mercoledì, Novembre 5, 2025

Lavoratori in nero e protezioni rimosse dai macchinari: Armani sanzionato per dichiarazioni etiche ingannevoli

Un altro big del made in Italy nei guai. Giorgio Armani dovrà pagare 3,5 milioni di euro per pratica commerciale ingannevole. Lo ha stabilito l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato. Il gruppo farà ricorso al Tar

Daniele Di Stefano
Daniele Di Stefano
Giornalista ambientale, redattore di EconomiaCircolare.com e socio della cooperativa Editrice Circolare

Nuovo schiaffo alla moda made in Italy: Giorgio Armani dovrà pagare 3,5 milioni di euro per pratica commerciale ingannevole. Sotto l’occhio dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) sono finite dichiarazioni etiche e di responsabilità sociale “ingannevoli” e in contrasto con le condizioni di lavoro riscontrate presso fornitori e subfornitori: dai lavoratori in nero ai macchinari senza dispositivi di sicurezza per accelerare la produzione; dagli estintori non revisionati alle visite mediche non effettuate fino ai locali di lavoro usati anche come dormitori.

Un tassello che si aggiunge ad altri scandali (come quelli che hanno investito Loro Piana, Max Mara, Valentino), tanto che c’è chi riferendosi alla lusso dice che “il made in Italy non esiste più” (Stefania Saviolo, docente di Management alla Bocconi, sul Fatto quotidiano).

Le affermazioni sanzionate riguardano il periodo dal 22 aprile 2022 al 18 febbraio 2025. Armani ha annunciato ricorso al Tar.

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 “Forti perplessità sull’adeguatezza e salubrità dell’ambiente di lavoro”

La sanzione da parte dell’AGCM riguarda la filiera produttiva di borse e accessori e arriva il 29 luglio (viene resa nota il primo agosto) dopo una lunga indagine e dieci dopo mesi di amministrazione giudiziaria della G.A. Operations S.p.A (conclusa il 18 febbraio 2025). Oggetto della sanzione, che far riferimento al periodo dal 22 aprile 2022 fino al 18 febbraio 2025, sono le società Giorgio Armani S.p.A. e G.A. Operations S.p.A (GAO): nel Codice Etico e in documenti pubblicati sul sito Armani Values (www.armanivalues.com, al quale rimanda anche il sito www.Armani.com) “hanno reso dichiarazioni etiche e di responsabilità sociale non veritiere e presentate in modo non chiaro, specifico, accurato e inequivocabile”.

Il brand ha costruito la propria identità sull’attenzione ai valori non solo estetici ma anche legati alla sostenibilità, in particolare alla responsabilità sociale, con l’obiettivo “di aumentare la percezione positiva del brand dal punto di vista della sostenibilità … e dal punto di vista commerciale … portare il cliente a fare acquisti consapevoli anche dei ‘valori’ veicolati attraverso i nostri prodotti”, si legge nel documento dell’AGCM. Peccato che, come altri marchi rinomati dal made in Italy, abbia scelto di esternalizzare larga parte della propria produzione di borse e accessori in pelle a fornitori in Italia (spesso cinesi) e all’estero che, a loro volta, si sono avvalsi di subfornitori. E che lo abbia fatto senza però verificarne la condotta che ha portato ad una “situazione gravemente lesiva dei lavoratori”. Di cui, stando al giudizio dell’AGCM, il gruppo sarebbe stato consapevole. Tanto che in un documento interno del 2024, precedente all’apertura della procedura di amministrazione giudiziaria richiesta dalla Procura della Repubblica di Milano, si legge che “nella migliore delle situazioni riscontrate, l’ambiente di lavoro è al limite dell’accettabilità, negli altri casi, emergono forti perplessità sulla loro adeguatezza e salubrità”.

Armani greenwashing

 

La gestione della filiera

Ad aver inguaiato Armani è stata appunto la scelta di appaltare e subappaltare la produzione di borse e accessori per ridurre i costi e aumentare gli utili senza però prevedere un adeguato sistema di controlli (che non andassero oltre quelli sulla qualità del prodotto). “Casi di irregolarità portati alla luce dalle indagini dei Carabinieri e le altre evidenze acquisite nel corso delle attività ispettive testimoniano in maniera netta delle difficoltà interne al gruppo di gestire il rischio all’interno della propria vastissima filiera” afferma l’AGCM. Addirittura, relativamente a periodo di riferimento della sanzione, è la stessa conoscenza della filiera di fornitura ad essere messa in dubbio. In un altro scambio interno al gruppo riferito dall’AGM si legge: “Occorrerà effettuare una mappatura dettagliata di tutta la filiera al fine di mettere in trasparenza i vari livelli di fornitura (dalla materia prima, alla produzione, retail) per prodotti e servizi”.

