Quando decidiamo se prendere un autobus, oltre a considerare la logistica dello spostamento – quanto è distante dal punto dove ci troviamo, i tempi di attesa – per molte e molti di noi un punto non trascurabile è la sicurezza. Se siamo donne, o persone della comunità LGBTQIA+, questa giocherà un ruolo fondamentale nella nostra scelta.
Eppure, l’utilizzo di mezzi pubblici in sostituzione dell’auto è uno dei fattori che contribuirebbe non solo a ridurre le emissioni all’interno delle nostre città, e conseguentemente a incidere positivamente sulla qualità dell’aria, ma con tutta probabilità a migliorare anche il benessere di cittadine e cittadini. Perché questo avvenga è però necessario, a livello amministrativo e politico, mettere in atto una serie di misure volte a rendere questa esperienza sicura e accessibile a tutte e a tutti.
Scrivi quando arrivi
“La sicurezza e l’incolumità sono tra i principali ostacoli alla mobilità delle donne”, a dirlo è la Banca Mondiale: nel report Closing gender gap in transport l’istituto di credito internazionale indaga le diverse implicazioni che un sistema di trasporti tarato unicamente sulle esigenze degli uomini sta producendo in tutto il mondo, a partire dalla sicurezza.
L’elefante nella stanza è infatti la violenza maschile sulle donne in tutte le sue forme, un aspetto che molto spesso non viene preso in considerazione nel pianificare la mobilità cittadina ma che inevitabilmente influenza l’uso dei mezzi pubblici. “Gli studi condotti a livello globale hanno identificato la gravità della situazione che porta la maggior parte delle donne a evitare di viaggiare da sole, in determinate ore del giorno, in determinati luoghi”.
Secondo quanto riportato dal report, le donne hanno infatti il 10% di probabilità in più rispetto agli uomini di sentirsi non al sicuro nelle metropolitane e il 6% in meno negli autobus. Naturalmente il problema non sono solo le molestie o i rischi che si corrono sui mezzi ma anche i percorsi per raggiungerli e le fermate in cui si attende, che possono essere, ad esempio, scarsamente illuminate.
Non a caso in Italia sono nate negli ultimi anni una serie di iniziative che si avvalgono di canali di messaggistica e social per accompagnare, almeno virtualmente, le donne che tornano a casa da sole o per segnalare luoghi sicuri: dalle dirette Instagram di Donne per strada ai loro Punti viola – esercizi commerciali formati per fornire assistenza in caso di situazioni di pericolo – sino a “Scriviquandoarrivi”, la rete solidale su Whatapp nata a Bologna e diffusasi anche in altre città italiane, come Torino, Firenze, Roma e Bergamo.
Il problema è ovviamente non solo italiano: una persona LGBTQ+ su cinque ha subito crimini d’odio sulla rete dei trasporti londinese nell’ultimo anno. È quanto emerso dal sondaggio Out In London – LGBTQ+ people’s safety on the London transport network, pubblicato da London TravelWatch lo scorso novembre, che rivela la portata degli abusi, delle molestie e delle violenze che la comunità LGBTQ+ subisce quando viaggia a Londra e nei dintorni.
Due terzi degli intervistati ritengono infatti che ci sia sempre una possibile minaccia di violenza o di molestie quando si utilizzano i trasporti pubblici. Alcuni poi hanno più timori di altri: secondo l’indagine, le persone trans+, le persone LGBTQ+ sorde e disabili e le persone LGBTQ+ nere hanno più probabilità di esprimere questa opinione rispetto al campione complessivo.
Quattro intervistati su cinque (82%) cambiano il loro comportamento o il loro aspetto per “adattarsi” in modo da evitare abusi o molestie durante i viaggi. Il 65% degli intervistati che hanno subito abusi o molestie mentre viaggiavano a Londra ha dichiarato che i passanti hanno assistito all’incidente non sono intervenuti. Inoltre, precisano: “Molte persone LGBTQ+ con cui abbiamo parlato hanno poca fiducia nella polizia, quindi gli incidenti sulla rete di trasporti pubblici di Londra spesso non vengono denunciati”.
