Le aziende attive nel settore delle batterie hanno cominciato a ridurre gli impatti negativi sui diritti umani e sull’ambiente lungo le loro catene di fornitura grazie investimenti verdi e il monitoraggio dei fornitori, attraverso strumenti digitali e audit, adeguandosi a quanto prevede la direttiva europea sulla Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CSDDD).
Tuttavia molti di questi sforzi restano difficili da quantificare e la mancanza di parametri standardizzati limita la trasparenza e la comparabilità tra le aziende. Sebbene le potenzialità di trasformare in positivo le catene di fornitura della direttiva sulla due diligence, rischia di essere solo un adempimento formale e burocratico se la sua attuazione non prevede obiettivi rigorosi e misurabili per monitorare sia la conformità aziendale sia gli effetti sistemici della legislazione sulla sostenibilità ambientale.
Sono, in breve, le conclusioni a cui giunge uno studio di Resources for the Future (RFF), un istituto di ricerca indipendente e senza scopo di lucro con sede negli Stati Uniti, a Washington. Lo studio merita particolare attenzione dopo il rinvio al 2027 della misura “stop the clock” contenuta all’interno del pacchetto Omnibus I, stabilito dal Consiglio dell’Unione Europea lo scorso settembre, con l’idea di semplificare le normative europee ma che in realtà indebolisce la legislazione europea – tra cui la direttiva CSDDD. E il pericolo che tutto si trasformi in un mero onere burocratico è innegabile.
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Direttiva sulla due diligence: gli effetti nel settore delle batterie
Allo stato attuale, la filiera delle batterie è ancora marginale e concentrata soprattutto nella produzione, con capacità estrattive e di raffinazione limitate al polo di Kokkola, in Finlandia, e concentrate nella produzione e lavorazione di nickel e cobalto. L’Unione Europea dipende quindi da forniture esterne per litio, cobalto, nichel, grafite e terre rare, importati in gran parte da pochi paesi: il litio dal Cile (79% del fabbisogno europeo), il cobalto dalla Repubblica Democratica del Congo (68% del totale), spesso lavorato in Cina, e un’ampia quantità di nichel dalla Russia.
L’UE si trova dunque in una situazione di vulnerabilità strategica mentre la domanda di materiali cresce rapidamente. Il Critical Raw Materials Act dell’Unione Europea mira ad aumentare l’autosufficienza, fissando obiettivi come il 40% di trasformazione nazionale e il 10% di estrazione entro il 2030: ma non sono previsti finanziamenti dedicati per raggiungere questi obiettivi. Così Bruxelles per il momento si è limitata a cercare nuovi accordi per le forniture con altre nazioni come Cile, Argentina e Indonesia, investendo contemporaneamente nelle tecnologie di riciclo.
In questo contesto si inseriscono altre normative come il nuovo Regolamento batterie del 2024, che introduce requisiti sul ciclo di vita, quote minime di contenuto riciclato e il battery passport, ma anche la Corporate Sustainability Due Diligence Directive (CSDDD), il cui scopo è garantire al tempo stesso che i materiali destinati al mercato europeo rispettino standard ambientali e sociali coerenti con le aspettative dei consumatori.
Nel dettaglio la direttiva CSDDD richiede alle grandi aziende di “identificare e affrontare gli impatti negativi sui diritti umani e sull’ambiente: (1) integrare la due diligence nelle politiche e nei sistemi di gestione; (2) identificare e valutare gli impatti negativi sui diritti umani e sull’ambiente; (3) prevedere, cessare o minimizzare gli impatti negativi reali e potenziali sui diritti umani e sull’ambiente; (4) monitorare e valutare l’efficacia delle misure; (5) comunicare e (6) prevedere misure di rimedio per i danni causati”.
Le iniziative di conformità alla due diligence delle aziende produttrici di batterie
Lo scopo principale della direttiva CSDDD è quello di cambiare le pratiche commerciali, spingendo le aziende a tenere conto dei diritti umani e degli standard ambientali nella catena di fornitura. Le imprese possono rispondere alla normativa sia con investimenti per rendere più sostenibili produzione, approvvigionamento e condizioni di lavoro, sia con attività di due diligence sui fornitori, assicurando che non ci siano violazioni lungo la catena di approvvigionamento.
L’analisi di RFF evidenzia come negli ultimi anni i grandi gruppi automobilistici europei abbiano avviato progetti in paesi in via di sviluppo. BMW e BASF hanno lanciato l’iniziativa “Cobalt for Development” nella Repubblica Democratica del Congo, con l’obiettivo di migliorare le condizioni di lavoro e promuovere pratiche minerarie responsabili nell’estrazione artigianale del cobalto, affrontando i problemi legati a lavoro minorile e sicurezza sul lavoro. Volkswagen, ha riconosciuto la propria responsabilità lungo l’intera filiera e la necessità di due diligence sui diritti umani per l’approvvigionamento di materie prime e ha costituito insieme ad altri grandi costruttori la Responsible Lithium Partnership, per sostenere un’estrazione di litio sostenibile nell’area del Salar de Atacama in Cile.
Renault nel 2022 ha siglato un accordo con il gruppo marocchino Managem per garantire cobalto tracciabile e a basse emissioni per le batterie dei veicoli elettrici e una nuova raffineria alimentata per l’80% da energia eolica. Nel 2023 Volkswagen ha annunciato un investimento di un miliardo di euro in Brasile per ampliare la gamma di veicoli elettrici e a combustibili alternativi, mentre BMW ha destinato 200 milioni di euro per elettrificare lo stabilimento di Rosslyn in Sudafrica nella produzione di veicoli ibridi plug-in. Infine, Volvo ha investito 160 milioni di euro nell’espansione dello stabilimento di Hosakote in India, puntando sulla mobilità green.
