“Sia chiaro: l’agricoltura è pronta a fare la sua parte per la transizione ecologica, ma serve chiarezza e tutela per le tante produzioni agroalimentari e le eccellenze del nostro made in Italy”. È il 22 settembre quando il deputato M5s Luciano Cadeddu presenta alla seduta di question time la propria interrogazione parlamentare, indirizzata al ministro delle politiche agricole alimentari e forestali Stefano Patuanelli, per chiedere chiarimenti sul cosiddetto agrivoltaico. Ovvero all’incrocio tra agricoltura e fotovoltaico. Il primo è il luogo, il secondo è il mezzo. Vale a dire che si intende estendere l’installazione dei pannelli fotovoltaici – ad oggi l’energia solare di gran lunga la più diffusa tra le energie rinnovabili (soprattutto per via del basso costo dei pannelli) – agli sterminati terreni agricoli di cui è ricca la nostra penisola.
Fino a questo momento, infatti, ad essere maggiormenti interessati dalla presenza dei noti pannelli solari sono stati i tetti delle nostre abitazioni. Ora, però, con l’accelerazione richiesta dalla crisi climatica in corso e dalla svolta green disegnata dal Piano nazionale di ripresa e resilienza, è necessario coinvolgere maggiormente l’agricoltura. Un mondo che fino a questo momento ha risposto con lentezza ai cambiamenti dettati dalla globalizzazione. E che guarda con rinnovato timore a un nuovo uso dei terreni. Si tratta di una partita essenziale. A patto di giocarla in maniera corretta. E di far partecipare tutti e tutte, in maniera equa.
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Agrovoltaico, le preoccupazioni del settore
Le preoccupazioni espresse dal deputato Cadeddu negli scorsi giorni sono quelle di un’intera categoria. Soprattutto dopo il decreto legge Semplificazioni, il dl con il quale lo scorso luglio il governo, come si legge nell’interrogazione parlamentare a firma M5s, “nell’introdurre disposizioni volte ad agevolare il conseguimento degli obiettivi stabiliti dal Piano nazionale ripresa resilienza e dal Piano nazionale integrato per l’energia e il clima, stabilisce, tra l’altro, che la realizzazione di alcune opere, impianti, anche fotovoltaici, e infrastrutture costituisca interventi di pubblica utilità e, limitatamente all’installazione di impianti agrivoltaici, ne prevede l’accesso agli incentivi pubblici a condizione che sia garantita, tramite evidenza da prodursi attraverso appositi sistemi di monitoraggio, la continuità nello svolgimento delle attività agricole e pastorali. Tali previsioni – continua impattano fortemente sul sistema agricolo nazionale – In particolare, l’articolo 18 del provvedimento citato nulla dispone in merito ad eventuali valutazioni circa l‘idoneità delle aree destinate alle opere e, costituendo il presupposto di eventuali procedure espropriative e/o di occupazione d’urgenza atte a determinare un rilevante consumo di suolo destinato alle attività agricole, sarebbe opportuno che la posa dei pannelli fosse sottratta alla dichiarazione di pubblica utilità e rimessa alla privata contrattazione”. Ecco perché si chiede la “realizzazione di linee guida”, che risultano indispensabili “al fine di definire le soluzioni tecnologiche idonee ad assicurare la continuità delle attività agricole e pastorali”.
Non si teme solo l’esproprio, come già avvenuto altre volte in passato. Il timore principale degli agricoltori è quello che, una volta installati i pannelli nei territori magari marginali e poco fertili, questi comunque non possano più rinascere e possano diventare una sorta di sito industriale all’aperto, buono solo per generare energia e non più coltivabile. Già a ottobre scorso Legambiente, in un report intitolato “Agrivoltaico: le sfide per un’Italia agricola e solare”,indicava una possibile stima di circa 300 milioni di metri quadri di pannelli da collocare a terra, per un ingombro totale – considerando anche le opere accessorie – di oltre 70mila ettari. Una superficie pari allo 0,6% del suolo agricolo italiano attualmente utilizzato. Col rischio però che, affinché la produzione di energia sia più produttiva, si concentri la produzione di pannelli su terreni molto vasti, considerati sacrificabili. Se dovesse essere il governo a scegliere quali sono questi terreni, con lo strumento dell’esproprio per pubblica utilità, ai proprietari non resterebbe che arrendersi. E per pochi spiccioli.
