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mercoledì, Dicembre 18, 2024

Cambiare l’energia per salvare la Terra. Nicola Armaroli: “La transizione va pianificata”

Quando nel 2008 scrivevano della necessità di abbandonare i combustibili fossili venivano additati come sognatori. Oggi che pure le Cop giungono alle stesse conclusioni, gli esperti energetici Nicola Armaroli e Vincenzo Balzani danno alle stampe l’edizione aggiornata del libro "Energia per l’astronave Terra"

Andrea Turco
Andrea Turco
Giornalista freelance. Ha collaborato per anni con diverse testate giornalistiche siciliane - I Quaderni de L’Ora, radio100passi, Palermo Repubblica, MeridioNews - e nazionali. Nel 2014 ha pubblicato il libro inchiesta “Fate il loro gioco, la Sicilia dell’azzardo” e nel 2018 l'ibrido narrativo “La città a sei zampe”, che racconta la chiusura della raffineria di Gela da parte dell’Eni. Si occupa prevalentemente di ambiente e temi sociali.

“Le rinnovabili, a differenza delle energie fossili, sono riciclabili: è questo il messaggio chiave che deve passare”. Efficace e chiaro: è lo stile con il quale Nicola Armaroli, chimico e dirigente di ricerca del CNR, è diventato tra i più noti e apprezzati esperti di energia in Italia. D’altra parte Armaroli la fissa del giornalismo l’ha sempre avuta, come racconta nell’editoriale della rivista scientifica Sapere che dirige da 10 anni. Se è vero che non basterebbero migliaia di articoli e video e podcast per capire tutto ciò che riguarda l’energia – un tema centrale nella storia dell’umanità che dalla guerra in Ucraina è diventato, se possibile, ancora più vitale – ci sono però libri che aiutano a conoscere i concetti chiave e a definire le implicazioni politiche e ambientali. 

Uno di questi è certamente il libro Energia per l’astronave Terra – Chiamata finale: pubblicato da Zanichelli e scritto da Nicola Armaroli e Vincenzo Balzani, il testo parte dalla necessità non più prorogabile della transizione energetica, così come sancito alla Cop28 di Dubai quando, come già indicato dai due esperti nella prima edizione del 2008, si è sancita la volontà di un abbandono graduale dei combustibili fossili. Giunto alla quarta edizione, vincitore del premio letterario Galileo per la divulgazione scientifica, il libro è un’ancora di salvataggio in un’epoca di mistificazioni pseudo-scientifiche e geopolitica d’accatto. 

A partire dai dati e dalle considerazioni contenute nel testo abbiamo perciò affrontato con Nicola Armaroli alcune delle questioni più cruciali legate all’energia. Perché, come ricordano i due autori nelle 328 pagine del volume, “il tempo stringe”.

Armaroli foto energia

Un dato mi ha colpito più di tutti: dalla prima edizione a quella odierna la quota di energia primaria ottenuta dai combustibili fossili è rimasta sempre la stessa – 80% – e nel frattempo in 16 anni abbiamo registrato un boom delle rinnovabili. Dove va a finire questa quota di rinnovabili in più prodotta in questo arco temporale? E nella continua crescita di domanda di energia dobbiamo considerare immutabile la quota prodotta dalle energie fossili?

Partiamo dal fatto che in questi 16 anni il consumo energetico primario mondiale è aumentato di quasi il 25%. Oggi le tecnologie rinnovabili vanno soprattutto a sostenere la produzione elettrica, quindi il processo di “rinnovabilizzazione” dell’elettricità corre velocemente. Proprio in questi mesi la produzione elettrica verde effettuerà il sorpasso su quella prodotta da carbone, a livello globale.

Purtroppo però il boom continua a riguardare soltanto l’elettricità e, al contempo, l’elettrificazione dei consumi finali procede molto lentamente. Ad esempio, automezzi endotermici e caldaie a gas continuano a dominare il mercato, sebbene auto elettriche e pompe di calore siano opzioni già disponibili e, in molti casi, preferibili sotto diversi aspetti. Finché non elettrifichiamo in modo significativo tutto ciò che si può già elettrificare, non intaccheremo a fondo le quote di fossili che lei ha ricordato e a cui il mondo è inchiodato da decenni. 

Se l’elettrificazione dei consumi è l’orizzonte a cui mirare, perché si parla così poco dell’importanza della rete elettrica, che nel libro definite “la più estesa e complessa infrastruttura mai costruita dall’essere umano”? 

