che riguarda principalmente la scelta di puntare sulle estrazioni minerarie per l’approviggionamento di materie prime critiche e non sull’economia circolare, che sarebbe riuscita a ridurre notevolmente l’impatto ambientale delle nuove attività. A denunciare i pericoli delle nuove estrazioni è questa volta Yblin Romàn Escobar, consulente politico della SIRGE Coalition. “Con il 54% delle materie prime critiche situate su, o vicino alle, terre indigene – ha dichiarato Escobar – l’UE deve garantire che i diritti dei popoli indigeni all’autodeterminazione siano pienamente rispettati, sia all’interno che all’esterno dei confini europei”.

Insomma: senza forti garanzie, che al momento non si intravedono, secondo la EU Raw Materials Coalition i progetti strategici potrebbero favorire violazioni dei diritti umani, violazioni dei diritti indigeni e danni ambientali, specialmente nelle regioni con una governance debole. Il caso del Ruanda, lo stato africano col quale l’UE ha siglato nel febbraio 2024 un accordo di partenariato per garantirsi importanti forniture di minerali e metalli dalle cosiddette miniere insanguinate dove è noto lo sfruttamento al limite dello schiavismo della manodopera e si suppone che i fondi generati servano a finanziare i gruppi armati della regione, non sembra aver insegnato granché alle istituzioni europee, che anzi continuano a mantenere vivo l’accordo nonostante le richieste di sospensione.
“L’elenco attuale dei progetti strategici sulle materie prime critiche – denuncia ancora la EU Raw Materials Coalition – sembra dare la priorità all’estrazione rispetto alle soluzioni a lungo termine. Senza concentrarsi sull’efficienza dei materiali e sulla riduzione della domanda, l’UE rischia di aggravare la dipendenza dalle risorse anziché consentire una transizione giusta e resiliente”.
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