Il decreto sicurezza, la trasparenza negli accrediti alle sale dove si discute del nostro futuro (un’interrogazione a sua firma chiede lumi al ministro dell’Ambiente sulla COP29), e il poi peso delle lobby nel multilateralismo ambientale e le ipotesi di riforma dei meccanismi decisionali globali. E ancora i legami tra clima e questioni di genere e le restrizioni per le pubblicità dannose messe in campo da alcuni Paesi e città. Ne parliamo con Eleonora Evi, deputata del PD.
Onorevole Evi, partiamo da quella che il presidente eletto degli Stati Uniti, Donald Trump, ha etichettato come una “bufala”: l’emergenza climatica. Circa un mese fa si chiudeva a Baku, in Azerbaijan, la COP 29 sul clima. Che bilancio si può fare, secondo lei?
Il fatto che sia sparito dal testo il riferimento alla necessaria uscita dalle fonti fossili, come invece era stato ottenuto alla COP28 seppur con la formula ambigua del “transition away”, rappresenta un passo indietro e un chiaro segnale di come la COP29 sia stata fortemente condizionata dal settore delle fonti fossili, a partire dal paese ospitante, dal presidente designato, dalla presenza massiccia di rappresentanti di questo settore. Doveva essere la COP della “finanza”, lo è stata ma il risultato rimane lontanissimo da quanto necessario, gli impegni finanziari per aiutare i paesi più vulnerabili e già oggi minacciati dalla crisi climatica si fermano a 300 miliardi l’anno invece dei 1.300 necessari. Interrogarsi su come migliorare e rafforzare il processo decisionale delle COP è ormai inevitabile, soprattutto nell’ottica di dare maggiore ascolto alle raccomandazioni della scienza e alle azioni immediate per la mitigazione e l’adattamento.
A proposito di imprese del settore delle fonti fossili, dalle ultime analisi sulle persone accreditate a Baku risulta che il nostro Paese è primo in Europa per numero di lobbisti delle imprese delle energie fossili accreditati dal governo alla COP sul clima di Baku. Motivo per cui il nostro magazine, insieme ad A Sud e a Fondazione Openpolis, ha lanciato la campagna Clean the Cop. Che ruolo possono avere secondo le lobby ‘fossili’ sul buon esito delle trattative?
Sarò tranchant, nessun ruolo positivo. E trovo scandaloso che fosse un vero e proprio esercito, ben 1.773 lobbisti delle fonti fossili, di fatto una “delegazione” addirittura più numerosa di quelle dei paesi vulnerabili, anche a questa COP. E la cosa ancora più grave è che ad avallare questa presenza fornendo gli accrediti per la partecipazione siano proprio i governi ed il nostro in particolare ne ha accreditati ben 25. Non è possibile far partecipare, per di più con accredito del governo, a dei negoziati così importanti e che dovrebbero essere svolti nell’interesse generale, coloro che puntano a difendere il proprio interesse particolare e remano contro la definizione di obiettivi ambiziosi per combattere la crisi climatica. È inaccettabile. E il nostro governo non può continuare così, non dire nulla e non fare nulla per cambiare.
Leggi anche: Clean the Cop!, al via la campagna per bandire le lobby fossili dalle delegazioni governative nei negoziati sul clima
Durante la COP29, come ha segnalato la campagna europea Fossil Free Politics, Italgas ha firmato accordi commerciali sulla distribuzione del gas. Una prova del lavoro che i lobbisti fanno alle Conferenze sul clima: fare affari e alimentare il consumo di gas e petrolio. E ad accreditare il personale di Italgas che ha sottoscritto l’accordo è stato proprio il nostro governo. Non crede che sui badge per le COP ci dovrebbe essere più trasparenza? Magari un dibattito in Parlamento?