La rete elettrica è evoluta in modo sostanziale negli ultimi 20 anni. Ci sono stati e ci sono grandi investimenti e la rete italiana, pur non perfetta, è una tra le migliori al mondo. Ormai i blackout sono rarissimi, mentre una quota crescente di rinnovabili intermittenti è immessa in rete senza problemi. La rete è radicalmente cambiata rispetto al passato, quando in Italia avevamo alcune decine di grandi centrali termoelettriche che producevano per decine di milioni di utenti. Oggi abbiamo 1,8 milioni di autoproduttori fotovoltaici che immettono in rete: con l’infrastruttura di trent’anni fa non sarebbe possibile.

Quando in Italia cominciammo a installare milioni di condizionatori, c’era chi prevedeva un collasso della rete, che non è mai avvenuto. La rete elettrica è un’infrastruttura che da sempre evolve e si adegua: così sarà anche con i sistemi di accumulo, che andranno progressivamente a integrarsi nel sistema. In tutto questo, occorre aumentare l’attenzione sulla cybersicurezza: la rete è una struttura semplicemente vitale per ogni aspetto della nostra vita e non deve essere messa a rischio da attacchi informatici.

Resta la sensazione che di rete elettrica si parla poco nel dibattito pubblico…

Se ne parla poco, ma si fa molto. Va bene così, visto che spesso, su diversi temi energetici e non solo, avviene il contrario.

Nel libro ricordate che tutti i sistemi energetici sono più o meno inefficienti, nel senso che hanno una quota di energia viene utilizzata o inesorabilmente dissipata per rendere disponibile l’energia stessa. Un caso emblematico è il metano liquefatto (GNL) trasportato via nave, che va diffondendosi sempre più. Quali sono in questo senso le energie più convenienti?

I combustibili fossili sono estremamente comodi ma, per quanto riguarda l’Europa, arrivano tipicamente da altri continenti. Questo comporta inevitabilmente grandi inefficienze. Si pensi appunto al metano liquefatto che arriva dagli Stati Uniti: estratto con il fracking in Texas, convogliato con gasdotti sulla costa, liquefatto, trasportato per mare con navi speciali lungo migliaia di km, rigassificato al porto di arrivo, immesso nella rete e poi convogliato all’utente finale. Tutti questi passaggi hanno un elevato costo energetico. Il metano – gas serra decina di volte più potente della CO₂ – è poi rilasciato in atmosfera lungo tutta la filiera, con un impatto negativo sul clima. Per il petrolio gli impatti sono molteplici: attività di prospezione, estrazione, trasporto.

Oggi si cerca petrolio in zone sempre più remote come l’Artico o l’Amazzonia, delicatissime dal punto di vista ambientale e della biodiversità. I più grandi disastri ambientali di sempre sono petroliferi. Non è accettabile che su tutto questo si faccia ormai finta di nulla, mentre l’attenzione dell’opinione pubblica viene regolarmente diretta verso gli impatti delle rinnovabili e dei sistemi di accumulo. Ovviamente anche le rinnovabili hanno un impatto ambientale, che è legato soprattutto alle fasi di estrazione dei materiali e di dismissione del convertitore energetico. Durante la fase produttiva invece l’impatto è praticamente nullo, dato il flusso energetico arriva “spontaneamente”: flussi di luce, vento, acqua, calore sotterraneo. Inoltre gli impianti rinnovabili hanno una durata molto elevata. Il caso più eclatante è il pannello fotovoltaico, che produce per almeno 25 anni senza sostanziale manutenzione.

Quando si parla di energie rinnovabili spesso si trascura l’idroelettrico, nonostante in Italia attualmente copra il 15% dei consumi elettrici nazionali. Quanto ha senso investire ancora sull’idroelettrico, considerata la penuria d’acqua che in alcune regioni è diventata già sistemica? L’espansione è possibile soltanto per piccoli impianti?

L’idroelettrico resta importantissimo, anche se gli effetti della crisi climatica si fanno sentire. Non solo per le sempre più frequenti siccità estive ma anche, se non soprattutto, per il calo delle precipitazioni nevose invernali, che impoveriscono l’apporto idrico primaverile, che un tempo dominava. Complessivamente, la quantità di pioggia che cade non è diminuita in senso assoluto, ma si manifesta sempre più spesso con eventi estremi, concentrati nello spazio e nel tempo. Quindi i bacini idroelettrici rimarranno importantissimi ma, tendenzialmente, avranno una maggiore volatilità produttiva rispetto a quanto avveniva in passato.

