Questa è una variante più specifica della bufala sull’energia necessaria per produrre i pannelli (EPBT). Qui l’attenzione si sposta sull’impronta di carbonio (carbon footprint) del processo produttivo.
Ogni attività industriale ha un’impronta di carbonio e la produzione di pannelli solari non fa eccezione. Il processo più energivoro è la purificazione del silicio e la crescita dei lingotti che richiede alte temperature. Tuttavia, il concetto chiave da analizzare è il Carbon Payback Time (CPBT) ovverosia il tempo necessario affinché il pannello, producendo energia pulita che sostituisce quella da fonti fossili, ripaghi le emissioni di CO2 generate per la sua fabbricazione.
Studi recenti sul ciclo di vita (LCA – Life Cycle Assessment) dimostrano che il CPBT per i moderni pannelli fotovoltaici installati in Europa è di circa 1-2 anni. Considerando una vita utile di 30 anni, il pannello opererà per circa 28 anni in modalità “carbon-free”, evitando l’emissione di enormi quantità di CO2.
L’impronta di carbonio media del fotovoltaico, calcolata sull’intero ciclo di vita, è stimata dall’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change) intorno ai 40-50 grammi di CO2 equivalente per kilowattora (gCO2eq/kWh). Per confronto:
- Gas naturale – 400-500 gCO2eq/kWh
- Carbone – oltre 800 gCO2eq/kWh
Il vantaggio climatico è quindi inequivocabile e massiccio. Inoltre, questo valore è destinato a diminuire ulteriormente poiché le fabbriche di pannelli sono sempre più alimentate da energie rinnovabili, riducendo l’impronta di carbonio della produzione stessa in un circolo virtuoso.
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