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domenica, Maggio 19, 2024

Terre rare, che cosa sono e perché sono al centro della transizione

Sono fondamentali per le economie del presente e, soprattutto, del futuro. Attorno a esse si muovono tensioni internazionali per l'accaparramento. Eppure le REE, acronimo di Rare Earth Metals, sono ancora poco conosciute. La priorità per gli Stati è di creare una catena del recupero e del riciclo

Alessandro Marini
Alessandro Marini
Social media manager, seo copywriter e content creator. Fa parte del network di Eco Connection Media. Si occupa della gestione dei social network e della redazione di testi SEO per Green Factor. Cura la rassegna stampa per l’agenzia di comunicazione PressPlay. Gestisce i social media ed il confezionamento dei contenuti per la testata giornalistica Sapereambiente

Le REE, acronimo di Rare Earth Metals, sono un gruppo di 17 elementi facenti parte della famiglia dei metalli. Questi sono suddivisi a loro volta in base al peso atomico in: LREE, le cosiddette Terre Rare Leggere, MREETerre Rare Medie – e HREE, vale a dire le Terre Rare Pesanti.

Più nello specifico si tratta di 17 elementi chimici: Scandio, Ittrio e i 15 lantanoidi ovvero, nell’ordine della tavola periodica, Lantanio, Cerio, Praseodimio, Neodimio, Promezio, Samario, Europio, Gadolinio, Terbio, Disprosio, Olmio, Erbio, Tulio, Itterbio e Lutezio.

Terre rare: terminologia e quando sono state scoperte

Il termine “terre rare” venne assegnato a questi speciali elementi chimici presenti nei minerali non per la loro scarsa presenza sul Pianeta, ma per via della loro difficile identificazione oltreché per la complessità del processo di estrazione e lavorazione del minerale puro. Oltre al sopracitato acronimo REE, le terre rare vengono abbreviate anche con la sigla RE (Rare Earths).

La prima scoperta risale al 1787, quando il tenente dell’esercito svedese Carl Axel Arrhenius rilevò un minerale che in realtà aveva al suo interno un mix di terre rare, dal quale 16 anni più tardi, nel 1803, venne isolato il Cerio.

Un altro svedese, il chimico e mineralista Carl Gustav Mosander, nel 1839 asserì che le terre rare erano miscele di ossidi elementari. Mosander rilevò – proprio da un’analisi sul Cerio – il Lantasio, e successivamente l’Erbio, il Terbio e il Sidimio, che si scoprì essere una miscela tra due degli attuali 17 elementi, Praseodimio e Neodimio, come spiegò il chimico Carl Auer von Welsbach qualche anno più tardi, nel 1885.

La quasi totalità delle terre rare vennero scoperte proprio dal 1839 al 1900.

Il Promezio, l’ultima, venne invece creata in modo artificiale nel 1947.

A cosa servono le terre rare

Dall’economia rinnovabile a quella militare e aerospaziale, passando per il commercio di auto elettriche, e poi, ancora, la fibra ottica e la produzione di smartphone: le terre rare sono fondamentali per l’economia del presente e del futuro, nel mondo. Più nello specifico e nel pratico, ecco alcuni esempi per i quali vengono utilizzate: nel settore dell’automotive – specie per quello elettrico ed ibrido, ormai in ascesa – per le batterie ricaricabili, come magneti permanenti per le turbine eoliche e per la costruzione di motori elettrici; possono diventare fosfori per TV e LCD e più in generale sono importanti per la creazione di tutti i dispositivi elettronici di ultima generazione; inoltre servono per sviluppare tecnologie avanzatissime nel campo dell’aerospazio, della difesa e delle energie rinnovabili, ma anche nel settore medico, e perfino in quello petrolchimico, nel processo di raffinazione del petrolio greggio.

In generale, dunque, le terre rare sono molto ambite dalle grandi potenze mondiali. Attualmente la Cina è l’esportatore di terre rare più importante al mondo, con una produzione annua di circa 130mila tonnellate (dati del 2019) e detenendo circa il 37% delle riserve mondiali. Seguono gli Stati Uniti – in risalita – con il 12%, il Myanmar (10,5%) e l’Australia (10%).