Pensiamo ad esempio al Nord Italia che nel 2022 ha fatto registrare la peggiore siccità degli ultimi due secoli, con crollo della produzione idroelettrica. Al contrario nel 2023 e 2024 vi sono state abbondantissime piogge (con alluvioni) che hanno causato un boom della produzione idroelettrica. In alcune regioni del Sud invece, in questi 3 anni, l’andamento è stato opposto, con un 2024 molto secco. Fa tutto parte della maggiore incertezza climatica nella quale siamo ormai immersi. Per quanto riguarda ulteriori espansioni, non ci sono margini significativi per lo sviluppo dell’idroelettrico di grande taglia. Però abbiamo risorse medio-piccole, su scala locale, che possono essere valorizzate meglio.

Rispetto al nucleare nel libro siete trancianti: scrivete che “continuerà a essere un vivace argomento di discussione” ma che “rimane un’opzione totalmente irrilevante per le prospettive di transizione energetica del nostro Paese”. Eppure il nostro governo sembra crederci. O non ci crede abbastanza?

Oggi abbiamo uno dei governi più a favore del nucleare della storia della Repubblica. Ma è emerso con chiarezza che, in seno al governo, su questo tema vi sono tre diversi “partiti”, spesso in disaccordo. Abbiamo i sostenitori dei grandi impianti a fissione tradizionali, i supporter degli Small Modular Reactors (che non esistono sul mercato) e i promotori della fusione nucleare (di là da venire). In ogni caso, al di là delle eventuali opzioni da intraprendere, per rilanciare il nucleare in Italia sarebbe necessario un passo preliminare: un accordo fra tutte le maggiori forze politiche per rendere il piano nucleare impermeabile ai cambi di governo.

Questo sarebbe un passo fondamentale, perché un piano nucleare richiede un impegno di almeno vent’anni (in Italia ci sono voluti 14 anni per il parco eolico di Taranto …) e, in un periodo così lungo, cambieranno inevitabilmente – e più volte – le forze politiche al governo. Un accordo preliminare eviterebbe lo sperpero di risorse economiche per decisioni assunte, e poi ripudiate, a seconda del momento politico. È possibile trovare un accordo generale di questo tipo? Personalmente ho dei dubbi.

Quindi è solo un problema politico?

No, non è tutto. Il 95% del territorio italiano è a rischio idrogeologico elevato, come ha ricordato il capo della protezione civile in occasione della recente alluvione a Bologna. A questa mappa di rischio si sovrappone quella sismica, altrettanto complessa. Forse dovremmo prendere atto – con realismo – che forse non esiste un paese al mondo meno adatto dell’Italia per localizzare impianti nucleari. Se qualcuno però, al contrario, ritiene che questi siti esistano, li proponga. Intanto, non possiamo dimenticare che il nostro Paese non ha ancora deciso dove localizzare il sito per il Deposito Nazionale che dovrebbe ospitare i rifiuti ad alta attività delle centrali nucleari che abbiamo chiuso oltre quarant’anni fa.

Se un’altra nazione ritiene di avere tutte le condizioni per costruire 10 centrali nucleari al posto di 10 centrali a carbone io sono ben contento, perché si eviterà l’immissione in atmosfera di milioni di tonnellate di CO₂ . Ritengo però che in Italia il nucleare continuerà a rimanere un ottimo argomento per accese discussioni, ma finirà tutto lì perché mancano gli elementi base per un piano concreto: accordo politico, siti, investitori. Secondo lei in Italia, nel quadro attuale, chi è disposto a investire decine di miliardi in una intrapresa industriale che comincerà a produrre eventuali introiti fra vent’anni? In Italia il nucleare non si farà mai più. Però è bello parlarne: non costa nulla e può essere utile per altri scopi.

Quali?

Proporre soluzioni palesemente irrealistiche per perdere tempo in inutili discussioni e frenare le uniche opzioni già pronte per contrastare il dominio di gas e petrolio: le rinnovabili. Un classico: si dice di cambiare tutto, con l’obiettivo di non cambiare niente. In Italia il nucleare è un argomento perfetto per fare questo antichissimo gioco.