Leggi anche: Una pianificazione inclusiva dei trasporti? Conviene anche all’ambiente
Chi prende i mezzi pubblici?
Nella maggior parte dei Paesi sono proprio le donne ad essere le maggiori fruitrici dei mezzi pubblici e spostarsi maggiormente a piedi rispetto agli uomini, che prediligono invece auto, moto e bicicletta. Un modello di mobilità diversa che, precisa lo studio, è spesso frutto di necessità e non di preferenze.
Quando possono permettersele, precisa lo studio, le donne preferiscono anche opzioni più sicure e veloci, come i servizi di ride-hailing, i servizi “a chiamata” di vetture con autista come il noto Uber.
Tuttavia, è opportuno sottolineare che questi modelli non sono universali. “In Giordania, ad esempio, gli uomini usano i trasporti pubblici più delle donne. Le carenze del trasporto pubblico del Paese e le norme sociali sulla mobilità delle donne hanno spinto le donne ad affidarsi al trasporto privato”.
Limitazioni nell’indipendenza
Potersi muovere liberamente con i mezzi pubblici rappresenta dunque, non solo una scelta maggiormente sostenibile per chiunque ma un maggior grado di libertà e indipendenza, che altrimenti sarebbe difficilmente raggiungibile da molte e molti.
Lo studio sottolinea, infatti, come il trasporto sia usato come mezzo di controllo e coercizione tra le vittime di violenza da parte del partner all’interno di una relazione: le difficoltà legate all’uso dei mezzi di trasporto pubblici aumentano la dipendenza dagli autori di violenza, mettendo le decisioni sulla mobilità della donna nelle loro mani e limitandone l’indipendenza.
In molti Paesi, proseguono nel report dell’istituto di credito, la mancanza di trasporti adeguati può influire sulla possibilità di raggiungere la scuola per le bambine, nella limitazione delle opportunità di lavoro per le donne, nella disoccupazione e nell’impossibilità di accedere ai servizi sanitari o di assistenza all’infanzia. “Se le donne avessero piena parità con gli uomini nella scelta e nell’utilizzo dei mezzi di trasporto, avrebbero un maggiore controllo sulle loro scelte di vita“.
Leggi anche: Ciclabili e trasporto collettivo, a che punto siamo con la mobilità sostenibile in Italia
Le opportunità di lavoro
Le implicazioni di una carenza di un sistema di trasporto sicuro ed adeguato poi riguardano innumerevoli aspetti pratici: primo fra tutti il lavoro. Secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (OIL) la mancanza di trasporti sicuri riduce la probabilità che le donne partecipino alla forza lavoro di circa il 16,5%.
Inoltre, le donne incontrano maggiori difficoltà a trovare lavoro e a fare carriera – anche – nel settore dei trasporti. Esse rappresentano meno del 20% della forza lavoro globale nel settore dei trasporti e del magazzinaggio. I ruoli ricoperti dalle donne si concentrano principalmente nell’amministrazione, nelle vendite e nella ristorazione, che tendono a essere le posizioni meno retribuite. Il numero di donne impiegate come ingegneri, autisti e dirigenti nel settore è inferiore a quello degli uomini. Le cattive condizioni di lavoro, come la mancanza di accesso ai servizi igienici e alle pause, la mancanza di turni di lavoro flessibili, la violenza, le molestie e la discriminazione, sono alcune dei numeri ostacoli che le donne incontrano per entrare e rimanere nel settore.
La mancanza di mezzi di trasporto serali può anche significare che le donne che lavorano nel settore dei servizi sono meno propense ad accettare lavori con turni notturni.
