La preoccupazione per la gestione del “fine vita” dei pannelli è legittima (ed è una questione che dovremmo porci per qualsiasi prodotto), ma la narrazione che li dipinge come una montagna di rifiuti tossici indifferenziabili è scorretta e fuorviante.
Un pannello fotovoltaico standard in silicio cristallino è infatti composto per circa il 95% da materiali comuni e ampiamente riciclabili:
- vetro (circa 75-80%)
- alluminio (per la cornice, circa 10%)
- silicio (le celle, circa 3-5%)
- polimeri (backsheet ed encapsulant, come l’EVA)
- piccole quantità di rame, argento e stagno (per i contatti elettrici)
In Europa, i pannelli solari sono classificati come RAEE (Rifiuti di Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche) e il loro smaltimento e riciclo sono regolati da una rigida direttiva comunitaria (WEEE Directive). I produttori sono tenuti per legge a finanziare ed organizzare il sistema di raccolta e riciclo. In Europa, da diversi anni, molti consorzi garantiscono che i pannelli, a fine vita, vengano trattati correttamente.
Le attuali tecnologie di riciclo permettono di recuperare oltre il 95% dei materiali di un pannello al silicio. L’alluminio e il vetro vengono separati e reimmessi nei rispettivi cicli produttivi. Il silicio e i metalli preziosi possono essere recuperati attraverso processi termici e chimici sempre più efficienti. L’Agenzia Internazionale per le Energie Rinnovabili (IRENA) stima che, entro il 2050, il valore dei materiali recuperabili dai pannelli a fine vita potrebbe superare i 15 miliardi di dollari, creando una vera e propria filiera di economia circolare. Non un problema, ma un’opportunità: sicuramente un esempio di circolarità.
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