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Agrivoltaico, gli obiettivi del governo
Alle sollecitazioni parlamentari, provenienti tra l’altro dal suo stesso partito, il ministro Patuanelli ha risposto ricordando che “oggi installiamo circa 0,8 o 0,9 gigawatt all’anno di fonti rinnovabili” e che, se si vogliono raggiungere gli obiettivi fissati dal Pnrr e dal Pniec, “dobbiamo arrivare a moltiplicare per dieci questa cifra”. Secondo le stime degli esperti, poi, almeno 50 gigawatt dovranno essere prodotti proprio attraverso il fotovoltaico. Con l’obiettivo , come messo nero su bianco proprio dal Pnrr, di installare a regime una capacità produttiva annua da impianti agrovoltaici di 1,04 gw. E la conseguente riduzione di 0,8 milioni di tonnellate di anidride carbonica. Sul timore degli espropri il ministro ha spiegato che “l’idea è quella di avere un processo rapido di autorizzazione, ma non quella di espropriare gli agricoltori dei loro terreni; attraverso, invece, l’articolo 31 e le linee guida, sarà proprio quella di mettere dei limiti molto chiari alle tipologie di intervento di terreno da utilizzare. In Italia ci sono 16,7 milioni di ettari di superficie agricola disponibile e 13,2 milioni di ettari di superficie agricola utilizzata. Ci sono delle aree e io ritengo che si debba individuare quelle aree industriali dismesse e quelle aree non utilizzate”.
Anche sull’altro timore, ovvero quello di costringere i produttori agricoltori a diventare produttori di energia, l’esponente del governo Draghi prova a dissipare ogni dubbio. “Noi dobbiamo consentire alle aziende agricole di avere una possibilità di reddito in più, proprio in un momento in cui il reddito agricolo sta calando anche per l’aumento dei prezzi delle materie prime – afferma – ma dobbiamo sempre ricordarci che la missione principale di un’azienda agricola è quella di produrre cibo di qualità. Quindi, mettere assieme questi due elementi: lo si fa con chiarezza, usando chiarezza nei bandi. È evidente che nessuna azienda agricola potrà dismettere la sua produzione agricola e affittare i terreni avendo l’incentivo; ciò non sarà ovviamente possibile. Così come bisogna evitare in ogni modo che ci sia un massiccio intervento delle società energetiche nei confronti delle aziende agricole, perché altrimenti, se le due potenzialità di reddito sono molto diverse, è chiaro che qualsiasi agricoltore sarà tentato di attivare questo percorso”.
