mercoledì, Novembre 5, 2025

Non chiamatele terre rare: sull’Ucraina il giornalismo si gioca la propria credibilità

Il dibattito attorno alle terre rare dell’Ucraina non analizza un dato di fatto cruciale: di terre rare, in Ucraina, non è certa neppure la presenza, figurarsi una quantità così enorme da poter generare un valore economico di 500 miliardi di dollari, la cifra pretesa da Trump. Invece il giornalismo italiano va dietro alle intemerate del presidente USA

Andrea Turco
Andrea Turco
Giornalista glocal, ha collaborato per anni con diverse testate giornalistiche siciliane per poi specializzarsi su ambiente, energia ed economia circolare. Redattore di EconomiaCircolare.com. Per l'associazione A Sud cura l'Osservatorio Eni

Quando il presidente USA Donald Trump ha parlato di terre rare in Ucraina erano i primi giorni di febbraio. A distanza di un mese quella che sembrava una trovata estemporanea è diventata la discussione attorno alla fine della guerra che spaventa l’Europa da più di tre anni e poi un tentativo di accordo, al momento saltato dopo il famoso show del 28 febbraio con il quale Trump, supportato dal suo vice J.D. Vance, ha rimandato il presidente ucraino Volodymyr ZelenskyNonostante il 5 marzo Trump abbia provato a gettare acqua sul fuoco in un lungo discorso al Senato statunitense, ribadendo che l’Ucraina sarebbe pronta a firmare l’accordo.

Resta il fatto che secondo Trump l’Ucraina dovrebbe dare agli Stati Uniti le terre rare presenti nel proprio territorio in cambio dei portentosi aiuti militari concessi durante la presidenza Biden dal 2022. Il presidente USA avrebbe pure quantificato una cifra del valore delle terre rare ucraine, cioè 500 miliardi di dollari. Un numero che, come spesso capita con Trump, è incredibilmente spropositato. E, soprattutto, senza alcuna aderenza alla realtà

I motivi sono tanti:

  • secondo fonti del governo federale statunitense, il Congresso statunitense ha approvato cinque cosiddetti “atti di stanziamento supplementari” dall’invasione russa del 2022, stanziando 174,2 miliardi di dollari in fondi per l’Ucraina; e di questi fondi più della metà non sono stati ancora erogati;
  • come ha recentemente raccontato il Washington Post, “la piena portata di ciò che si trova sotto terra in Ucraina non è del tutto chiaro, e il lavoro di estrazione e lavorazione dei minerali è lento, disordinato e può richiedere nuove infrastrutture, con costi incerti”;
  • secondo l’U.S. Geological Survey, Mineral Commodity Summaries le riserve totali mondiali di terre rare ammontano a circa 130 milioni di tonnellate metriche. La Cina è in cima alla lista per le riserve, con 44 milioni di tonnellate, ed è anche il principale produttore mondiale, con 270mila tonnellate estratte nel 2024. Al secondo posto c’è l’Australia (25,7 milioni), seguita da Brasile (21), India (6,9), Thailandia (4,5), Russia (3,8), Vietnam (3,5), Stati Uniti (1,9), Groenlandia (1,5). Altre nazioni con depositi importanti di terre rare sono Sudafrica, Mozambico, Namibia, Kenya, Burundi e Tanzania. E l’Ucraina? Neppure citata tra i Paesi con grandi giacimenti di terre rare. Finora è stato il governo ucraino a parlare più in generale di risorse minerarie. Lo ha fatto ad esempio nel 2022 la viceministra ucraina per la protezione ambientale e le risorse naturali Svetlana Grinchuk, parlando in una riunione della Commissione economica per l’Europa delle Nazioni Unite (UNEV), prima dell’inizio dell’invasione totale dell’Ucraina da parte della Russia. Approccio confermato poi a luglio 2024 in un articolo pubblicato sul World Economic Forum dall’analista ucraina (ed ex parlamentare) Nataliya Katser-Buchkovska.
  • al momento i depositi di terre rare in Ucraina sono potenziali. Di più: secondo gli esperti di S&P Global Commodity Insights, che ha avuto accesso a una documentazione geologica, “l’offerta di terre rare di Zelensky si basa su attività di esplorazione che hanno avuto luogo in gran parte tra gli anni ’60 e ’80, quando lo stato sovietico stava mappando attivamente l’area”. 
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fonte: U.S. Geological Survey, Mineral Commodity Summaries; elaborazione CNN

Soprattutto, ancora, è molto probabile che quando Trump parla di terre rare in realtà intende riferirsi alla più ampia categoria delle materie prime critiche, comprendendo quindi minerali e metalli come il litio, il cobalto, l’oro, il manganese. Una supposizione, la nostra, che è facile da riscontrare (lo ha fatto anche la CNN) perché in precedenza più volte Trump ha parlato di terre rare facendo riferimento, appunto, a litio e cobalto, che terre rare non sono. Inoltre, secondo il World mining data 2024, l’Ucraina è al 40esimo posto tra i produttori di minerali: in particolare risulta ricca di manganese (ottavo posto a livello mondiale), titanio (undicesimo), zircone (dodicesimo), grafite (quattordicesimo). Da tempo, infine, circola una stima, anche questa proveniente dalla Nato, secondo la quale nel sottosuolo dell’Ucraina potrebbe essere presente il 5% di tutte le risorse minerarie mondiali, comprendendo però anche le zone contese dalla Russia.

Non è un caso che nella bozza dell’accordo che avrebbe dovuto essere firmato da Trump e Zelensky lo scorso 28 febbraio, bozza pubblicata dai media e non smentita dall’amministrazione USA, non viene menzionato alcun valore economico. A generare in Trump l’equivoco sulle terre rare potrebbe essere stato un documento Nato (qui) risalente a dicembre 2024. 

