“Francia, Italia e Svezia inondano la COP30 con lobbisti dei combustibili fossili, minando la credibilità dell’UE come leader autoproclamato in materia di clima, già messa in dubbio quando è arrivata con fragili obiettivi climatici per il 2040″, ha affermato Kim Claes di Friends of the Earth Europe, parte della coalizione Fossil Free Politics. Oggi grazie a nuova analisi condotta appunto da Fossil Free Politics (FFP) e dalla coalizione Kick Big Polluters Out sappiamo quanti lobbisti sono accreditati per prendere parte alle trattative per il clima di Belém: “I lobbisti dei combustibili fossili invadono i negoziati sul clima della COP30 in Brasile, con la più alta percentuale di partecipazione mai registrata”. Ogni 25 delegati che incontrereste se foste nelle stanze della Conferenza, uno sarebbe un lobbista. Che – come inchieste condotte per le COP precedenti ci hanno dimostrato – lavora per gli interessi della propria azienda anziché per quelli della collettività.
“Poiché non siamo in una transizione reale e giusta, ma piuttosto nell’espansione di un modello energetico cupo che aggrava le cause della crisi climatica e ambientale, i tentacoli delle società estrattive si stanno diffondendo nei tavoli di discussione e negli spazi decisionali, contribuendo a un’irreparabile inazione climatica“, ha detto Liliana Buitrago, dell’associazione Pacto Ecosocial del Sur.
“La neutralità e l’indipendenza dei processi negoziali è un prerequisito fondamentale per ottenere risultati rilevanti e liberi dagli interessi delle compagnie fossili ed è una richiesta che le organizzazioni sociali portano avanti con forza” ricorda Laura Greco, presidente di A Sud.
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Presenza schiacciante dell’industria delle fossili
Secondo la coalizione Kick Big Polluters Out (KBPO), sono oltre 1600 i lobbisti dell’industria dei combustibili fossili che hanno ottenuto l’accesso ai negoziati sul clima, “segnando così un altro anno di presenza schiacciante dell’industria in occasione di negoziati cruciali sul clima”. Sebbene in numeri assoluti la partecipazione alla COP30 sia inferiore rispetto alla COP29 in Azerbaigian (1773) e alla COP28 a Dubai (2456), “la percentuale di lobbisti dei combustibili fossili è aumentata fino a raggiungere quasi 1 su 25 delegati presenti a Belém”.
KBPO ricorda che nonostante la crisi climatica, gli uragani, il caldo record e le inondazioni, “l’industria continua ad espandere le proprie attività, con quasi 250 miliardi di dollari approvati per nuovi progetti petroliferi e gasieri dalla COP29”. Per queste imprese la transizione energetica non esiste o è, nel migliore dei casi, puro greenwashing.
Ricordo che le analisi di KBPO e FFP considerano un lobbista dei combustibili fossili “qualsiasi delegato individuale che rappresenti un’organizzazione o sia membro di una delegazione che si possa ragionevolmente ritenere abbia l’obiettivo di influenzare la formulazione o l’attuazione di politiche o leggi nell’interesse dell’industria dei combustibili fossili, o di una particolare azienda del settore e dei suoi azionisti”.
Quella dei lobbisti ‘fossili’ è la seconda delegazione più numerosa
L’analisi mette in luce che se i lobbisti di petrolio, gas e carbone fossero un paese, avrebbero la delegazione più numerosa, seconda solo a quella del paese ospitante, il Brasile (3805 delegati). In termini percentuali, si tratta di un aumento del 12% rispetto ai negoziati sul clima dello scorso anno a Baku, in Azerbaigian. “La più grande concentrazione di lobbisti dei combustibili fossili alla COP da quando abbiamo iniziato ad analizzare i partecipanti alla conferenza”, sottolinea KBPO.
Volendo mostrare un altro confronto che rivela l’assurdità di accogliere queste imprese alle Conferenze sul clima, KBPO ha calcolato che i pass dei lobbisti dei combustibili fossili sono il 66% in più rispetto a tutti i delegati dei 10 paesi più vulnerabili al cambiamento climatico messi insieme, “evidenziando come la presenza dell’industria continui a oscurare quella di chi è in prima linea nella crisi climatica”.

