Ogni anno, nel mondo, oltre 1,3 miliardi di tonnellate di cibo finiscono tra i rifiuti. Una cifra impressionante. Uno spreco economico, una fonte di emissioni climalteranti e un grande problema legato al conferimento degli scarti e quindi alla gestione ambientale.
Oggi la ricerca scientifica propone un cambio di paradigma: i rifiuti alimentari possono diventare una risorsa preziosa grazie alle biotecnologie.
Leggi anche: Sicurezza alimentare? Un impegno circolare per un futuro senza sprechi e cibo sano per tutti
Da rifiuto a ricchezza
Una delle innovazioni più sorprendenti arriva dall’uso dell’elettricità per rompere le strutture cellulari dei materiali organici, liberando composti bioattivi e facilitando la loro trasformazione. Come racconta Anthropocene Magazine, brevi impulsi elettrici possono aumentare l’efficienza dei processi successivi, rendendo più agevole la produzione di biogas, fertilizzanti e ingredienti naturali. Parallelamente diversi studi pubblicati su riviste scientifiche internazionali mostrano come microrganismi ed enzimi possano degradare i rifiuti alimentari e convertirli in prodotti ad alto valore aggiunto. Uno studio pubblicato su Springer esplora approcci “waste-to-wealth”, letteralmente “da rifiuto a ricchezza”, che includono la produzione di bioplastiche, biocarburanti, composti aromatici e nutrienti funzionali.

Anche la chimica gioca un ruolo cruciale. Un articolo pubblicato su RSC Publishing evidenzia come la valorizzazione integrata dei rifiuti possa contribuire al processo cibo-energia-acqua-materiali, dove i residui di un settore diventano input per un altro. In questa logica, i sottoprodotti agricoli possono alimentare impianti di digestione anaerobica – strutture che trasformano la materia organica (come rifiuti urbani, fanghi di depurazione o scarti agricoli) in energia e compost, tramite un processo biologico in assenza di ossigeno – generando energia pulita e fertilizzanti organici.
Biogas e riduzione dell’inquinamento delle acque
Un ulteriore passo avanti arriva dall’aggiunta di materiali conduttivi, come l’ossido ferrico, nei processi di co-digestione anaerobica. Secondo uno studio su arXiv, archivio della Cornell University, un’università di ricerca partner della State University of New York (SUNY), questa tecnica può aumentare la resa in biogas e migliorare la stabilità dei processi. È un esempio di elettrochimica applicata alla valorizzazione dei rifiuti. Un campo emergente che unisce biologia, chimica e ingegneria. Spieghiamo meglio: l’aggiunta di ossido ferrico al processo di trattamento dei rifiuti alimentari insieme alle acque reflue dei macelli può aumentare in modo significativo la produzione di biogas e quindi di energia rinnovabile.
Questo materiale aiuta i microrganismi a lavorare meglio, accelerando la decomposizione della materia organica e riducendo l’inquinamento dell’acqua. Inoltre, rende il processo più stabile ed efficiente. I risultati mostrano che questa tecnologia ha ottime potenzialità per un uso industriale, offrendo un modo più sostenibile per gestire i rifiuti e produrre energia pulita.
Le nuove frontiere del cibo
Altri studi, come quello pubblicato su MDPI – un archivio ad accesso aperto con base a Basilea, pioniere dell’editoria accademica – mostrano come sia possibile estrarre composti bioattivi dagli scarti, antiossidanti, polifenoli, fibre e impiegarli per cosmetici, integratori e nutraceutici, prodotti di origine alimentare o di sintesi che, oltre a svolgere una funzione nutrizionale, apportano specifici benefici per la salute e il benessere dell’organismo (“nutraceutico” è un neologismo coniato nel 1989 che sintetizza nutrizione e farmaceutica). Una nuova frontiera che trasforma gli scarti alimentari in ingredienti ad alto valore economico.

Ma la rivoluzione non è solo tecnologica. Come sottolinea una ricerca su PMC – un archivio gratuito di articoli scientifici a testo completo nel campo della biomedicina e delle scienze della vita, gestito dalla National Library of Medicine (NLM), che fa parte dei National Institutes of Health (NIH) degli Stati Uniti – è essenziale ripensare logistica, governance e politiche per creare filiere circolari. Innovare i processi non basta: servono modelli economici sostenibili e incentivi per favorire l’adozione su larga scala. In questo scenario emerge anche il concetto di “waste-to-protein”, ovvero la conversione degli scarti in proteine alternative attraverso fermentazioni o colture microbiche, come illustrato da un altro studio su arXiv. Un approccio che affronta due sfide globali: ridurre lo spreco e garantire nuove fonti di nutrizione sostenibile.
Tutte queste tecnologie convergono verso un obiettivo comune: chiudere il cerchio del cibo. Ogni fase della catena alimentare — dalla produzione al consumo — può contribuire a generare nuove risorse. L’obiettivo non è solo ridurre gli scarti, ma trasformarli in opportunità rigenerative.
Gli ostacoli restano: costi iniziali elevati, necessità di infrastrutture dedicate e normative aggiornate. Ma la direzione è tracciata. Il futuro del cibo e della sostenibilità passa attraverso ingegno e processi scientifici. Una scossa elettrica, un batterio o un processo biochimico possono trasformare lo scarto in risorsa.
Leggi anche: lo Speciale su cibo e ambiente
© Riproduzione riservata



