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sabato, Dicembre 21, 2024

Tecnologia e transizione ecologica: “Attenzione alle disuguaglianze e alle regole”

"Italia competitiva sulle tecnologie green". Studio del Centro Ricerche Enrico Fermi (CREF) presentato nel corso di un evento organizzato con l’Istituto di Economia della Scuola Superiore Sant’Anna e il Forum Disuguaglianze e Diversità

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Redazione EconomiaCircolare.com

L’Italia ha le carte in regola per competere sulle tecnologie necessarie – ma non sufficienti – a sostenere la transizione ecologica. E proprio lo sviluppo di queste tecnologie può portare nuova linfa al sistema industriale tricolore. Ma attenzione alle disuguaglianze, che rischiano di frenare l’innovazione, e alle necessarie politiche pubbliche. Sono questi i temi al centro di una ricerca – Green innovation and income inequality: A complex system analysis – del Centro Ricerche Enrico Fermi (CREF) e di un evento (qui la registrazione video) organizzat dallo stesso CREF, dall’Istituto di Economia della Scuola Superiore Sant’Anna e dal Forum Disuguaglianze e Diversità.

Una metodologia innovativa

La ricerca del CREF nasce dall’attenzione che il Centro ha dedicato negli ultimi anni alle green technologies (come definite dalla Cooperative Patent Classification), cresciute dai primi anni Duemila a livello globale soprattutto nei settori dell’energia e dei trasporti. Dati OCSE del 2015 stimano che tra il 1990 e il 2010 le energie rinnovabili sono cresciute del 400%, i veicoli elettrici o ibridi del 350%, l’efficienza energetica negli edifici del 140%.

Le green technologies, hanno spiegato i ricercatori durante l’evento, oltre a rappresentare un importante strumento per il contenimento e la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, sono anche un’importante opportunità per il rilancio di interi comparti economici. Queste tecnologie sono state studiate dal CREF attraverso l’Economic Fitness and Complexity (EFC) che “mette insieme dati economici e big data per misurare la competitività di un Paese”, spiega Angelica Sbardella del CREF, che insime ad Aurelio Patelli ha curato le ricerche sull’Italia.

Il metodo Economic Fitness and Complexity (EFC) sviluppato dal gruppo del Professor Luciano Pietronero – prima all’Università La Sapienza e oggi al CREF – è “un nuovo approccio ai big data che utilizza nuovi sviluppi della scienza della complessità e del machine learning per analizzare le dinamiche economiche”. Recentemente adottato dalla Commissione Europea e dalla Banca Mondiale, l’EFC, applicato alla transizione ecologica permette di “analizzare in dettaglio il livello di competitività di ciascun Paese (e di ciascuna regione europea) nel passaggio a produzioni meno inquinanti, nonché i settori produttivi con maggiori potenzialità di sviluppo ecologicamente sostenibile”.

Nasce da questa metodologia la Green Technological Fitness, misura della competitività `verde´ e delle capacità dei sistemi di innovazione nazionali e regionali. Una misura che va oltre la conta del numero dei brevetti depositati da ciascun Paese per valutarne anche la qualità e la specializzazione settoriale. “Superando una più tradizionale analisi quantitativa sul volume di brevetti, EFC ha permesso di studiare la qualità e la rilevanza delle innovazioni prodotte. Nuove strategie empiriche per analizzare quantitativamente le strutture economiche locali e nazionali guardando alle diverse attività in cui si specializzano”, spiegano i ricercatori.

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Il ruolo dell’Europa e dell’Italia nell’innovazione green

La ricerca del CREF si concentra geograficamente sull’Europa 28+ (EU con UK e Macedonia, Montenegro, Norvegia, Svizzera, Turchia) e sul periodo 2000-2016 che è “particolarmente significativo” per la produzione di brevetti verdi in Europa: circa il 30% delle innovazioni verdi mondiali sono state sviluppate in Europa (European Patent Office) in quegli anni.

Dal punto di vista della quantità dei brevetti green presentati, l’Italia nel 2016 è quarta a pari merito con la Spagna con il 4% (nel 2000 era al 3%). Guida la classifica la Germania con il 46% (scesa dal 56%), al secondo posto la Francia con il 17% (che raddoppia dall’8% del 2000) e al terzo posto il Regno Unito con il 9% (dall’8% del 2000).

Per quanto riguarda invece la Green Technological Fitness, nell’ambito dell’Europa 28+, nel 2016 si osserva una graduale crescita di competitività dei paesi dell’Europa del Sud e dell’est. In particolare, l’Italia è quinta dopo Germania, Inghilterra, Francia e Austria.

