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Con l’approvazione a febbraio da parte della commissione Ambiente del Parlamento europeo della proposta di revisione della direttiva quadro sui rifiuti, l’Unione europea fa un passo in avanti verso l’economia circolare nel settore tessile. Entro 18 mesi dall’entrata in vigore della nuova direttiva (e non entro i 30 proposti dalla Commissione europea), i Paesi dell’Ue dovranno istituire regimi di responsabilità estesa del produttore (EPR – Extended Producer Responsibility).
Chi produce, distribuisce e importa prodotti tessili nel mercato interno è obbligato ad avviare un sistema per la raccolta di abiti e tessuti, coprendone i costi, con lo scopo di migliorare il riutilizzo e il riciclo di alta qualità. Entro il 2025, inoltre, gli Stati membri hanno l’onere di garantire la raccolta differenziata dei prodotti tessili per il riutilizzo, la preparazione per il riutilizzo e il riciclo.
La proposta di revisione, spiega la relatrice in commissione Ambiente, Anna Zalewska, colma le lacune della versione precedente estendendo il perimetro di applicazione delle nuove regole, che riguardano tutti i prodotti tessili, inclusi quelli non domestici: abbigliamento e accessori, coperte, biancheria da letto, tende, cappelli, calzature, materassi e tappeti, compresi i prodotti che contengono materiali affini ai tessili come cuoio, pelli ricostituite, gomma o plastica.
Estesa anche la definizione di importatori, con l’inclusione delle piattaforme di vendita online. È prevista, infine, una cernita più efficiente dei rifiuti urbani misti, in modo da raccogliere gli articoli che possono essere riciclati prima di inviarli in discarica o agli inceneritori e una supervisione sui prodotti tessili usati esportati.
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Bene la responsabilità estesa del produttore ma va migliorata
Quando i regimi EPR – secondo cui a essere responsabile del fine vita è chi produce i beni – sono stati messi in pratica hanno influito positivamente sui tassi di riciclo, riuso e riutilizzo, come dimostra il caso francese, apripista in Europa con una legge del 2007 sulla responsabilità estesa del produttore: dal 2014 a oggi il tasso di raccolta in Francia è aumentato del 40% e nel 2022 (ultimi dati disponibili) il 59,5% dei prodotti tessili raccolti è stato riutilizzato e il 31,3% riciclato. Recentemente l’Olanda ha previsto un meccanismo simile, mentre in Italia al ministero dell’Ambiente e della sicurezza energetica si lavora a una bozza di documento per regolare il meccanismo, ma ci sono punti poco chiari e tanti dubbi sollevati dalla filiera.
Leggendo la proposta di revisione della direttiva quadro sui rifiuti, tuttavia, c’è ancora molto spazio per migliorare, ha prontamente fatto notare l’associazione Zero Waste Europe, perché non corregge una carenza fondamentale: la mancanza di obiettivi per la gestione e la prevenzione dei rifiuti tessili. “Questi obiettivi tanto necessari sono stati rinviati di diversi anni, creando pochi incentivi per aumentare la capacità di raccolta e attuare soluzioni efficaci alla crisi dei rifiuti. Inoltre questa decisione va contro l’impegno espresso dal Parlamento europeo nella sua risoluzione sulla strategia tessile dell’Ue per il 2023”, fa notare Theresa Mörsen di Zwe in una nota di commento. Nonostante le lacune, Zero Waste Europe ha accolto con favore le indagini più frequenti sui rifiuti misti, un passo necessario per avere dati preziosi su quanti rifiuti tessili non sono raccolti correttamente, e la conferma dell’istituzione a partire dal 2028 dell’EPR per articoli ingombranti come materassi e tappeti che altrimenti, con molta probabilità, finirebbero in discarica o inceneriti.
Secondo il comitato Rreuse molto positivo è il “maggiore allineamento dei nuovi sistemi EPR con la gerarchia dei rifiuti, che pone la prevenzione e la preparazione per il riutilizzo al di sopra del riciclo, del recupero e dello smaltimento. Ad esempio, la relazione sottolinea che le tasse di eco-contributo dei produttori dovrebbero finanziare non solo le attività di gestione dei rifiuti, ma anche il riutilizzo dei prodotti tessili”. Sempre per Rreuse, la proposta di revisione rafforza il ruolo delle imprese sociali, che contribuiscono alla circolarità del settore tramite la rivendita di abiti usati, negli schemi di responsabilità estesa del produttore, in modo da impedire comportamenti monopolistici da parte dei produttori.
