mercoledì, Novembre 5, 2025

Amager Bakke, la vera storia dell’inceneritore di Copenaghen

Costoso, ha condannato la Danimarca a importare rifiuti. Inoltre causa emissioni dirette e indirette di CO2 e con la sua presenza la raccolta differenziata non è decollata. Ecco perché Amager Bakke, il famoso inceneritore con pista da sci, non è così virtuoso. Roma, che punta a replicarne l’esempio, è avvertita

Tiziano Rugi
Tiziano Rugi
Giornalista, collaboratore di EconomiaCircolare.com, si è occupato per anni di cronaca locale per il quotidiano Il Tirreno Ha collaborato con La Repubblica, l’agenzia stampa Adnkronos e la rivista musicale Il Mucchio Selvaggio. Attualmente scrive per il blog minima&moralia, dove si occupa di recensioni di libri. Ha collaborato con la casa editrice il Saggiatore e con Round Robin editrice, per la quale ha scritto il libro "Bergamo anno zero"

L’inceneritore di Amager Bakke, a Copenaghen famoso in tutta Europa per la sua pista da sci sul tetto e considerato all’avanguardia dal punto di vista tecnologico, è costato tantissimi soldi ai contribuenti danesi. Per la costruzione, la manutenzione e i guasti ha condannato la Danimarca a importare rifiuti per farlo lavorare al massimo. Inoltre causa emissioni dirette e indirette perché si brucia plastica, prodotta a sua volta utilizzando carbonio fossile. Ed è una pessima scelta dal punto di vista di economia circolare.

Insomma, mettendo tutto sul piatto della bilancia non appare una delle scelte più lungimiranti fatte in Danimarca, tanto da aver spinto il governo a correre ai ripari e annunciare entro il 2030 una capacità di incenerimento ridotta del 30 per cento, nonché lo stop all’import di rifiuti. Soprattutto, ha evidenziato quello che da tempo dicono esperti come Paul Connett sul destino degli inceneritori: mettono in pericolo i bilanci delle amministrazioni locali e sono un pessimo investimento sul futuro.

Eppure si continua a parlare di inceneritori come una soluzione sostenibile al problema dei rifiuti. A Roma, per esempio, la promessa è risolvere la disastrosa situazione nella gestione dei rifiuti con un nuovo termovalorizzatore, delle dimensioni di quello danese: confermando implicitamente,che la funzione primaria degli inceneritori è quella di liberarsi dei rifiuti piuttosto che produrre energia. Se è vero che la popolazione di Roma è decisamente superiore a quella di Copenaghen viene da pensare che non ci sarebbe certo bisogno di importare rifiuti per farlo funzionare. Ma resta il fatto che difficilmente il Comune risolverà così il problema della raccolta differenziata che fatica a decollare.

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Amager Bakke: è un problema di conti e di bilancio

Ma torniamo all’“esempio” danese. Quasi subito dopo l’apertura di Amager Bakke nel 2019, Zero Waste Europe (ZWE) ha pubblicato un articolo intitolato “Un fiasco danese: l’impianto di incenerimento di Copenhagen”, in cui l’impianto di CopenHill è definito “un fiasco tecnico e finanziario” caratterizzato fin da subito da una serie di controversie.

Il Comune di Copenaghen voleva ridimensionarlo, ma la società responsabile e il governo hanno mantenuto la capacità originale, inaugurando nel 2017 un impianto con il potenziale di trattare 560mila tonnellate di rifiuti annui, 41mila metri quadrati di estensione, alto 123 metri e che è costato centinaia di milioni di euro. Più quelli necessari per la manutenzione. Amager Bakke, infatti, pur essendo tecnologicamente avanzato, ha subito guasti e interruzioni, come un incendio nel 2022 che ha causato perdite milionarie.

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Foto: Canva

Il problema principale con i conti, tuttavia, è stato un altro. Mancavano i rifiuti per farlo lavorare a massimo regime, indispensabile per fare quadrare i conti e così l’impianto in poco tempo è stato costretto a importare rifiuti per garantire la sostenibilità economica: nel 2020 ha trattato 599mila tonnellate, tra cui 160mila di biomassa e 57mila importate, soprattutto dal Regno Unito. E non è un caso isolato: il fenomeno riguarda almeno un terzo degli inceneritori danesi e ha portato la Danimarca a importare 1,2 milioni di tonnellate di rifiuti nel 2019.

Tanto da spingere il governo a fare marcia indietro e vietare l’importazione di rifiuti da incenerire. Anche perché il risultato raggiunto da queste politiche pubbliche non è stato così lungimirante. Oggi la Danimarca produce 800 kg di rifiuti urbani per abitante, quasi il doppio della media nei Paesi dell’Unione Europea di 490 kg. Il riciclo è fermo al 44%, mentre il 29% dei rifiuti viene bruciato. Per risolvere il problema della sovracapacità degli inceneritori danesi, stimata intorno alle 700mila tonnellate di rifiuti, il governo nel Piano Climatico 2020 ha previsto una riduzione del 30% della capacità di incenerimento entro il 2030 e fino all’80% per la plastica.