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Agrivoltaico, il caso Sicilia
Tutto a posto, dunque? Non proprio. A far gola sono soprattutto gli 1,1 miliardi di euro previsti dal Pnrr, da qui al 2026, a sostegno dello sviluppo agrovoltaico. Cifre enormi, da spendere (quasi) immediatamente, che hanno già solleticato parecchi appetiti. Lo si nota ad esempio in Sicilia: a giugno aveva fatto parecchio rumore un articolo di Repubblica Palermo in cui si riportava che alla Regione tra il 2019 e il 2021 sono stati presentati ben 209 progetti di “parchi fotovoltaici” (definizione scorretta, perché si tratta di veri e propri impianti). Gli agricoltori siciliani, incapaci o non interessati a coltivare terreni spesso ereditati, “raccontano di prezzi da capogiro offerti da rappresentanti e procuratori che sul tavolo mettono tanti soldi: si va dai 1.500 ai 3 mila euro di affitto ad ettaro all’anno, con acquisto in caso di via libera da parte della Regione all’installazione dei pannelli solari che può arrivare anche a 30mila all’ettaro”. Cifre roboanti, in una terra arida di lavoro e prospettive come la Sicilia. Sulla scia di questo e di altri allarmi, il 16 settembre una mozione parlamentare è stata presentata al Parlamento siciliano da Valentina Palmeri dei Verdi, Claudio Fava de I cento passi e Giampiero Trizzino del M5S, con cui si impegna il governo Musumeci ad accelerare l’iter per l’approvazione del Piano energetico regionale e, in attesa di questo, ad adottare con urgenza alcuni provvedimenti che diano un quadro di certezze su quali aree siano idonee e quali no ad ospitare gli impianti fotovoltaici.
I parlamentari ricordano infatti che “ad oggi non è operativa alcuna mappatura delle aree idonee mentre è già in corso la cessione massiccia dei terreni coltivabili, con il rischio elevatissimo di perdere produzioni agricole importanti e di uno stravolgimento del paesaggio a causa di una altissima concentrazione di pannelli fotovoltaici sul territorio”. Come dice a MeridioNews Roberto Bissanti, ingegnere che si occupa da anni di rinnovabili sull’Isola, le cessioni sono già in atto. Anzi, “c’è la fila per vendere”. In pochi, infine, sembrano preoccuparsi del rischio di perdita di biodiversità in una terra dall’equilibrio fragile.
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Agrivoltaico, come ci si muove in Europa?
Quella dell’agrovoltaico è dunque più una possibile speculazione o una opportunità da cogliere per raggiungere finalmente gli obiettivi delle emissioni zero? Se il quadro in Italia è ancora incerto, in Europa finora si fa fatica a trovare studi imparziali. Lo scorso settembre, ad esempio, ha fatto rumore il documento pubblicato da SolarPower Europe che, come lascia intuire già il nome, promuove l’uso dell’energia solare. Secondo l’associazione, il potenziale del Vecchio Continente è immenso: se fossero installati impianti agrovoltaici solo sull’1% dei terreni coltivabili europei, si superebbero i 700 gw di potenza. In pratica si potrebbe dire (quasi) addio alle fonti fossili. In particolare, SolarPower Europe parla di “sinergie” tra colture agricole e pannelli fotovoltaici, al contrario dei timori soprattutto italiani, che si possono tradurre in:
- riduzione dei consumi idrici grazie all’ombreggiamento dei moduli;
- minore degradazione dei suoli e conseguente miglioramento delle rese agricole;
- risoluzione del “conflitto” tra differenti usi dei terreni (per coltivare o per produrre energia);
- possibilità di far pascolare il bestiame e far circolare i trattori sotto le fila di pannelli o tra le fila di pannelli, secondo le modalità di installazione con strutture orizzontali o verticali, avendo cura di mantenere un’adeguata distanza tra le fila e un’adeguata altezza dal livello del suolo.
Per promuovere gli investimenti nel settore, SolarPower Europe suggerisce poi di definire schemi di supporto per gli impianti agrofotovoltaici, ad esempio tramite aste dedicate – gli incentivi devono essere superiori a quelli concessi agli impianti FV standard, perché il fotovoltaico agricolo è sicuramente più costoso – prestiti agevolati agli agricoltori, obiettivi specifici per questa tecnologia nei piani nazionali al 2030, fissazione di criteri di qualità con cui valutare i progetti che concorrono agli incentivi. In attesa di studi indipendenti, quel che è certo è che anche l’Unione europea dovrà pronunciarsi, attraverso un quadro normativo preciso, su una tecnologia che, certamente preziosa, non può essere lasciata alla mercé del mercato e di chi intende sfruttare i bisogni degli agricoltori.
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