I segnali sono chiari da tempo: l’Unione Europea punta a diventare leader nel mondo nell’ambito della rimozione della CO2. In questo senso l’accordo appena raggiunto tra Consiglio e Parlamento – più precisamente tra i negoziatori di queste due istituzioni europee – intende definire un regolamento volto a istituire il primo quadro di certificazione. Un quadro che, va chiarito, sarebbe comunque volontario, allo scopo di facilitare e accelerare la realizzazione di attività di alta qualità per la rimozione del carbonio e la riduzione delle emissioni nel suolo europeo.
In ogni caso si prospettano tempi lunghi e, come ormai prassi in questo 2024 che ci condurrà alle elezioni del 26-29 giugno, resta da capire se ci sarà la volontà politica di dare seguito all’accordo raggiunto. Il testo definito sarà infatti ora sottoposto per approvazione ai rappresentanti degli Stati membri nel Consiglio (Coreper) e alla commissione ambiente del Parlamento. Se approvato, dovrà poi essere adottato formalmente da entrambe le istituzioni prima di poter essere pubblicato nella Gazzetta ufficiale dell’UE ed entrare così in vigore.
Rispetto però ad altri temi più “spinosi”, la rimozione dell’anidride carbonica è un ambito che vede parecchi interessi convergenti. Sulla proposta della Commissione Europea, che risale al 30 novembre 2022, fin da subito si è manifestata parecchia attenzione da parte del mondo industriale, del mondo finanziario e del mondo istituzionale. Non solo perché rimuovere la CO2 appare al momento la prospettiva più concreta e più immediata rispetto a un taglio netto delle emissioni ma anche perché le tecnologie e le economie di scala in questo ambito cominciano a farsi strada.
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Come si rimuove la CO2
L’accordo trovato tra Consiglio e Parlamento estende l’ambito di applicazione del regolamento alla riduzione delle emissioni del suolo e mantiene una definizione aperta di rimozione del carbonio, in linea con quella utilizzata dall’IPCC, il Gruppo intergovernativo delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici.
Vengono definite quattro tipi di attività per rimuovere l’anidride carbonica e ridurre le emissioni:
- rimozione permanente del carbonio (immagazzinamento del carbonio atmosferico o biogenico per diversi secoli);
- stoccaggio temporaneo del carbonio in prodotti durevoli (come le costruzioni a base di legno) di almeno 35 anni e che possono essere monitorati in loco durante l’intero periodo di monitoraggio;
- stoccaggio temporaneo del carbonio derivante dall’agricoltura del carbonio (ad esempio ripristino di foreste e suolo, gestione delle zone umide, praterie di fanerogame marine);
- riduzione delle emissioni del suolo (dall’agricoltura con carbonio), che include riduzioni di carbonio e protossido di azoto derivanti dalla gestione del suolo e a condizione che tali attività si traducano nel complesso, in un miglioramento del bilancio del carbonio nel suolo, nella gestione delle zone umide, nell’assenza di lavorazione del terreno e in pratiche di colture di copertura combinate con una riduzione uso di fertilizzanti, ecc.
Le ultime due attività, spiega il Consiglio in una nota, devono durare almeno cinque anni per essere certificate e non devono comportare l’acquisizione di terreni a fini speculativi che incidano negativamente sulle comunità rurali.
Entro il 2026 la Commissione Europea ha poi il compito di produrre un rapporto che indichi la fattibilità di tali pratiche, basandosi su una metodologia di certificazione pilota per le attività che riducono le emissioni agricole derivanti dalla fermentazione enterica e dalla gestione del letame.
Inoltre va chiarito che le attività che non comportano la rimozione del carbonio o la riduzione delle emissioni del suolo, come la deforestazione evitata o i progetti di energia rinnovabile, non sono incluse nel campo di applicazione del regolamento. I colegislatori hanno inoltre convenuto di escludere il recupero potenziato di idrocarburi dalle attività di rimozione permanente del carbonio e di chiarire esplicitamente che le attività e gli operatori negli ambienti marini rientrano nell’ambito di applicazione del regolamento.