Insomma, “emerge quantomeno una confusione interna al Gruppo Armani rispetto alle attività di controllo della filiera”.  E qual poco di conoscenza sarebbe comunque stato sufficiente a farsi un’idea delle condizioni dei lavoratori e delle lavoratrici di fornitura e sub fornitura: negli ultimi tre anni gli audit negativi fatti svolgere dal gruppo hanno rappresentato in Italia “almeno il 20%”.

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“Un sistema che normalizza la devianza”

Il 3 aprile 2024 il Tribunale di Milano ha disposto l’amministrazione giudiziaria di G.A. Operations. A seguito della disposizione l’azienda del gruppo Armani – come riferisce una relazione dell’Amministratore Giudiziario – G.A. Operations ha predisposto “il rafforzamento delle strutture aziendali interne incaricate di svolgere controlli sulla filiera, la revisione delle procedure interne, una notevole riduzione del parco fornitori e subfornitori, la cessazione di un numero rilevante di rapporti di fornitura per i rischi ESG emersi, lo svolgimento di audit di sostenibilità, in particolare sui fornitori e subfornitori cinesi e nelle aree maggiormente a rischio”. Così, il 18 febbraio 2025, 10 mesi dopo la disposizione da parte del tribunale, è stata revocata l’amministrazione giudiziaria di GAO.

Va ricordato, come fa l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, che l’amministrazione giudiziaria “è adottata per un periodo non superiore a un anno, prorogabile di sei mesi, al fine di sostenere e aiutare le imprese amministrate a rimuovere le situazioni di fatto e di diritto che hanno determinato la misura”

Nella richiesta di amministrazione giudiziaria si legge che di “un sistema per cui l’esternalizzazione della produzione di borse e accessori in pelle a soggetti terzi senza svolgere adeguati controlli avrebbe consentito da parte di tali soggetti terzi di perpetuare illeciti consistenti nello sfruttamento dei lavoratori e, da parte del Gruppo Armani, di abbattere i costi per la produzione”. Il classico scambio osceno tra diritti dei lavoratori e guadagni delle imprese: “La richiesta – si legge ancora – trae origine da accertamenti di Polizia Giudiziaria dove è stato ‘fotografato’ un fenomeno dove due mondi – solo apparentemente distanti – quello del lusso da una parte e quello di laboratori cinesi dall’altra, entrano in connessione per un unico obiettivo: abbattimento dei costi e massimizzazione del profitto attraverso elusione di norme penali giuslavoristiche”.

Sfruttamento di manodopera irregolare e clandestina; orari di lavoro superiori a quelli contrattualmente previsti (“i dipendenti, inquadrati per 4 ore di lavoro giornaliere, svolgevano in media 10 ore di lavoro al giorno dal lunedì al sabato”); rimozione dei dispositivi di sicurezza dai macchinari (quelli “che hanno lo scopo di impedire che il lavoratore durante l’utilizzo della stessa possa rimanere impigliato o subire schiacciamento degli arti superiori”) per aumentarne la capacità produttiva;  violazioni in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro; mancata fornitura ai lavoratori dei previsti dispositivi individuali atti a evitare il contatto con agenti chimici pericolosi; omissione di visite mediche, formazione e l’informazione al personale; omessa revisione degli estintori: questi i fatti più evidenti riscontrati dalla polizia giudiziaria tra fornitori e subfornitori dei Armani.

Il decreto descrive unaillecita politica di impresa” che ha permesso un “disaccoppiamento organizzativo” in virtù del quale “in parallelo alla struttura formale dell’organizzazione volta a rispettare le regole istituzionali (codici etici, modelli organizzativi, che però hanno una funzione meramente cosmetica), si sviluppa un’altra struttura, ‘informale’, volta a seguire le regole dell’efficienza e del risultato. In questo modo, la costante e sistematica violazione delle regole genera la normalizzazione della devianza, in un contesto dove le irregolarità e le pratiche illecite vengono accettate e in qualche modo promosse, in quanto considerate normali”.