Sempre secondo i dati presenti nel report, nelle aree urbane del Medio Oriente e Nord Africa, in particolare in Giordania, Libano e in Egitto, un gran numero di donne che non lavorano afferma che la mancanza di mezzi di trasporto a prezzi accessibili, comodi, sicuri ed efficienti impedisce loro di cercare lavoro: tre donne su cinque ad Amman, una su due a Beirut e due su cinque al Cairo.
Uno studio McKinsey ritiene che in uno scenario di “pieno potenziale” in cui le donne svolgono un ruolo identico a quello degli uomini nei mercati del lavoro, il PIL annuale globale potrebbe aumentare di ben 28.000 miliardi di dollari, ovvero del 26%, entro il 2025.
Mobilità di cura e pink tax
Come abbiamo visto, il divario di genere nella mobilità colpisce in maniera trasversale molti Paesi: “Sebbene si sia ridotto nei Paesi sviluppati negli ultimi 30 anni, – fanno sapere dal report – rimane significativo. Nei Paesi in via di sviluppo, invece, persistono grandi differenze, alcune delle quali si sono si sono ampliate dopo la pandemia da COVID-19”.
Le barriere alla mobilità che colpiscono in modo sproporzionato le donne sono poi interconnesse. Le donne trascorrono una quota significativa dei loro spostamenti quotidiani per la cosiddetta “mobilità di cura“, ovvero una quantità di viaggi associati al lavoro di cura per accompagnare le persone non autosufficienti e per svolgere le faccende domestiche.
Va da sé che i complessi spostamenti delle donne e la maggiore dipendenza dal trasporto pubblico rispetto agli uomini spesso si traducono in costi di viaggio più elevati. Ad esempio, i dati provenienti da diverse città e riportati nello studio rivelano che le donne devono pagare opzioni di trasporto più costose per aumentare la loro sicurezza durante gli spostamenti. Si tratta della cosiddetta pink tax, cioè la tassa rosa, un importo aggiuntivo che le donne pagano per determinati prodotti e servizi, in questo caso i trasporti.
L’abitudine di modificare il proprio tragitto per questioni di sicurezza da parte delle donne è un problema di cui avevamo già parlato su EconomiaCircolare.com, raltivamente a percorsi pedonali e ciclabili all’interno delle aree verdi urbane.
E sempre a proposito di costi, le barriere a volte non sono solo figurate: uno studio dell’Universidad Pedagógica de Colombia a Tunja ha rivelato che le persone con disabilità utilizzano i trasporti pubblici il 33% in meno rispetto al resto della popolazione e prendono i taxi sei volte di più delle persone senza disabilità. “Le donne con caratteristiche come disabilità, povertà o identità sessuale non binaria sono colpite in maniera ancora più sproporzionata dall’assenza di approcci inclusivi nella pianificazione”.
Leggi anche: Design di genere, ripensare le città tra cura del paesaggio e delle aree verdi
Barriere e soluzioni
Oltre a quelle citate esistono anche altre barriere alla mobilità non legate direttamente al trasporto, come le norme sociali e di genere, che influenzano la decisione delle donne di spostarsi e di usare il trasporto pubblico. Queste barriere comprendono le quote diseguali di lavoro domestico e di cura non retribuito, e i ruoli di genere che condizionano la mobilità delle donne e delle ragazze o il loro comportamento individuale.
Fermo restando che il problema è sistemico e che sia necessario un percorso di consapevolezza e interventi mirati per sradicare la cultura dello stupro alla base, secondo la Banca Mondiale, esistono soluzioni concrete che possono contribuire a migliorare la mobilità delle donne: facilitare la denuncia di aggressioni e campagne di comunicazione sono solo un piccolo tassello in questo quadro.
Ad esempio, i sussidi per i trasporti potrebbero essere inclusi nei programmi di trasferimento di denaro per le donne a basso reddito.
Leggi anche: Città 30, la mobilità sana e sicura in Europa piace. E in Italia?
© Riproduzione riservata