La corretta gestione dei rifiuti delle apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE) è indispensabile sotto ogni punto di vista: sociale, ambientale ed economico. Infatti i RAEE possono contenere sostanze pericolose che per l’essere umano e l’ambiente risultano tossiche, e che perciò devono essere trattate in maniera specifica. Ma questi stessi rifiuti contengono anche un’ampia gamma di materiali preziosi e non – come le terre rare, i metalli ferrosi e le plastiche – che, se recuperati e valorizzati, possono essere immessi nuovamente nel ciclo produttivo evitando l’estrazione di materie prime vergini, quindi a beneficio di un’economia circolare.
Ma quanto si sta diffondendo in Italia e in Europa l’economia circolare per il settore delle apparecchiature elettriche ed elettroniche (AEE)? La ricerca condotta dai borsisti Giacomo Seravalli, Mariarita Paciolla e Francesca Ferrero – sotto la supervisione dei ricercatori dell’ENEA Tiziana Beltrani, Marco La Monica, Silvio Viglia e Francesca Ceruti – ha l’obiettivo di indagare lo stato dell’arte, il livello di maturità, i limiti e gli ostacoli alla replicabilità di azioni nazionali ed europee volte a valorizzare le risorse e minimizzare la dispersione di materia ed energia durante i processi produttivi.
Il quadro che emerge è quello di un’Italia ancora poco circolare, con solo il 7% di buone pratiche relative al settore AEE/RAEE messe in campo da imprese private (principalmente nel Nord Italia) in riferimento al fine vita dei prodotti. Tra queste buone pratiche emergono quelle relative al recupero delle materie prime critiche, risorse che sono state approfondite da Giacomo Seravalli dal punto di vista economico per comprendere la convenienza dell’estrazione rispetto a quella del riutilizzo.
La ricerca fa parte del progetto “Training for Circularity – Borse di Studio (WEEE Edition)” promosso dal Centro di Documentazione sui Conflitti Ambientali in collaborazione con Erion WEEE ed ENEA – Dipartimento Sostenibilità dei Sistemi Produttivi e Territoriali.
Leggi anche: La seconda vita della plastica delle apparecchiature elettriche ed elettroniche
Le caratteristiche delle buone pratiche del settore AEE
Per studiare il mercato delle attività di recupero e valorizzazione delle materie prime critiche contenute nei RAEE sono state consultate e analizzate le piattaforme ECESP e ICESP, che raccolgono e diffondono buone pratiche di economia circolare rispettivamente a livello europeo e italiano. Le 58 buone pratiche analizzate per il settore delle apparecchiature elettriche ed elettroniche (AEE) sono quindi state organizzate in raggruppamenti comuni, confrontabili secondo alcune variabili relative alla fase del ciclo di vita, alla diffusione sul territorio, l’attinenza con gli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDGs), al livello di replicabilità e alla tipologia di organizzazione che le mette in pratica.
Dalla figura 1 è possibile dedurre che la fase del ciclo di vita delle AEE su cui le buone pratiche si concentrano maggiormente è quella della gestione dei rifiuti e che, in maniera concorde, il settore di riferimento con più ricorrenze è proprio quello del fine vita, inerente cioè al riciclaggio, alla raccolta differenziata e al ricondizionamento delle apparecchiature.
Questo risultato mette in luce un aspetto cruciale, ossia che l’attenzione viene diretta per lo più verso la fase finale del ciclo di vita del prodotto e non verso quella iniziale. Infatti, guardando la variabile “innovazione e investimenti”, che contiene l’ecodesign (quindi l’inizio del processo produttivo), le iniziative che la vedono protagonista sono scarse. “Molti produttori non hanno ancora una visione d’insieme e non intervengono nella fase di progettazione per migliorare la gestione del fine vita dei prodotti e il recupero delle materie prime che contengono”, spiega Mariarita Paciolla. “L’approccio sistemico, che integra un modello economico che pensi al prodotto in tutte le sue fasi, sembra ancora lontano dall’essere implementato”, conclude Paciolla che, a riprova di ciò, sottolinea l’assenza, nella sua ricerca, di buone pratiche nel settore “soluzioni innovative” sulla piattaforma ICESP (figura 1).
