I carburanti sintetici – in particolar modo biocarburanti ed efuel – sono al centro del dibattito europeo per le loro implicazioni energetiche nel settore dei trasporti, e nello specifico, nel settore dell’automotive. Secondo indiscrezioni riportate dal think tank per il clima ECCO, rientreranno nel nuovo Piano Industriale Verde per la neutralità climatica dell’Unione Europea, A Green Deal Industrial Plan for the Net-Zero Age, presentato il 1° febbraio dalla Commissione Europea, a cui verranno integrate proposte legislative in questi giorni. Nonostante la loro efficienza energetica sia decisamente inferiore a quella del motore elettrico, come riportato da ECCO, l’industria energivora e l’industria dell’automotive hanno richiesto al regolatore europeo di investire i fondi previsti dai piani europei come il Pnrr e il piano integrativo sull’energia, il RepowerEu, sui combustibili sintetici.
L’apertura da parte dei rappresentanti dei direttorati generali per la Mobilità e il Clima della Commissione sarebbe una concessione della Commissione a seguito delle lamentele dell’industria dell’automotive tedesca e italiana per lo stop europeo delle auto con motore termico previsto dal Regolamento 2019/631 sugli standard CO2 auto al 2035 (zero emissioni per le nuove immatricolazioni). Il timore espresso pubblicamente dall’industria automobilistica europea è quello di dover dirottare tutti gli investimenti nel motore elettrico, con conseguenze sociali e occupazionali notevoli, quando ci sarebbero alternative valide date dai combustibili sintetici e dai biocarburanti.
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Cosa sono gli e-fuels
Gli e-fuels fanno parte dei combustibili sintetici, sono anche chiamati “powerfuel” o “power-to-X (PtX)”, e sono combustibili di origine sintetica liquidi o gassosi, prodotti tramite processi che richiedono una grande quota di energia elettrica rinnovabile. La produzione di efuel si basa, infatti, sull’estrazione dell’idrogeno, attraverso un processo di elettrolisi che scompone l’acqua in idrogeno e ossigeno. Per questo processo e per le ulteriori fasi di produzione è necessaria molta elettricità.
In una seconda fase, invece, l’idrogeno viene combinato con la Co2 estratta dall’aria e convertita in un vettore energetico liquido: l’efuel, appunto. L’intero processo è noto come power-to-liquid: l’elettricità viene convertita in un liquido sintetico facile da immagazzinare e da trasportare, compatibile, quindi con l’esistente infrastruttura di trasporto, distribuzione e stoccaggio. Dal punto di vista dell’impatto ambientale, un’auto alimentata con e-fuel emette Co2 solo localmente, nella stessa quantità immagazzinata nel carburante utilizzata per la sua produzione, risultando, cioè, climaticamente neutra.
L’industria dell’automotive considera gli efuel necessari e complementari alla produzione dei motori elettrici, anche perchè i carburanti sintetici possono essere utilizzati senza nessuna modifica meccanica. Per alcuni esperti sarebbero una valida alternativa per evitare i problemi strutturali, economici e logistici che caratterizzano il passaggio all’auto elettrica. Gli efuel risultano ancora profondamente marginali nel processo di riconversione dell’intero settore dei trasporti. Il timore, espresso anche dai ricercatori e dalle ricercatrici del think tank di Ecco, è di dirottare gli investimenti per le tecnologie pulite previste dai piani di ripresa europei come il Pnrr e il RepowerEu, in soluzioni deboli e insufficienti al raggiungimento della neutralità climatica. Non mancano però i problemi legati alla produzione e all’utilizzo degli efuel.
Come riportato anche in un altro approfondimento di ECCO sull’efficienza energetica dell’auto elettrica, la produzione industriale di un litro di syndiesel (carburante sintetico decarbonizzato) con tecnologia Fischer-Tropsch, la più diffusa e consolidata al momento, richiede fino a 0,5 kg di idrogeno e 3,6 kg di CO2, che dovrebbe essere prelevata dall’atmosfera, per un bilancio totale di consumi elettrici stimati in 25-28 kWh, quantificato da Ecco come quattro volte il consumo medio giornaliero di elettricità di una famiglia italiana. Inoltre, un litro di syndiesel consente di percorrere circa 20 chilometri, mentre con la stessa quantità di elettricità finale necessaria per la sua produzione un’auto elettrica ne percorrerebbe circa 200.
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La convergenza Germania-Italia
Il carattere altamente energivoro della produzione di e-fuels li rende, quindi, una tecnologia non competitiva con l’elettrificazione diretta della mobilità su strada. La loro promozione su larga scala da parte dell’industria energivora e dell’automotive rischia, inoltre, di dirottare la produzione di elettricità rinnovabile necessaria alla decarbonizzazione dei consumi in altri settori, come quelli hard to abate, compromettendo gli obiettivi di transizione energetica. Su queste posizioni si sta esprimendo in questi giorni la Commissione Europea.
In questo contesto di nuove scelte obbligate, l’Italia sta cercando di rimanere in un margine tecnologico più ampio possibile, comprendendo oltre gli efuel anche i biocarburanti, prodotti in diversi modi, dallo scarto di rifiuti alle sabbie bituminose – anche se qui la parte del leone la gioca ENI attraverso il biocarburante HVO prodotto dall’olio di ricino africano. Mentre la Germania tiene aperta una piccola porta soprattutto per soddisfare le richieste del marchio Porsche, che vuole il mantenimento del motore endotermico decarbonizzato.
Secondo i dati forniti da ECCO, già il 20% della mobilità tedesca si basa sull’auto elettrica, per cui gli efuel non dovrebbero rallentarne lo sviluppo, ma sono considerati complementari alla transizione. La posizione italiana è, invece, più estrema e conservatrice. Se per la Germania potrebbe essere più facile trovare una posizione con l’Europa nell’integrare gli efuel nel regolamento o nel ricevere deroghe, l’atteggiamento dell’automotive italiana sembra essere contraria all’evoluzione dell’elettrico, tanto che il rinvio al voto sul Regolamento che prevede lo stop al 2035 alla vendita di auto nuove diesel e benzina è stato definito “un successo italiano” dall’attuale governo.
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