È possibile immaginare un’Italia che vada solo con le rinnovabili, estendo il loro utilizzo, oppure c’è ancora bisogno di novità, come ad esempio l’idrogeno verde? O, ancora, una quota di fossili dovrà restare?

È universalmente assodato che eolico e fotovoltaico saranno le tecnologie trainanti della transizione energetica. Pensando alle specificità dell’Italia, un’opzione interessante è sicuramente la biomassa, ovviamente prodotta attraverso una gestione sostenibile di agricoltura  e foreste. Il nostro Paese ha anche grandi potenzialità sul geotermico una fonte energetica, che potremmo certamente sfruttare di più. L’idrogeno verde che lei cita sarà un’opzione interessante quando avremo grandi eccessi di produzione elettrica rinnovabile, cosa che dovrebbe cominciare ad accadere alla fine di questo decennio.

Ci sono diversi piani per un’Italia 100% rinnovabile e largamente elettrificata, nel libro prendiamo come riferimento quello del collega Marco Giusti.  In questo piano, numeri alla mano, si propone di sopperire alle carenze invernali delle rinnovabili col metano sintetico (prodotto da CO₂ e idrogeno) e col biometano. L’idea di fondo è che lo stoccaggio stagionale di idrogeno è un’opzione tecnicamente molto difficile, mentre sarebbe meno difficile usare idrogeno per ottenere metano, che può essere stoccato e trasportato utilizzando l’infrastruttura esistente.

Come si userebbe il metano sintetico da fonti rinnovabili?

L’obiettivo è quello di alimentare centrali termoelettriche turbogas, al fine di sostenere la produzione elettrica tra novembre e gennaio. Il problema è che produrre su scala industriale metano sintetico da CO₂ e idrogeno ha ancora costi molto elevati. In ogni caso, la transizione energetica non potrà essere completata prima del 2050. Nel frattempo, dobbiamo concentrarci sulle cose che sappiamo già fare, a cominciare dalla elettrificazione dei trasporti e degli impianti di riscaldamento. Molto semplicemente: se ci intestardiamo a voler cominciare dalle tecnologie e dalle opzioni che non abbiamo, non si va da nessuna parte. Che è un po’ la strategia di quelli che propongono ad esempio la fusione nucleare, che chissà mai se avremo: proporre soluzioni che non esistono – facendo finta che siano pronte – è il modo migliore per lasciare il sistema energetico esattamente com’è.

L’ultimo capitolo del libro si chiude con la bella citazione di Exupery “il nostro compito non è prevedere il futuro ma renderlo possibile”. Nel nostro futuro potranno essere finalmente applicabili a livello sistemico concetti come efficienza energetica, sobrietà energetica ed economia circolare?

Questo sarà possibile solo se la transizione energetica sarà pianificata e gestita non solo da tecnici (fisici, chimici, ingegneri, agronomi, biotecnologi, economisti…), ma anche da psicologi, sociologi, operatori culturali, scrittori. L’aspetto educativo è infatti imprescindibile. Siamo figli di un modello energetico cresciuto in fretta e che ha impresso un’accelerazione impressionante alla civiltà umana. Purtroppo però è totalmente irrazionale: spreca troppo ed è considerato un diritto acquisito per sempre, anche a costo di guerre e impatti di ogni tipo, che rischiano di travolgerci. Non si ricorda mai abbastanza che la povertà energetica è la prima causa di immigrazione forzata, perché è l’origine di tutte le altre povertà: economica, alimentare, idrica. 

Nessun Paese potrà mai avere l’indipendenza energetica, neanche la Cina o gli Stati Uniti e neppure l’Arabia Saudita che galleggia sul petrolio. Cooperazione e pace sono condizioni basilari per un sistema energetico in grado di soddisfare i bisogni di tutti. Le enormi risorse naturali di questa nostra favolosa astronave Terra sono concentrate in pochi luoghi, sparsi su tutto il globo. Non c’è altro modo di cavarsela, se non condividerle. Sin dalla prima edizione, il nostro libro ha espresso una critica profonda alla società dei consumi che richiede quantità abnormi di energia e sta massacrando la biosfera. È anche per questo che, dopo 16 anni e quattro edizioni, abbiamo scelto come sottotitolo Ultima Chiamata. Dobbiamo metterci a correre con il cambiamento del sistema energetico, perché la crisi climatica e ambientale peggiorano e il tempo stringe.

Leggi anche: “No all’ossessione del metano, le soluzioni energetiche ci sono già”. Intervista al prof. Balzani

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