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Il contributo decisivo dell’agricoltura (a meno che…)
L’accordo provvisorio raggiunto da Consiglio e Parlamento mantiene il requisito della proposta della Commissione secondo cui le attività di rimozione del carbonio devono soddisfare quattro criteri generali per essere certificate: quantificazione, addizionalità , stoccaggio a lungo termine e sostenibilità.
Un ruolo centrale, come in parte abbiamo già visto, viene affidato all’agricoltura. E inevitabilmente qualche sopracciglio si alzerà se si pensa alle proteste di questi giorni, che hanno fatto fare un immediato passo indietro alla Commissione sulla Politica Agricola Comune (PAC) e in particolare sull’obbligo a mantenere determinate aree non produttive. In base al testo sulla rimozione della CO2 l’espressione chiave diventa “carbon farming”: è il dicembre 2021 quando l’agricoltura europea entra ufficialmente nel mercato dei crediti di carbonio, per mezzo di questa iniziativa che, secondo le parole della Commissione europea, mira a “incoraggiare le pratiche agricole che contribuiscono a catturare l’elemento dall’atmosfera e a immagazzinarlo nei suoli o nella biomassa”.
In questo modo la carbon farming viene così riconosciuta formalmente fra gli strumenti decisivi di contrasto al cambiamento climatico. Peccato che nella pratica tale iniziativa risulti efficace solo quando viene combinato con pratiche di agricoltura rigenerativa e biologica, mentre risulta inefficace con le produzioni industriali e quelle intensive. Ridurre pesticidi e altri componenti chimici risulta quindi indispensabile. Proprio quei pesticidi che sono stato (anche) oggetto delle “proteste dei trattori” tra gennaio e febbraio in mezza Europa.
È alla luce forse di questi avvenimenti che va letto l’accordo provvisorio di ieri, che offre agli Stati membri la possibilità di fornire consulenza agli agricoltori sulla procedura di richiesta e consentire sinergie tra il sistema di identificazione delle parcelle agricole (LPIS) della PAC e le informazioni generate dal processo di certificazione nell’ambito di questo quadro.
I colegislatori hanno inoltre convenuto di mantenere gli elementi chiave del processo di certificazione in due fasi e la natura volontaria della certificazione, ma hanno incluso ulteriori chiarimenti sul funzionamento del processo di certificazione. I colegislatori hanno infine aggiunto indicazioni precise su come devono essere intesi gli obiettivi di sostenibilità e hanno incluso che un’attività di agricoltura del carbonio deve sempre generare almeno un co-beneficio per la biodiversità (compresa la salute del suolo e la prevenzione del degrado del suolo). Basterà a evitare nuove proteste?
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Se vuoi togliere la CO2 devi registrarti
Le nuove norme si applicheranno alle attività che si svolgono nel perimetro dell’Unione Europea. E fin qui sembra un passaggio ovvio. Tuttavia nel rivedere il regolamento la Commissione, suggeriscono Consiglio e Parlamento, dovrebbe considerare la possibilità di consentire lo stoccaggio geologico del carbonio nei Paesi terzi vicini, a condizione che tali Paesi si allineino agli standard ambientali e di sicurezza dell’UE.
In ogni caso il testo concordato dai colegislatori invita la Commissione a istituire un registro elettronico comune e trasparente a livello dell’UE quattro anni dopo l’entrata in vigore del regolamento per rendere le informazioni sulla certificazione e sulle unità disponibili e accessibili al pubblico, compresi i certificati di conformità e sintesi degli audit di certificazione. Fino ad allora, i sistemi di certificazione previsti dal quadro devono fornire registri pubblici basati su sistemi automatizzati e interoperabili. I colegislatori hanno inoltre introdotto norme sul finanziamento del registro dell’UE, che sarà finanziato mediante tariffe annuali fisse per gli utenti proporzionate all’uso del registro.
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