Ma allora perché a distanza di un mese dalle prime intemerate di Trump si continua a parlare di terre rare? 

Leggi anche: Se le guerre e le tensioni geopolitiche seguono la via delle terre rare

Terre rare? Più sconosciute che rare

Fare queste verifiche è stato un compito piuttosto facile e rapido. Le fonti sono pubbliche e liberamente consultabili (e infatti per ciascuna abbiamo messo un link). Eppure i mass media e i social continuano per la gran parte a continuare a parlare di terre rare. Perché? Prima di abbozzare qualche riflessione serve partire dalle basi. E le basi le ha fornite su LinkedIn in questi giorni Nicola Armaroli, dirigente di ricerca del CNR e direttore della rivista scientifica Sapere. Ammonendo più e più volte, purtroppo inascoltato, i giornali ad andarci cauto con l’utilizzo dell’espressione terre rare. E dire che Armaroli è uno dei massimi esperti di energia in Italia, nonché noto e apprezzato divulgatore, ad esempio attraverso una rubrica sul programma Rai Geo.

Come EconomiaCircolare.com ha scritto nel 2021, le terre rare sono: scandio, ittrio e i 15 lantanoidi ovvero, nell’ordine della tavola periodica, lantanio, cerio, praseodimio, neodimio, promezio, samario, europio, gadolinio, terbio, disprosio, olmio, erbio, tulio, itterbio e lutezio. “Le terre rare – ha ricordato Armaroli – sono 17 metalli della tavola periodica dai nomi un po’ astrusi, legati a luoghi geografici, personaggi mitologici o scienziati. In questi giorni il loro nome è spesso usato a sproposito. Non sono né terre né tantomeno rare: questa nomenclatura fu assegnata agli inizi dell’Ottocento e tale è rimasta fino a oggi per tradizione. Sono molto più abbondanti di metalli come il piombo o l’argento, per non parlare di oro, palladio o platino”.

Fatti i lunghi e dovuti chiarimenti, c’è spazio per qualche riflessione. A partire da una domanda: perché i media italiani hanno scelto di andare dietro alla scelta lessicale di Trump e Zelensky? C’è da ipotizzare una certa sciatteria nelle verifiche, nonché va tenuto conto della tradizione di riportare fedelmente le parole delle persone potenti senza correggerle, anche quando sono sbagliate. C’è, probabilmente, anche una certa accondiscendenza verso tutto ciò che arriva dagli USA: l’egemonia culturale statunitense è ancora molto influente in Italia, per cui se Trump parla di terre rare vuol dire che avrà avuto i suoi buoni motivi. Ne è prova l’usanza di usare il termine America quando si parla degli USA, identificando un intero continente con un singolo Paese, con il continente che, tra l’altro, ha una storia molto più antica di quella statunitense. Usanza italiana che anche qui replica un vezzo statunitense, il cui simbolo più evidente è il motto “God bless America” (Dio benedica l’America … cioè gli Stati Uniti). 

Superare tutti questi difetti è cruciale per un giornalismo che vuole tornare a essere credibile, specie in tempi così complessi come quelli attuali. Chiamare le cose col proprio nome è un primo passo. Non è corretto dunque parlare di terre rare in Ucraina, o almeno è giusto sollevare dubbi e perplessità: è invece giusto correggere chi utilizza le espressioni sbagliate. Anche quando, anzi soprattutto se, è il più potente uomo del mondo

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Intendiamoci: a sbagliare sono stati pure i giornali statunitensi, come il prestigioso The New York Times. Che però poi hanno compreso l’errore e hanno corretto il tiro – lo stesso The New York Times adesso parla più correttamente di “minerali critici”. La speranza è che ciò avvenga a breve anche in Italia.

Leggi anche: Le materie prime critiche necessarie per la Nato

AGGIORNAMENTO DEL 12 MARZO 2025

A distanza di una settimana di un pezzo che, nel suo piccolo, ha fatto un po’ parlare, si registra qualche lieve miglioramento nella copertura giornalistica italiana delle notizie relative alle risorse naturali dell’Ucraina. C’è chi parla adesso più correttamente di minerali critici – anche se andrebbero inclusi pure i metalli, dato che l’Ucraina è il maggior esportatore in Europa di ferro (che però non è una materia prima critica) e di titanio (che invece lo è); e chi ancora fa un po’ di confusione, come il Fatto Quotidiano di oggi, che parla di “risorse minerarie rare” – come abbiamo visto di giacimenti rari in Ucraina non ce ne sono.

La notizia del giorno è il patto per la tregua firmato da Ucraina e Stati Uniti a Gedda, in Arabia Saudita. Oltre alla ripresa degli aiuti militari da parte degli USA, c’è anche l’annuncio di voler riprendere le trattative per il cosiddetto “accordo sulle terre rare”, che in realtà, ripetiamo, riguarderà probabilmente le risorse naturali dell’ex Paese dell’Unione Sovietica. Se da una parte ci si impegna a firmare l’accordo “prima possibile”, come ha dichiarato Marco Rubio, segretario di stato degli Stati Uniti, dall’altra non si fa più riferimento, almeno al momento, a nessuna stima economica.

Segno che la cifra monstre citata da Donald Trump ai primi di febbraio – 500 miliardi di dollari – era evidentemente il solito tentativo del presidente USA di “alzare il tiro” per arrivare poi a un’offerta di mediazione. Tentativo che sembra essere riuscito, considerata la generosa disponibilità che i funzionari ucraini hanno mostrato a Gedda.

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