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mercoledì, Dicembre 11, 2024

ENEA, CNR e UNITUS: dimostrata la tossicità delle nanoplastiche per gli organismi acquatici

Studio in vitro di ENEA in collaborazione con Cnr e Università della Tuscia espone cellule di orata e trota iridea a nanoparticelle di polistirene: “Le nanoplastiche da 20 nanometri hanno danneggiato gravemente le cellule nel tempo, portandole alla morte”

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Redazione EconomiaCircolare.com

“Le nanoplastiche di polistirene (polistirolo) sono in grado di provocare la morte delle cellule degli animali marini”. Lo ha dimostrato uno studio ENEA condotto in collaborazione con Cnr e Università della Tuscia (Viterbo) su modelli in vitro di orata e trota iridea. “Le particelle di plastica si sono attaccate alle membrane delle cellule, causando cambiamenti visibili nella loro forma e struttura, con tracce già evidenti dopo 30 minuti di esposizione”, afferma Paolo Roberto Saraceni, ricercatore del Laboratorio ENEA Biotecnologie RED e coautore dello studio.

Il polistirene, ricorda ENEA, è una delle materie plastiche non biodegradabili più comuni e contribuisce significativamente all’inquinamento plastico ambientale. “Tra le più frequentemente trovate negli organismi marini – precisa Saraceni – presenta una tossicità significativamente maggiore rispetto ad altri polimeri testati. La sua potenziale tossicità per gli organismi acquatici e gli ecosistemi rimane una preoccupazione e, per questo, servono ulteriori ricerche per indagare su scala più ampia gli effetti a lungo termine”.

nanoplastiche plastica
Le nanoplastiche da 20nm danneggiano la membrana cellulare ed entrano nel citoplasma (left side). Le nanoplastiche da 80nm (in arancio) sono internalizzate nei fagosomi e lisosomi all’ interno del citoplasma della cellula (right side, black and white arrow); *= nucleo, scale bar: 1µm (3/10) [Fonte: ENEA]

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Più piccola la particella, più grande il danno

Dallo studio, pubblicato sulla rivista Science of the Total Environment, emerge che nanoparticelle di polistirene da 20 nanometri – cento volte più piccole di un granello di polvere – hanno causato un danno alle cellule maggiore rispetto a quelle da 80 nanometri. “Solo le nanoplastiche da 20 nanometri hanno danneggiato gravemente le cellule nel tempo, portandole a una morte cellulare programmata (per apoptosi)”.

La morte della cellula è preceduta, spiega ancora il ricercatore, da segni evidenti con il restringimento della cellula, la formazione di protuberanze sulla membrana, ”l’esposizione della fosfatidilserina (una molecola essenziale per il funzionamento della cellula) sulla superficie esterna della membrana, chiaro segnale di ‘agonia’ della cellula, fino alla frammentazione del DNA”.

I risultati ottenuti confermano una volta di più che “la salute degli ecosistemi acquatici e terrestri, con il loro relativo impatto sulla salute umana, è strettamente interconnessa e può venire drammaticamente compromessa dalla diffusione dell’inquinamento da nanoplastiche se non affrontato con la dovuta tempestività”, evidenzia Saraceni.

nanoplastiche plastica
Le cellule trattate con le nanoplastiche da 20nm assumono una forma fusiforme, perdono l’ adesione cellulare e presentano caratteristiche apoptotiche come la formazione di blebs (left side, inset). Le cellule trattate con le nanoplastiche da 80nm presentano una riduzione delle protrusioni cellulari e dell’ adesione (right side) ma senza segni apoptotici [Fonte: ENEA]

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Nanoparticelle sotto i riflettori

Le nanoparticelle di plastica (visibili solo al microscopio e con dimensioni inferiori a 1000 nanometri, circa 50-100 volte più piccole del diametro di un capello) hanno attirato l’attenzione della comunità scientifica per la capacità di attraversare membrane biologiche (come quella intestinale o la barriera emato-encefalica, che separa il sangue dal tessuto nervoso del cervello per controllare le sostanze che passando dal sangue al cervello potrebbero danneggiarlo)

“Le nanoparticelle possono causare effetti come tossicità cellulare, neurotossicità, genotossicità, stress ossidativo, alterazioni metaboliche, infiammazioni e malformazioni nello sviluppo delle specie marine, ma i meccanismi cellulari e molecolari alla base di questi impatti non sono ancora completamente compresi”, ricorda Saraceni.

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