venerdì, Dicembre 5, 2025

Il design ai tempi della transizione ecologica: intervista ad Antonella Adriani (ADI)

Ogni tanto è bene fermarsi e ripartire dalle basi: dal design, ad esempio, ed al ruolo attivo che ha e può avere all’interno dei processi di sostenibilità, e non solo. Antonella Adriani, vicepresidente nazionale dell'Associazione per il Disegno Industriale (ADI) ci guida in questa riflessione

Silvia Santucci
Silvia Santucci
Giornalista pubblicista, dal 2011 ha collaborato con diverse testate online della città dell’Aquila, seguendone le vicende post-sisma. Ha frequentato il Corso EuroMediterraneo di Giornalismo ambientale “Laura Conti”. Ha lavorato come ufficio stampa e social media manager di diversi progetti, tra cui il progetto “Foresta Modello” dell’International Model Forest Network. Nel 2019 le viene assegnata una menzione speciale dalla giuria del premio giornalistico “Guido Polidoro”. Dal 2021 lavora all'interno della squadra di EconomiaCircolare.com come redattrice. Da gennaio 2025 è socia della cooperativa Editrice Circolare

Quando si parla di design, da molte persone, non addetti ai lavori, viene percepito come qualcosa di distante: eppure la progettazione è la chiave di volta della nostra società, prima ancora di qualsiasi buona azioni di riuso, upcycling o riciclo, viene l’importanza di una progettazione illuminata, che sappia vedere non solo i problemi di oggi ma anche quelli di domani. 

Di questo e molto altro, abbiamo parlato con Antonella Adriani, vicepresidente nazionale dell’Associazione per il Disegno Industriale (ADI), in una video-intervista nel corso di Intelligenza Circolare, l’evento internazionale organizzato lo scorso ottobre a Roma da ISIA Roma Design e dal magazine EconomiaCircolare.com.

Come evolve il design

La progettazione non fatica a stare dietro alla mutevolezza del nostro tempo, ma la questione è ben più complessa. “Il design − spiega Antonelli − in quest’idea di allineamento rispetto ad un mondo che è in grande trasformazione, per certi aspetti è già pronto, perché è geneticamente votato al fare la differenza e al migliorare le condizioni di vita: c’è però un problema di fondo, c’è la teoria e poi c’è la dura realtà”. 

“Troppo spesso − ammette − si fa fatica a rinunciare a quelli che sono i nostri privilegi: noi abbiamo avuto la fortuna di nascere e crescere in un contesto ricco, con tutti i confort, ma di fondo c’è un tema di diffusione all’interno della nostra società. Il design non solo può incidere in termini progettuali, quindi direttamente rispetto alle cose che progetta, ai materiali che sceglie di utilizzare, alla produzione, alla distribuzione, il riciclo e quant’altro. Una vocazione del design è infatti anche quella di comunicare, rendere più chiari certe teorie verso il grande pubblico”.

“Spesso il design − aggiunge − viene associato al lusso, al bello e inutile, viceversa c’è proprio questa idea utopica di migliorare continuamente e in maniera affannosa la vita delle persone. Ad esempio i designer disegnano, insieme a medici, ingegneri, sociologi, le protesi”.

Lavorare in co-dipendenza con altre professionalità è una peculiarità del lavoro del designer e al contempo abbraccia un’idea di sostenibilità, in ottica di economia circolare, che secondo Adriani sarebbe bene esportare anche fuori dall’ambito della progettazione.  

“Quest’idea di circolarità − conclude Antonelli − è molto più vicina a quella che abbiamo imparato fin da quando eravamo piccoli: nulla si crea, tutto si trasforma. E allora se la società ricordasse che noi a tutti abbiamo imparato a scuola, probabilmente dedicheremmo più attenzione ai nostri gesti quotidiani”.

GUARDA L’INTERVISTA COMPLETA

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