L’analisi della tipologia di finanziamenti e di organizzazioni che mettono in atto le buone pratiche (figura 2) mostra invece che in entrambe le piattaforme e per entrambi i tipi di analisi qualitative, sia rispetto alla fase del ciclo di vita che rispetto ai settori di riferimento, sono le imprese private a svolgere queste pratiche, che vengono principalmente finanziate con fondi privati. “Questo può essere dovuto a diversi aspetti”, commenta Giacomo Seravalli. “Uno è il maggior interesse da parte di imprese private nel registrare le buone pratiche all’interno delle piattaforme nazionali o europee per motivi promozionali e di reputazione. L’altro è invece relativo alla macchinosità degli enti pubblici nel mettere in atto e diffondere simili pratiche, in particolare nella filiera delle AEE e dei RAEE”.
Tornando alla figura 1, per quanto riguarda gli enti pubblici e di ricerca il settore “educazione e sensibilizzazione” non ha alcuna buona pratica registrata. Secondo Francesca Ferrero, “le mancate pratiche di sensibilizzazione da parte di molti enti pubblici hanno portato, negli anni, all’ignoranza dei cittadini europei sul tema RAEE e sul corretto conferimento degli stessi. E questo è completamente in accordo con i dati relativi ai tassi di raccolta per i RAEE, che sono più bassi rispetto ad altri tipi di rifiuti”.
Leggi anche: Per Erion la sfida delle materie prime critiche si può vincere solo con l’economia circolare
Il prezzo delle materie prime critiche
Alcune delle buone pratiche analizzate, che sono geograficamente localizzate in figura 3, sono inerenti al recupero delle materie prime critiche. Per arricchire ulteriormente la ricerca su questo fronte, è stata condotta un’analisi con lo scopo di valutare gli andamenti dei prezzi delle materie prime e di alcuni prodotti che sono richiesti per la produzione di apparecchiature utili alla generazione di energia rinnovabile, in particolare fotovoltaico ed eolico. Valutare anche l’aspetto economico delle materie prime critiche è infatti fondamentale per contribuire a immaginare nuovi sistemi di recupero. In particolare sono stati presi in considerazione silicio e alluminio (materie prime critiche), rame (materia prima strategica), sabbia silicica, argento, acciaio e, tra i prodotti, il vetro trasparente e la vetroresina.
I prezzi delle materie prime critiche sono un’informazione preziosa e poco accessibile (in particolare per il silicio monocristallino e policristallino, per vetro e per la sabbia silicica) che diversi enti/società raccolgono e analizzano per venderli ad aziende e altri player del settore. Il confronto con BloombergNEF (fornitore di ricerca strategica per i settori dell’energia, dei trasporti, dell’industria, dell’edilizia e dell’agricoltura) è stato utile per comprendere come queste informazioni vengano raccolte e quale sia il valore legato al loro possesso.
In alcuni casi è stato possibile trovare dei numeri indice dei prezzi che almeno hanno aiutato a dare una definizione dell’andamento del prezzo negli anni, com’è stato per il rame. Confrontando il prezzo delle materie prime critiche seconde e quelle vergini emerge che per in molti casi risulta economicamente più conveniente l’estrazione che il riutilizzo. “Senza l’intervento di sussidi o aiuti alle imprese, sono pochi i privati che si cimentano in un settore dove la probabilità di operare in perdita è alta”, spiega Seravalli. “Per fare un esempio, il silicio lavorato, che viene utilizzato nei pannelli solari, ha di recente subito un abbassamento vertiginoso dei prezzi tale da spingere le aziende che lo producono a interrompere la produzione per non vendere in perdita. In un contesto simile è davvero difficile inserire un ideale di circolarità e di riuso delle materie prime”.
Leggi anche: Dai metalli preziosi alle plastiche: ecco cosa contengono i rifiuti elettrici ed elettronici
© Riproduzione riservata