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Cosa fanno i lobbisti alle COP
Per fugare i dubbi su cosa i lobbisti vadano a fare alle COP basti ricordare quello che è successo lo scorso anno in Azerbaigian. Elnur Soltanov è vice ministro dell’Energia del Paese e fa parte del consiglio di amministrazione della State Oil Company of Azerbaijan Republic (SOCAR). E come risulta chiaro dalle parole dei video registrati da Global Witness e diffusi dalla BBC fa benissimo il suo lavoro di lobbista sia per la Socar che per il suo Paese. Peccato che Sultanov fosse anche – scelta evidentemente sciagurata – l’amministratore della COP29. Le registrazioni pubblicate dalla BBC mostrano l’amministratore delegato della COP che, durante colloqui con attivisti di Global Witness che si sono finti dipendenti di una società di investimento di Hong Kong, sfruttava il suo ruolo alla COP per discutere di potenziali accordi sui combustibili fossili.
Restando a Baku, l’anno scorso l’Italia ha portato sette lobbisti di Italgas, la più ampia delegazione di combustibili fossili portata da uno Stato membro dell’UE. Per far cosa? Il secondo giorno della Conferenza delle Parti, come recita senza imbarazzo un comunicato stampa, “Italgas e l’ospite azero SOCAR hanno firmato un accordo per una partnership strategica… sulla distribuzione del gas“.
“La presenza dei lobbisti dei combustibili fossili negli spazi di negoziazione delle Nazioni Unite, dove non dovrebbero stare, continua a crescere. Più che mai, stanno promuovendo ‘soluzioni’ che vanno bene per i loro affari ma non per le persone e il clima. CCS, idrogeno, biogas dovrebbero essere etichettati come greenwashing per l’espansione dell’estrazione di petrolio e gas che continua ad avvenire, e le aziende di combustibili fossili dovrebbero pagare per l’impatto globale delle loro attività”, ha detto Elena Gerebizza, attivista per l’energia e le infrastrutture di ReCommon.
Se è il governo ad aprire la porta ai lobbisti
Quali sono le lobby più rappresentate alla COP30? “Le principali associazioni di categoria rimangono uno strumento fondamentale per l’influenza dei combustibili fossili, con l’International Emissions Trading Association che conta 60 rappresentanti, tra cui delegati dei giganti del petrolio e del gas ExxonMobil, BP e TotalEnergies”. Quanto ai lobbysti italiani nella lista degli accrediti troviamo dipendenti Enel, la delegazione più numerosa (5), Acea (4), Edison, Confindustria e Venice Sustainability Foundation (1 a testa). Manca invece, a differenza dello scorso anno, ENI.
A rendere ancora più grave questa partecipazione è il fatto che gran parte di queste persone entrano alla COP grazie ad accrediti governativi, come denunciato anche dalla campagna Clean the COP voluta da A Sud, EconomiaCircolare.com e Fondazione Openpolis proprio per chiedere al governo e al ministero dell’Ambiente di “non accreditare più alle COP chi ha interessi opposti alla decarbonizzazione e al fase out di petrolio, gas, carbone”. In totale, ha calcolato KBPO, “circa 599 lobbisti ottengono l’accesso tramite badge di overflow dei Paesi, che consente accessi dietro le quinte ai meccanismi interni dei negoziati”. Tutti i 12 lobbisti italiani hanno accredito del governo (“Party oveflow badge”).
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Da Italia, Francia e Svezia “tappeto rosso per i lobbisti”
Se il commissario europeo per il clima Wopk Hoekstra “ha mantenuto la parola e non ha portato nessun grande produttore di emissioni alla COP30 di Belém”, gli Stati membri dell’UE hanno alimentato la contraddizione tra gli obiettivi climatici e gli inviti alla COP: “Nove governi dell’UE hanno portato 84 lobbisti del settore dei combustibili fossili alla COP30 nelle loro delegazioni governative ufficiali” spiega FFP. Che ricorda come nel decimo anniversario della firma dell’Accordo di Parigi, in cui i paesi si sono impegnati a mantenere l’aumento della temperatura globale al di sotto di 1,5 °C, “Francia e Italia, coerenti nel loro sostegno alle industrie inquinanti, hanno steso ancora una volta il tappeto rosso proprio alle forze che stanno causando il riscaldamento globale”.
