“Accelerare e amplificare gli sforzi per garantire l’offerta dell’Unione Europea di materie prime critiche come le terre rare, il litio e il cobalto”: con questa premessa la Commissione europea ha adottato il 3 dicembre il RESource UE, il piano col quale si vuole provare a garantire una maggiore autonomia su minerali e metalli fondamentali per ampi settori economici, dalle energie rinnovabili alla difesa passando per il digitale. Nato sulla base del Critical Raw Materials Act (CRMA), vale a dire il regolamento sulle materie prime critiche che è in vigore dal 2024, il RESource UE prova a dare sostegno concreto agli obiettivi elaborati dal CRMA. Lo farà, scrive la Commissione, fornendo “finanziamenti e strumenti concreti per proteggere l’industria dagli shock geopolitici e dei prezzi, promuovere progetti sulle materie prime critiche in Europa oltre a collaborare con Paesi alleati per diversificare le catene di approvvigionamento”.
Rispetto alla precedente legislatura, l’attuale Commissione prova a fare un passo in più chiedendo non solo maggiore impegno agli Stati membri ma mettendo in campo risorse proprie, con l’obiettivo addirittura di ridurre le dipendenze dalle forniture estere – prevalentemente dalla Cina – fino al 50% entro il 2029. Ecco perché nel 2026 la Commissione ha già stabilito che metterà in campo tre miliardi di euro di fondi UE per sostenere “progetti in grado di fornire forniture alternative nel breve termine”, oltre al rafforzamento di 15 partenariati strategici esistenti con Paesi ricchi di materie prime critiche.
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Cosa prevede il RESource UE
Già a ottobre di quest’anno la presidente della Commissione Ursula von der Leyen aveva parlato della necessità di un piano europeo sulle materie prime critiche, alla luce soprattutto della scelta della Cina di interrompere di alcune forniture. Una sospensione, poi rientrata, che però aveva già messo in allarme parecchi settori cruciali: dall’automotive all’aerospazio, dall’AI ai data center. Da ciò arriva, meno di due mesi dopo, il piano RESource UE che, come già annunciato, sarà immediatamente operativo.
In particolare, scrive la Commissione, all’inizio del 2026 verrà istituito “un centro europeo per le materie prime critiche per fornire progetti strategici di intelligence, di gestione e finanza di mercato utilizzando strumenti su misura con partner privati e pubblici, e fungerà da gestore di portafoglio per catene di approvvigionamento diversificate e resilienti, anche attraverso acquisti e scorte congiunte”.

Inoltre per aumentare la capacità di riciclaggio europea, la Commissione introdurrà, all’inizio del 2026, “restrizioni all’esportazione di scarti e rifiuti di magneti permanenti sulla base di una valutazione approfondita e di misure mirate sui rottami di alluminio. Azioni simili saranno prese in considerazione per i rottami di rame se ciò si rivela necessario”. Entro la metà del 2026 verrà anche elaborato un piano d’azione per realizzare fertilizzanti domestici, in modo da ridurre le dipendenze dai fertilizzanti ottenuti con materie prime critiche: un aspetto sottovalutato ma che in realtà è cruciale per il settore agricolo.
Infine la Commissione europea, la Banca europea per gli investimenti e gli Stati membri insistono sulla ripresa delle estrazioni minerarie in Europa e nell’ambito del RESource UE è previsto lo sblocco finanziario dei primi progetti di estrazione “in casa”, dal litio in Germania alle miniere in Groenlandia (sulle quali anche il presidente USA Donald Trump potrebbe tornare prima o poi ad accampare pretese). Per quel che riguarda le cooperazioni internazionali, invece, oltre ai Paesi già noti come Brasile e Sudafrica la Commissione annuncia di stare lavorando a “quadri di investimento mirati” in Ucraina e nei Balcani.
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Le critiche al RESource UE
Non si può non notare che la spinta all’autonomia dell’UE sulle materie prime critiche si inserisce in un quadro più ampio di semplificazioni, ma dovremmo dire deregolamentazione, spinto dalla Commissione europea in maniera ossessiva. Ed è su questo pericoloso crinale che si inseriscono le critiche di European Environmental Bureau, la rete di ong che monitora le politiche ambientali dell’UE.
“Il piano ReSourceEU recentemente annunciato dall’UE – scrive l’EEB – non riesce a fornire gli investimenti, la responsabilità e le protezioni ambientali necessarie per la resilienza a lungo termine. Il pacchetto è incentrato sugli stoccaggi congiunti, sugli appalti congiunti, sulle disposizioni europee di acquisto, sull’aggregazione della domanda e su nuovi strumenti finanziari destinati a garantire minerali per la produzione della difesa, segnalando un chiaro allineamento con il programma europeo per l’industria della difesa, il Fondo europeo per la difesa e Horizon Europe”.
Per l’European Environmental Bureau, in questo modo, l’Unione europea rischia di ripetere l’errore fondamentale del pacchetto Omnibus sulla difesa, vale a dire “considerare le protezioni ambientali e sociali come sacrificabili in nome della competitività e della velocità“. D’altra parte nel frattempo, ricorda ancora l’EEB, “l’Unione Europea sta anche indebolendo la direttiva sulla due diligence sulla sostenibilità aziendale e la direttiva sulla rendicontazione di sostenibilità aziendale attraverso il primo Omnibus, smantellando di fatto gli strumenti che consentirebbero all’Europa di costruire catene di approvvigionamento veramente responsabili e responsabili”.

Lo scenario fosco che si intravede è che le materie prime critiche particolarmente ambite dalla Commissione europea servano principalmente ad alimentare la corsa agli armamenti e la militarizzazione dei territori, specie in quelle miniere e in quegli impianti che saranno definiti strategici. In questo senso il piano RESource rischia di militarizzare la politica mineraria europea. “L’acquisto congiunto senza due diligence è una scommessa politica – afferma Diego Marin, senior policy officer presso l’European Environmental Bureau – Gli Stati riempiranno i magazzini di minerali le cui origini non sono state adeguatamente controllate, quindi decideranno a porte chiuse quali settori li ottengono. I vincitori saranno quasi certamente l’industria della difesa, non le rinnovabili o le batterie. Questo è un male per le comunità, un male per i diritti e un male per la resilienza climatica”.
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