I brevetti green italiani, dall’energia ai rifiuti

La capacità tecnologica verde dell’Italia, nel 2016, si è concentrata su invenzioni relative alle tecnologie in quattro macrosettori chiave: riduzione dei gas serra nel comparto energetico (31%), mitigazione del cambiamento climatico nei trasporti (19%), nell’edilizia (15%) e nella produzione di beni (15%).

Guardando dentro ai macro settori chiave si scopre che, per quanto riguarda l’ambito energetico, l’Italia tocca il picco del numero di brevetti depositati rispetto alla generazione di energia da fonti rinnovabili (18.8%) e nella classe delle tecnologie con potenziale per la mitigazione delle emissioni di gas serra (7%), come nelle batterie e nei sistemi di stoccaggio dell’idrogeno e dell’energia termica.

Per quanto riguarda la mitigazione del cambiamento climatico nei trasporti, una delle classi più rappresentate è quella relativa ai trasporti su gomma (16.4%), tra cui figurano tecnologie per batterie, veicoli elettrici e ibridi, per migliorare l’efficienza nei veicoli con motore a scoppio e per l’uso di carburanti alternativi.

Infine, nello stesso anno, quote importanti di brevetti verdi hanno interessato le tecnologie per la mitigazione del cambiamento climatico relative al macrosettore della gestione dei rifiuti (7%), con un 5% nella gestione dei rifiuti solidi tra cui figurano applicazioni per il riuso, riciclo e recupero di materiali: dalla carta alle batterie esauste e gli scarti edili.

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L’innovazione nella transizione ecologica e il peso delle disuguaglianze

Uno degli aspetti innovativi della ricerca de CREF sta anche nel fatto che mentre la maggior parte della letteratura scientifica si focalizza sui fattori che facilitano l’emergere di nuove tecnologie, il team guidato da Lorenzo Napolitano ha puntato anche “sulla questione poco esplorata delle circostanze specifiche del Paese che fungono da barriere al perseguimento dell’innovazione ambientale”.

Cosa emerge? Intanto che il progresso tecnologico “è uno strumento chiave, anche se non l’unico, per preservare l’ambiente mantenendo alti livelli di performance economica”. Tuttavia, la ricerca ha anche dimostrato “in modo convincente” che l’innovazione può essere un “fattore scatenante” della disuguaglianza. E che quest’ultima “alla fine, può minare la capacità di sviluppare nuove tecnologie”. Infatti, leggiamo ancora nello studio, “l’analisi empirica rivela che, in media, la disuguaglianza è dannosa per la capacità dei Paesi di sviluppare tecnologie verdi complesse. […] In media, lo sviluppo di capacità tecnologiche verdi più complesse si concentra principalmente nei Paesi con basse disuguaglianze”. Il riferimento al dato medio è reso necessario dal fatto che, spiegano i ricercatori, la relazione tra disuguaglianza e innovazione è una relazione non lineare. Infatti, “per i Paesi ad alto reddito […] livelli moderati di disuguaglianza facilitano la specializzazione in campi tecnologici più complessi”. Quindi una distribuzione più equa del reddito è importante “soprattutto per i paesi a basso e medio reddito in cui la disparità di reddito emerge come un ostacolo alla capacità di innovazione verde”.

“La ricerca del CREF mostra che la trasformazione verde è già un processo in atto, in Italia e in Europa, e non è in conflitto con lo sviluppo: giustizia sociale e ambientale possono marciare insieme”, ha commentato Fabrizio Barca, Co-coordinatore del Forum Disuguaglianze e Diversità. “La ricerca ci conferma che nelle società con minori disuguaglianze economiche la fitness tecnologica verde è maggiore, e che la trasformazione ambientale può produrre buoni lavori e sviluppo. Ma sappiamo che nulla è scritto. La fitness non è una profezia, è una potenzialità che va realizzata. È qui che giocano un ruolo fondamentale le politiche”.

Le politiche pubbliche

La ricerca del CREF mostra che la capacità tecnologica è sempre il risultato di un lungo e graduale processo. Nel quale “assumono grande rilievo le politiche, come strumento per realizzare e per sviluppare le capacità potenziali”. Le politiche d’innovazione e industriali verdi, secondo Andrea Roventini, economista e Professore presso l’Istituto di Economia della Scuola Superiore Sant’Anna, devono essere coadiuvate da “politiche industriali e di innovazione verdi, e da uno stato innovatore che sostenga la cooperazione tra imprese pubbliche e private, e sfrutti al meglio le grandi potenzialità delle imprese pubbliche italiane, le cui competenze tecnologiche e industriali sono essenziali per decarbonizzare l’economia. Uno stato attivo nel sostegno dei lavoratori e nella gestione delle crisi aziendali della transizione, che possono essere un’occasione per riposizionare le imprese coinvolte nelle produzioni verdi”.

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