Secondo Kim Clae di Friends of the Earth Europe, “questo rischia di trasformare i negoziati delle Nazioni Unite in una piattaforma per il greenwashing invece che in un luogo in cui limitare il riscaldamento globale a 1,5 °C. Abbiamo urgente bisogno di un firewall attorno al processo decisionale dell’ONU e dell’UE in materia di clima per tenere fuori gli interessi acquisiti come TotalEnergies e altri inquinatori“.
Le delegazioni ‘fossili’ più numerose dai paesi UE arrivano infatti da Francia (cinque lobbisti di TotalEnergies, tra cui l’amministratore delegato Patrick Pouyanné, insieme a nutrite delegazioni di EDF ed Engie), Svezia (Siemens Energy, E.ON SE e Hitachi Energy) e Italia con rispettivamente 22, 18 e 12 lobbisti. Tra gli italiani “lobbisti di Confindustria ed Edison, quest’ultima coinvolta nelle importazioni di GNL dagli Stati Uniti. Il Paese ha inoltre inviato un consulente di Snam, il più grande operatore europeo nel settore del trasporto di gas, che è stato inserito nella delegazione della Fondazione Venezia Sostenibilità”.
Secondo il direttore del nostro magazine, Raffaele Lupoli, “l’Italia ha le carte in regola per essere protagonista dell’economia sostenibile, ma se porta al tavolo delle scelte coloro che vogliono continuare a renderla insostenibile perderemo questa preziosa opportunità.”.
Oltre alla “coerenza climatica” si pone anche una questione democratica: “Anche quest’anno l’Italia è tra i paesi che hanno inviato più lobbisti alla COP, senza un confronto pubblico sull’opportunità di questa decisione – dice Michele Vannucchi di Fondazione Openpolis”. Al contrario “è fondamentale che in futuro l’esecutivo presenti in parlamento l’elenco delle persone a cui ha fornito un accredito spiegando, nel caso, qual è il senso di invitare portatori di interessi del mondo del fossile a una conferenza sul cambiamento climatico”.
Altre delegazioni dell’UE: la Danimarca ha portato 11 lobbisti, mentre il Belgio e il Portogallo ne hanno portati 8 ciascuno.
Ci sono però anche paesi più coerenti con gli impegni contro la crisi climatica: “Fortunatamente, grazie alle pressioni esercitate sul commissario per il clima Hoekstra, la Commissione europea non ha incluso alcun lobbista del settore dei combustibili fossili nella sua delegazione, per il secondo anno consecutivo”, ricorda FFP. E “Germania e Austria si erano già impegnate prima della COP a non portare lobbisti del settore dei combustibili fossili ai negoziati”.

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Un’assurdità che va fermata
Queste ingombranti presenze nei luoghi dove si decide il futuro di noi tutti “rafforzano l’urgente necessità di proteggere i negoziati delle Nazioni Unite sul clima attraverso l’adozione di politiche chiare in materia di conflitti di interesse e misure di responsabilità, con i paesi che rappresentano collettivamente oltre il 70% della popolazione mondiale che hanno richiesto che tali conflitti di interesse vengano affrontati”, chiede la coalizione Kick Big Polluters Out. Se “è un segnale forte da parte della Commissione europea quello di non portare i lobbisti dei combustibili fossili alla COP per il secondo anno consecutivo – fa eco Claes, FFP- ora è il momento di sancire questo approccio nella politica dell’UE e garantire che le delegazioni nazionali alla COP seguano l’esempio“. Laura Greco, A Sud, ricorda che “negli ultimi anni grazie alle pressioni della società civile sono stati fatti importanti passi avanti sulla trasparenza, ma – osserva – manca ancora un firewall che impedisca finalmente alle imprese fossili di partecipare ai negoziati o di sponsorizzarli. E’ il momento che l’UNFCCC agisca in tal senso”.
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