Gli aspetti deludenti della proposta: rinvia il problema e non agisce sulle cause
Intervenire per migliorare la circolarità del settore tessile non è più prorogabile: ogni anno nel territorio dell’Unione europea si producono 12,6 milioni di tonnellate di rifiuti tessili. L’abbigliamento e le calzature da soli generano 5,2 milioni di tonnellate di rifiuti, l’equivalente di 12 kg a persona. Mentre in tutto il mondo viene riciclato meno dell’1% dei prodotti tessili. Eppure, fa notare la rete di associazioni ambientaliste European Environmental Bureau (EEB) in una lettera firmata da 48 associazioni e dieci parlamentari Ue, sebbene le politiche europee siano da sempre focalizzate sull’aumento quantitativo della quota di riciclo e la riduzione del ricorso alla discarica, per sviluppare l’economia circolare non è sufficiente e perciò la proposta di revisione è ritenuta deludente.
“La transizione verso un’economia circolare – si legge nella lettera – dovrebbe avere al centro la riduzione dell’utilizzo delle risorse: invece di limitarci a chiudere un ciclo sempre più ampio, dobbiamo ridurre le dimensioni dei flussi di materiali. Ciò richiede una completa riorganizzazione dei nostri modelli di estrazione, produzione e consumo”. Insomma, bisogna intervenire senza rimandare sulle cause più profonde: limitarsi “a introdurre l’EPR per i prodotti tessili, affronta solo una parte della crisi dei rifiuti”. Questo perché, secondo i firmatari della lettera dell’EEB, gli attuali sistemi EPR “non incentivano sufficientemente i produttori a progettare gli articoli pensando alla durata, al riutilizzo, alla riparabilità e al riciclo di alta qualità”.
Oltre al tessile: lotta agli sprechi alimentari
La gestione dei rifiuti va oltre ovviamente il settore del tessile e una sezione importante della proposta di revisione si focalizza sulla riduzione degli sprechi e dei rifiuti alimentari: l’obiettivo dei parlamentari è alzare l’asticella delle ambizioni rispetto a quanto proposto dalla Commissione sugli obiettivi vincolanti di riduzione degli sprechi di cibo dal 10% al 20% per la trasformazione e produzione alimentare, e al 40%, rispetto al 30% proposto dall’esecutivo Ue, nella vendita al dettaglio, nei ristoranti, nei servizi di ristorazione e nelle famiglie. I Paesi dell’Ue dovranno impegnarsi a raggiungere questi obiettivi a livello nazionale entro il 31 dicembre 2030.
Questo risultato, tuttavia, è in contrasto con i precedenti impegni assunti dal Parlamento europeo nella sua risoluzione del 2020 sul Green Deal per ridurre del 50% gli sprechi alimentari lungo l’intera catena di approvvigionamento fino alla tavola entro il 2030, allineandosi con gli impegni dell’Obiettivo 12 di Sviluppo Sostenibile (SDG). Theresa Mörsen, di Zero Waste Europe, ha commentato: “Escludere completamente dagli obiettivi il cibo perso a livello di azienda agricola non è accettabile e ci auguriamo che i politici rispettino l’impegno di fissare obiettivi di riduzione a livello di produzione primaria nei prossimi anni”.
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Le prossime tappe dell’iter legislativo
L’iter legislativo della proposta di revisione della direttiva quadro sui rifiuti (2008/98/CE) è cominciato su stimolo della Commissione europea nel luglio del 2023. Adesso il percorso di approvazione prevede il voto dell’assemblea plenaria del Parlamento europeo a marzo 2024, prima della pausa in vista delle elezioni europee a giugno. Sarà dunque il nuovo Parlamento Ue a seguire il dossier nei successivi negoziati con il Consiglio europeo, per arrivare alla pubblicazione della nuova direttiva in Gazzetta ufficiale entro il 31 dicembre 2024.
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