Armani greenwashing

Attenzione alla qualità dei prodotti, non alla salute dei lavoratori

Colpisce, nella ricostruzione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato Agenzia, non solo la consapevolezza da parte del gruppo, ma anche la differente cura prestata alla qualità dei materiali impiegati e delle lavorazioni. La consapevolezza è resa evidente dal citato 20% di audit insoddisfacenti. Lo sbilanciamento tra la cura dei prodotti e quella dei lavoratori dal fatto, ad esempio, che durante un’ispezione di polizia giudiziaria svolta nei laboratori di uno dei subfornitori, “fosse presente un dipendente di G.A. Operations preposto al controllo della qualità delle lavorazioni, il quale ha dichiarato di ‘recarsi mensilmente presso quel laboratorio da circa sei mesi’”. Ma tra le sue mansioni non rientrava la verifica della sicurezza delle condizioni di lavoro.

“Emerge – ancora il documento AGCM – che il Gruppo Armani svolgesse i controlli sulla qualità dei prodotti con maggior frequenza, regolarità e sistematicità, trascurando in maniera evidente i controlli sulle condizioni di lavoro e sulla sicurezza a cui erano sottoposti coloro che realizzavano i prodotti destinati a essere venduti con il marchio Armani”.

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La durata delle infrazioni

Questo illecito fare leva comunicativa su un’attenzione, non riscontrata, ai valori sociali è andato avanti dal 22 aprile 2022 (data di lancio della versione attuale del sito Armani Values) fino al 18 febbraio 2025, data di chiusura dell’amministrazione giudiziaria. Ma l’Autorità afferma di non poter escludere “che essa possa essere tuttora in corso, dal momento che le dichiarazioni di responsabilità etica e sociale presenti nel Codice Etico e nel Sito Armani Values risultano immutate”.

La difesa e la reazione di Armani

Diversi gli argomenti portati dal gruppo in sua difesa.

Secondo Armani, ad esempio, dichiarazioni etiche oggetto della sanzione sarebbero “generiche”, ad indicare “un obiettivo di continuo miglioramento e un impegno a sviluppare una filiera sempre più sostenibile”. L’AGCM osserva che anche dichiarazioni generiche possono essere considerate ingannevoli. Che – stando agli Orientamenti della Commissione europea del 2021 sull’interpretazione e sull’applicazione della direttiva 2005/29/CE sulle pratiche commerciali sleali – le dichiarazioni non solo devono essere veritiere e non contenere informazioni false ma devono anche “essere presentate in modo chiaro, specifico, accurato e inequivocabile, in modo da non trarre in inganno i consumatori”.

Altro strumento messo in campo dal gruppo per provare smontare le accuse è stato un sondaggio commissionato durante il procedimento a BVA Doxa. Condotto su un campione di 1.500 persone, il sondaggio ruota attorno al concetto di “consumatore medio” e al fatto che le affermazioni contestate “non sarebbero idonee ad alterare le scelte di acquisto del consumatore medio” (proprio questo potenziale cambiamento delle intenzioni d’acquisto è in definitiva la ragione delle norme sulle comunicazioni ingannevoli). Ma per l’Autorità BVA Doxa e Armani ritengono “trascurabili” alcuni risultati dell’indagine che, invece, nell’ambito della valutazione di una pratica commerciale scorretta, tali non sono.

L’azienda rigetta però le accuse. “Giorgio Armani S.p.A. accoglie con amarezza e stupore la decisione”, si legge in una nota, in cui annuncia che “la decisione verrà impugnata davanti al Tar”. L’Autorità, infatti, non terrebbe “in alcuna considerazione il decreto con cui il Tribunale di Milano ha revocato, anticipatamente, l’amministrazione giudiziaria di G.A Operations, riconoscendole che, una volta analizzato approfonditamente i sistemi di controllo e vigilanza utilizzati da tempo dal Gruppo Armani nei confronti della filiera il risultato di eccellenza cui si ritiene essere pervenuta la Società è stato reso possibile – in un arco temporale contenuto – proprio in considerazione del fatto che al momento dell’applicazione della misura esistevano già sistemi di controllo della supply chain strutturati e collaudati”.

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