Qui c’è un gigantesco problema di trasparenza e di democrazia. È incredibile non avere informazioni chiare ed esaustive relative agli accrediti che il governo concede in occasione delle COP. Nel 2023 è infatti diventato finalmente obbligatorio per i delegati accreditati alla COP28 dichiarare chi rappresentano. Questo importantissimo dato, ottenuto grazie alle pressioni della società civile e in particolare alla campagna Kick big polluters out, ha rivelato la presenza di molti lobbisti dei combustibili fossili ‘in incognito’. Un numero che è letteralmente ‘esploso’, se si raffrontano i numeri stimati alla COP27, un totale di circa 636 lobbisti, con il numero reale della scorsa COP28, 2.456. E le conseguenze nefaste di questa mancanza di trasparenza sono evidenti se addirittura c’è chi partecipa alle COP per fare i propri sporchi business fossili. È molto grave che il Parlamento, e quindi le cittadine ed i cittadini, non abbiano alcuna voce in capitolo ad oggi su queste decisioni. Senza dubbio è necessario affrontare molto seriamente la questione, garantire trasparenza e un meccanismo che possa coinvolgere il Parlamento su queste decisioni, anche in vista del prossimo appuntamento a Belem.
Leggi anche: L’Italia alla COP con un problema di trasparenza
Lei e la sua forza politica avete presentato atti o fatto proposte in Parlamento per contrastare il fenomeno delle forti pressioni dei grandi inquinatori sulle trattative per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione? Ce li racconta?
Come Partito Democratico abbiamo presentato ad inizio novembre, prima dell’avvio dei lavori della COP29, una mozione che nelle premesse ricordava la campagna “Kick big polluters out”, che ha rivelato la presenza di molti lobbisti dei combustibili fossili “in incognito”, per poi chiedere in modo esplicito un impegno del governo ad invitare l’Unfccc (United nations framework convention on climate change) e le autorità della Repubblica dell’Azerbaigian a garantire la piena e libera partecipazione alla Cop29 dei cittadini e delle organizzazioni della società civile e ad assicurare che il processo decisionale fosse protetto dall’ingerenza di interessi contrari e opposti agli obiettivi dell’Accordo di Parigi. Ma non ci siamo fermati qui. Ho presentato personalmente una interrogazione al Ministro Pichetto Fratin, firmata anche dalla Presidente del Gruppo Partito Democratico Chiara Braga, per avere chiarimenti sugli accrediti. Abbiamo chiesto di rendere noti e di spiegare con chiarezza i criteri con i quali il governo concede accrediti per partecipare alle negoziazioni internazionali sul clima. Ma questo non è sufficiente, è necessario vietare del tutto gli accrediti a chi rappresenta imprese coinvolte in attività di sfruttamento, lavorazione o distribuzione di carbone, petrolio e gas. Abbiamo chiesto dunque al governo se non intenda terminare la concessione di questi accrediti. Da parte nostra continueremo ad incalzare il governo su questo, per garantire che la politica e le istituzioni nazionali ed internazionali non subiscano indebite influenze e per tutelare trasparenza e democrazia.
Voci autorevoli, tra cui l’ex capo dell’UNFCCC Christiana Figueres e l’ex Segretario Generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon – chiedono di riformare i meccanismi decisionali delle COP e quelli per la scelta del Paese ospite. È tempo di una COP 2.0?
Come accennavo precedentemente, sì, penso sia giunto il momento di interrogarsi sul funzionamento delle COP e pensare ad una loro riforma. Ad oggi la lentezza delle decisioni e l’inerzia a mettere in campo azioni concrete per ridurre le emissioni, per adattarci ai cambiamenti del clima, per finanziare la transizione sono sotto gli occhi di tutti. Serve un meccanismo per consentire di rimuovere la distanza tra le raccomandazioni della scienza e le decisioni politiche. Proposte di riforma sono in corso di approfondimento e segnalate dalla società civile, da organismi scientifici e anche da esponenti autorevoli che hanno profonda conoscenza della diplomazia climatica e degli strumenti internazionali. Nel 2023 la temperatura media globale è stata di 1.48°C al di sopra del livello preindustriale e purtroppo il 2024 secondo l’Organizzazione meteorologica mondiale (WMO), sarà l’anno più caldo mai registrato dopo una lunga serie di temperature medie mensili eccezionalmente elevate, con il riscaldamento che raggiungerà temporaneamente 1,5°C. È il momento di ragionare ad una riforma delle COP, perché non possiamo perdere altro tempo.
Leggi anche lo SPECIALE | COP29
Il 12 e il 13 novembre nella capitale dell’Azerbaigian, nel corso dei lavori della Conferenza, c’è stato il “Vertice dei leader”. Nove le donne presenti, a fronte di 73 uomini. I partecipanti accreditati alla Conferenza sono 52mila. Di questi è donna il 39,6%. C’è una questione di genere anche nelle politiche climatiche?
