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domenica, Dicembre 22, 2024

“Nel riciclo degli autoveicoli siamo i più bravi in Europa, ma abbiamo scelto la via più difficile”

Anselmo Calò, presidente di ADA, l’Associazione dei demolitori di autoveicoli, ci spiega il ritardo (“apparente”) dell’Italia, racconta problemi, potenzialità e prospettive della filiera che gestisce il fine vita delle automobili.

Daniele Di Stefano
Daniele Di Stefano
Giornalista ambientale, un passato nell’associazionismo e nella ricerca non profit, collabora con diverse testate

Nel 2018 abbiamo avviato a riciclo l’81% dei materiali che compongono le automobili e gli autoveicoli in rottamazione, nel 2017 era stato l’83%. Comunque sotto l’85% previsto dalla normativa europea. Rischiamo una procedura d’infrazione?  Dove sta il problema del nostro Paese, che pure mediamente nel riciclo macina primati? Ne parliamo con Anselmo Calò, consigliere delegato della Calò Roberto Srl, la più antica impresa di demolizioni auto della Capitale, presidente di ADA-Associazione demolitori autoveicoli e di FISE, Federazione Imprese di Servizi.

Dottor Calò, il tasso di recupero dei veicoli fuori uso (VFU) è fissato dalla direttiva europea (2000/53/CE) al 95% del peso del veicolo (85% materia, quindi riciclo; 10% energia, quindi termovalorizzazione). L’Italia è indietro. Come mai?

Indietro? Dipende da come si calcola il riciclo. Questo è il problema. Le quantità riciclate si possono contare, tonnellata per tonnellata, o stimare. Noi italiani per misurare le performance di riciclo usiamo il MUD (Modello unico di dichiarazione ambientale): grazie ai MUD delle imprese sommiamo tutti i rifiuti riciclati. Siamo gli unici in Europa a farlo in questo modo, a contare tonnellata per tonnellata. Gli altri stimano. Fanno dei trial, delle campagne di prova: demoliscono qualche migliaio di veicoli in alcuni centri, fanno il calcolo del riciclo e poi estendono quel dato a tutti i veicoli rottamati. Ma non abbiamo garanzie che tutti gli altri veicoli verranno trattati al meglio come sicuramente è stato fatto per quelli dei trial. Il problema insomma è sapere come si calcola il riciclo.

Come associazione demolitori avrete posto il problema di questa differenza in Europa, immagino….

Contare in maniera puntuale come facciamo noi in Italia o attraverso stime sono entrambi metodi previsti dalla direttiva. Certo, in Italia avremmo potuto scegliere l’altra strada. Comunque il metodo di rendicontazione è uno dei problemi che l’Europa si è posta, ma c’è resistenza ad affrontarlo.

E poi c’è l’altro problema

Ci dica.

Quello del recupero energetico. La direttiva fissa l’obiettivo del recupero al 95% ma prevede un 10% di recupero energetico, che noi non facciamo. In Italia non esistono impianti sufficienti, né se ne vogliono costruire.

Peraltro la legge ha stabilito che le discariche appositamente realizzate per il fluff, la parte volatile che risulta dalla frantumazione degli autoveicoli, possano continuare ad operare fino al loro totale riempimento, nonostante nella gerarchia europea dei rifiuti la discarica sia l’ultima opzione. E quelle che abbiamo hanno ancora spazio: se non ci fosse più spazio sarebbe giocoforza trovare una soluzione. Spero che questo governo, sulla partita degli impianti di combustione, sarà più deciso.

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Per questi motivi potremmo rischiare una procedura d’infrazione sul riciclo delle automobili?

Non è mai stata avviata, finora, nessuna procedura d’infrazione per questi motivi, perché viene considerato un argomento troppo sensibile per l’economia dei singoli Paesi. Pensi quanto importante sia l’automotive in Germania, Francia, Spagna ma anche per i Paesi dell’Est come Ungheria o Polonia. Morale: siamo indietro sul recupero energetico ma secondo me siamo molto avanti sul riciclo, anche se poi non appare.

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Scendiamo di scala e dal veicolo intero passiamo alle componenti più piccole e complesse da riciclare, come cruscotti o sedili.

Cruscotti e sedili semplicemente non si riciclano: questo è il fluff. Non si riciclano perché spesso si tratta di multimateriali, di materiali accoppiati che è difficile separare: per cui non si fa nessuna azione prima di triturare. Si fanno invece operazioni di recupero post-shredding (post-triturazione): dopo aver macinato si cercano i materiali con appositi macchinari. Si cercano ovviamente quei materiali che hanno un mercato e un valore.

Se cruscotti e sedili fossero progettati per essere smontati e riciclati, per i rottamatori sarebbe economicamente sostenibile disassemblarli?

La “progettazione per la demolizione” è una cosa che chiediamo da tempo. La chiede anche la direttiva europea, ma le case automobilistiche non l’hanno mai applicata. La direttiva ha una filosofia molto semplice: il produttore deve pagare per i costi del trattamento dell’autoveicolo che non ha più un valore positivo. Dovendo farsi carico del costo di smantellamento e smaltimento, questa è la filosofia, le case automobilistiche avrebbero progettato auto più facili da smantellare. Un assunto che si è scontato contro il fatto che le auto hanno sempre (quasi sempre) un valore: il recupero dei ricambi e del rottame fanno sì che il veicolo quasi mai abbia un valore negativo, e quindi quasi mai entra in gioco la responsabilità del produttore. Lasciando sulle spalle del demolitore il raggiungimento degli obiettivi di riciclo.

Ma tutto questo è destinato a cambiare.

Perché?

Tutto questo è destinato a cambiare perché i veicoli elettrici diminuiscono fortemente di valore al momento della demolizione. Consideri che un veicolo elettrico impiega quasi la metà delle parti di ricambio di uno termico. Dal punto vista della rottamazione, inoltre, è importante anche tutta la parte meccanica, che nel veicolo elettrico non c’è. Oggi vendita dei pezzi e riciclo garantiscono comunque un’entrata. Col veicolo elettrico non sarà più così. Entro 15-20 anni, quando arriveranno a demolizione i primi veicoli elettrici, ci sarà un cambio di approccio radicale. Anche per l’aggiornamento della direttiva 2000/53, che avrebbe dovuto arrivare quest’anno ma è stato rimandato all’anno prossimo, si sta ragionando sul veicolo elettrico e non più sul termico. Siamo in momento di passaggio.

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Avrà ascoltato il discorso di insediamento del premier: Draghi ha parlato anche di riforma fiscale. Quanto è importante secondo lei questo tema per il vostro settore e in genere per le filiere del riciclo?

Credo che Draghi sappia benissimo che le politiche ambientali devono essere sostenute fiscalmente, quindi immagino che lo farà.

Quali potrebbero essere gli strumenti da mettere in campo?

Bisognerebbe agire prima di tutto sull’Iva e poi sulle agevolazioni per chi utilizza materiali riciclati.

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