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Siamo sicuri che gli inceneritori non inquinano?

Nel Piano Climatico 2020 si trova anche un’altra informazione: in Danimarca l’incenerimento è responsabile di 1,3 milioni di tonnellate di CO₂ annue, pari al 4,9% delle emissioni nazionali. Insomma, più che risolvere un problema, come ha fatto notare Politico in un articolo intitolatoIl ‘diabolico’ dilemma dei rifiuti della Danimarca: i suoi inceneritori di rifiuti all’avanguardia stanno mandando in fumo le sue ambizioni climatiche”, il ricorso all’inceneritore non è in linea neppure con gli obiettivi europei di decarbonizzazione. 

L’impianto di Copenaghen utilizza sistemi avanzati di filtraggio, tra cui un filtro elettrostatico, un sistema di riduzione catalitica selettiva (SCR) per abbattere gli ossidi di azoto (NOx), scrubber e condensazione del vapore acqueo. Ma bisogna tenere conto di tutte le emissioni indirette: ad esempio per importare rifiuti dall’estero e soprattutto quelle legate al mancato evitamento della produzione di nuova plastica, che possono essere eliminate solo con il riciclo.

È vero: c’è produzione di energia e quindi da quel lato si “recuperano” emissioni, ma resta il fatto che gli obiettivi dell’UE (e del buon senso ambientale) spingono verso l’economia circolare e bruciare rifiuti è considerata la scelta “migliore” solo rispetto alla discarica. E questo, semplicemente, come sottolinea Zero Waste Europe “quando bruciamo plastica, bruciamo essenzialmente carbonio fossile, che ha un tasso di emissioni di CO2 più elevato”. E la Danimarca, addirittura, li importa rifiuti ad alto contenuto di plastica per tenere attivo Amager Bakke.

Senza contare, poi, che manca una certezza assoluta sull’inquinamento da inceneritori. Lo hanno rimostrato associazioni ambientaliste come ZWE, denunciando  tracce di diossine nelle uova e nell’ambiente nei pressi di impianti simili in Olanda e Lituania. Più in generale, le associazioni ambientaliste da anni sostengono che le normative sui termovalorizzatori siano troppo permissive e non coprano tutte le tipologie di particelle e diossine rilasciate.

Inceneritore
Inceneritore

Dopo la combustione, il 17-20% del materiale rimane sotto forma di scorie e ceneri. L’impianto di Copenaghen recupera fino al 90% dei metalli contenuti nelle scorie, con 10-15 kg di metallo estratti ogni 200 kg di residui. Il resto viene impiegato in edilizia, ad esempio per la costruzione di strade. Tuttavia le ceneri volanti, che contengono sostanze tossiche, restano un problema e le strategie per il loro trattamento sono ancora in evoluzione. E parlare di economia circolare, di fronte a un processo che da materiali riciclabili produce polveri residue, con un simile downcycling, se non è greenwashing ci si avvicina molto.

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Il tema della carbon capture e le ombre di greenwashing

Una soluzione di cui si parla ultimamente è quella, perciò, di affiancare la carbon capture ai termovalorizzatori. È quello che sostiene, ad esempio il Climate Change Committee (CCC), ente pubblico di consulenza al governo britannico sui temi ambientali. Nel suo Seventh Carbon Budget Advice ha posto l’attenzione sull’incenerimento e ha consigliato: “I nuovi impianti EfW (Energy Recovery Facility) dovrebbero essere autorizzati solo se è possibile stabilire un percorso praticabile per il collegamento alla CCS (cattura e stoccaggio del carbonio)”.

Infatti, negli ultimi dieci anni “i progressi nella decarbonizzazione del settore dei rifiuti si sono arrestati. I tassi di riciclo si sono stabilizzati e la continua diminuzione delle emissioni di metano dalle discariche è stata compensata da un aumento delle emissioni da incenerimento, soprattutto termovalorizzatori”. Considerando il caso del Regno Unito, l’attuale tasso di cattura e stoccaggio del carbonio è pari allo 0 per cento e difficile, visti i costi che possa salire in fretta nel giro di poco tempo.

E resta il fatto che finora questa soluzione si è rivelata spesso un insieme di promesse esagerate e non mantenute. Anche in questo caso: se non è greenwashing, ci si avvicina molto. Mentre l’unico percorso verso lo zero netto passa solo attraverso la “riduzione dei rifiuti inviati alle discariche e agli impianti di incenerimento”, per citare sempre il CCC. L’opposto di quanto sta facendo la Danimarca con CopenHill e potrebbe fare a breve la città di Roma.

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