In realtà sembrerebbe che i numeri in Cina siano ben più elevati, con estrazioni spesso illegali. Per le terre rare non esiste un mercato ufficiale, di conseguenza raffinatori e aziende – prevalentemente cinesi, americane e giapponesi – interessate all’acquisto, conducono trattative private, con prezzi fatti sul momento. Per questo il mercato subisce importanti oscillazioni, dettate principalmente da ciò che decide la Cina. Eppure qualcosa nello stato dell’Asia orientale si sta muovendo, con il governo che ora sembra pronto a regolamentare il mercato, oltreché a migliorare tutta la filiera – che prevede l’estrazione, l’utilizzo e lo smaltimento – con l’avvio del progetto per un polo innovativo dedicato alla ricerca e lo sviluppo di nuovi materiali provenienti da queste risorse.

La lotta di potere tra Stati Uniti e Cina, però, sembra non voler cessare e si è spostata in Groenlandia, il luogo con il sottosuolo più ricco di terre rare al mondo e ambitissimo dalle due superpotenze mondiali. Anche se la ribellione e l’opposizione agli scavi del popolo groenlandese e la conseguente vittoria del partito di sinistra ambientalista Inuit Ataqatigiit alle elezioni dello scorso aprile hanno fermato, per il momento, la creazione di una miniera dedicata alle terre rare, altamente nociva per gli abitanti e per l’ambiente.

Problemi estrattivi e danni ambientali: ecco perché le terre rare inquinano il Pianeta

Come visto nei paragrafi precedenti, le terre rare ed il loro trattamento, pur essendo fondamentali per diversi settori nell’economia mondile, comportano problemi di vario genere. Basti pensare che attualmente è possibile riciclarne meno dell’1% per via della mancanza quasi totale di poli e infrastrutture dedicate al settore. Numeri bassissimi, che evidenziano come ci sarà bisogno di decenni per creare una catena di recupero e riciclo efficiente delle terre rare. In questa direzione è nata poco più di un anno fa la Rare Earth Industry Association, nel quale confluiscono produttori, accademici europei ed associazioni cinesi, americane e giapponesi per trovare soluzioni concrete.

Non solo: l’estrazione delle terre rare dal minerale in cui si trovano è complicatissima. Proprio per questo motivo per estrarre e isolare i materiali vengono utilizzate miscele di sostanze chimiche dannose per l’ambiente, che cambiano in base al territorio sul quale viene svolto il processo. Una raffinazione a più stadi, costosissima e pericolosissima anche per l’essere umano, che si svolge prevalentemente in Cina.

Per essere più specifici, lavorando una tonnellata di metalli vengono prodotte circa 2000 tonnellate di rifiuti altamente tossici per le falde acquifere e per i suoli. Anche per questo e in virtù di standard ambientali più ferrei rispetto a Usa e Cina, l’Europa ha deciso di non lavorare le terre rare.

Come se non bastasse, cinque dei diciassette elementi chimici sarebbero a rischio per quanto riguarda la disponibilità di riserve mondiali: stiamo parlando di ’Indio, Gallio,  Tellurio (tutti e tre utili al settore fotovoltaico), Neodimio e Disprosio (utili invece al settore eolico), per via dell’alta crescita della richiesta negli ultimi anni.

Terre rare: quali soluzioni per contrastare l’inquinamento?

Oltre alla sopracitata nascita della REIA, nel settembre del 2020 la Commissione Europea ha annunciato la creazione della European Raw Materials Alliance, nata con l’obiettivo di creare una catena del valore delle materie prime, completa dall’inizio del processo al riciclo, accrescendo la resilienza dell’Unione Europea verso l’uso e il riuso dei materiali presenti nelle terre rare.

Sempre lo scorso anno l’università Ludwig Maximilian di Monaco ha spiegato che, a seguito di una ricerca pluriennale, è possibile estrarre alcune delle 15 lantanoidi – le più grandi – attraverso un enzima batterico, il pirrolochinolina chinone (PQQ), che legandosi selettivamente ad esse, può essere sfruttato per separarle dalle miscele presenti nei metalli. In questo modo verrebbero aboliti i processi di lavorazione altamente nocivi per l’ambiente.

Leggi anche: 10 idee per salvare la Terra prima che sparisca il cioccolato

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