“Queste iniziative – concludono gli autori dello studio – mostrano un impegno crescente verso tecnologie verdi e diritti del lavoro, ma resta incerto quanto siano state indotte direttamente dagli obblighi di due diligence europea”. Il problema centrale, però, non è solo questo, come fanno notare immediatamente dopo gli autori della ricerca. Il tema principale legato alla direttiva CSDDD è soprattutto che “non include obiettivi chiari che le aziende devono raggiungere. Pertanto, valutare l’efficacia di tali leggi nel migliorare la sostenibilità della catena di fornitura è particolarmente impegnativo”.
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Il problema della misurazione, della raccolta dati e della verifica
Questa mancanza incide negativamente soprattutto nel tracciamento dei minerali lungo la filiera. Esistono le certificazioni volontarie come Copper Mark, i principi dell’International Council on Mining and Metals (ICMM), gli standard IRMA o TSM: sono adottate da molte imprese, ma variano in rigore e in alcuni casi sono persino accusate di greenwashing, con il rischio – come ha fatto notare Human Rights Watch – che le aziende che si affidano a queste certificazioni non garantiscano reali miglioramenti ambientali e sociali.
Anche quando le case automobilistiche impongono standard più elevati ai fornitori, è quasi impossibile misurare con precisione gli effetti di tali pratiche nelle miniere. “Data la difficoltà di verificare le attività di due diligence all’interno di catene di fornitura frammentate – sostengono dunque gli autori di RRF – passare dalla mera rendicontazione procedurale all’introduzione di metriche quantificabili e basate sulla performance, rispetto alle quali la conformità possa essere valutata in modo sostanziale, aumenterebbe la probabilità di ottenere risultati migliori”.
Per lo sviluppo di tali metriche, strumenti o regolamentazioni già esistenti (ad esempio il Critical Raw Materials Act o il passaporto per le batterie) possono rappresentare un utile punto di partenza. “Limitarsi agli impegni dichiarati o alla partecipazione ad audit offre infatti un quadro molto limitato sul reale comportamento dei fornitori”, fanno notare gli autori. “Al contrario – prosegue lo studio – gli schemi di due diligence potrebbero richiedere alle imprese di riportare con costanza indicatori specifici come, per esempio, le emissioni di carbonio per unità di prodotto, il volume d’acqua consumato per prodotto, o la percentuale di elettricità proveniente da fonti rinnovabili. Un vantaggio di queste metriche è che possono essere monitorate nel tempo e confrontate tra fornitori, valutando non solo la conformità, ma anche i progressi”.
Gli autori dello studio fanno una serie di esempi concreti: “Per gli aspetti legati al lavoro, le metriche potrebbero includere la percentuale di lavoratori coperti da contratti collettivi, il numero di incidenti di salute e sicurezza sul lavoro per cento dipendenti a tempo pieno, oppure il rapporto tra il salario medio e la soglia di salario dignitoso locale”. A cui si aggiungono metriche settoriali che riflettano i rischi materiali e l’impronta ambientale o sociale di ciascun settore. “Ad esempio, nell’automotive, indicatori ambientali pertinenti possono includere le emissioni lungo l’intero ciclo di vita dei componenti delle batterie, la percentuale di materiali riciclati utilizzati nella produzione dei veicoli o la quota di cobalto e litio proveniente da aree certificate come prive di conflitti armati”.
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Soluzioni per ridurre i costi di adattamento alla direttiva
C’è infine il tema, sicuramente non marginale, dei costi che le nuove normative europee possono comportare alle aziende e ai consumatori. l primi sono dovuti all’aumento dei costi di conformità, come i costi amministrativi per il reporting o eventuali costi fissi per il cambio di fornitore. Un argomento su cui fanno forza attualmente le lobby per rallentare l’implementazione delle leggi sulla sostenibilità ambientale e che sta sempre trovando sponde a Bruxelles, come dimostra il pacchetto Omnibus I in fase di approvazione, che rischia di ridurre l’efficacia annacquando la CSDDD.
Il secondo modo in cui la CSDDD può influire sui costi di decarbonizzazione è che i miglioramenti nella sostenibilità nei punti di estrazione e lavorazione delle miniere potrebbero aumentare i costi di approvvigionamento dei minerali. Se i minerali sostenibili dal punto di vista ambientale e sociale sono più costosi, il prezzo dei veicoli elettrici potrebbe aumentare, rallentandone potenzialmente l’acquisto da parte dei cittadini. Identificare l’impatto della CSDDD sui prezzi dei minerali è quindi un primo passo per comprendere come la politica inciderà sull’elettrificazione dei trasporti.
Tuttavia, gli autori fanno notare come sempre più consumatori siano interessati alla sostenibilità ambientale e sociale dei veicoli e questo può portarli ad accettare eventuali prezzi più alti. Naturalmente, in presenza di prove verificabili che le batterie siano prodotte in modo sostenibile. In quest’ottica, il battery passport, promosso dalla Global Battery Alliance – in cui all’interno è possibile trovare informazioni accurate sull’impatto ambientale e il tracciamento digitale lungo la filiera – offre una soluzione interessante, perché i consumatori possono ricavare facilmente informazioni sulla sostenibilità (o meno) delle batterie dei loro veicoli elettrici.
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