C’è una questione di genere nella politica in generale e si manifesta con molta evidenza nelle politiche climatiche. Eppure le donne e le ragazze sono le più colpite dagli effetti della crisi climatica. Sono più povere degli uomini, soprattutto nel Sud del mondo, dopo le catastrofi hanno meno risorse economiche per trovare abitazioni sicure, o ancora, il lavoro di cura che pesa prevalentemente su di loro rende più difficile o impossibile spostarsi e sfuggire ai disastri naturali. Si ripete quanto già visto in altri consessi. Penso alla stesura del Recovery Fund, inizialmente privo di qualsiasi dimensione di genere, lacuna parzialmente sanata ma che vede applicazione a rilento, nonostante la pandemia e il post pandemia avessero falcidiato soprattutto il lavoro femminile. Insomma, se a decidere sono prevalentemente gli uomini si rischia di tagliare fuori metà della popolazione globale e per giunta, la più colpita. È dunque un tema di giustizia climatica, sociale, di genere e generazionale. La prospettiva femminista garantisce invece lotte intersezionali ed inclusive, quelle di cui abbiamo bisogno per non lasciare nessuno indietro.
Un’indagine del Guardian ha svelato il ruolo dell’Oil&Gas nella stretta normativa in diversi Paesi degli Stati Uniti contro le proteste degli attivisti, in particolare gli ambientalisti. Viste le norme del decreto sicurezza italiano, che criminalizzano ad esempio i blocchi stradali, pensa che anche da noi possa esserci stato lo zampino delle imprese ‘fossili’? E poi ci sono le querele di giganti come Eni contro giornalisti e attivisti….
Il clima che si surriscalda non è solo un fatto atmosferico ma anche politico. Il nuovo decreto sicurezza voluto da questo governo si basa sulla repressione e sulla restrizione delle libertà personali, a partire da quella di manifestare. Un modo per far tacere in particolare chi denuncia il collasso climatico, nonostante queste proteste siano state sempre contraddistinte da azioni non violente e di disobbedienza civile. Io l’ho denunciato da subito. Un decreto che criminalizza gli eco attivisti perché introduce in particolare il reato di blocco stradale se fatto con il proprio corpo in modo non violento. Se invece ad occupare e bloccare le strade sono file di trattori per questo governo non c’è nessun reato da punire. I due pesi e due misure tipici di un governo asservito a corporazioni e gruppi di interesse, da quelli delle fossili all’agroindustria. Ma così si fa solo il male della società, dividendola arbitrariamente in buoni e cattivi, e alimentando ancora più disagio, frustrazione e malcontento. E si dà supporto e copertura, in modo più o meno esplicito, a quelle azioni legali da parte dei colossi multinazionali contro singoli cittadini e associazioni della società civile che vengono trascinati nei tribunali in vere e proprie cause intimidatorie. Ma un governo non dovrebbe difendere l’interesse pubblico, i beni comuni, la democrazia e il progresso sociale?
Leggi anche: Escluse le voci del dissenso dalla Cop29, la storia dell’attivista armeno Arshak Makichyan
Che ne pensa di quelle città che stanno mettendo al bando dagli spazi pubblici la pubblicità dei carburanti fossili e dei beni ad alto impatto carbonico come le crociere, i voli aerei?
Considerato che molto spesso siamo di fronte a pubblicità ingannevoli che presentano settori altamente inquinanti ed emissivi come puliti e sostenibili, facendo vero e proprio greenwashing, penso sia una misura da valutare. D’altronde se in Italia abbiamo deciso di vietare pubblicità di altri settori, come quello delle sigarette o del gioco d’azzardo, trovo del tutto coerente estendere questo divieto ad altri settori nocivi per il clima, l’ambiente e la salute delle persone. Personalmente ho contestato anche le campagne pubblicitarie di prodotti di origine animale, in particolare perché finanziate con soldi pubblici dalla Commissione europea. Trovo sia un controsenso cercare di rendere più sostenibili le produzioni agricole europee e le diete degli europei e poi sperperare centinaia di milioni di euro dei cittadini europei in pubblicità di carne e derivati animali, le cui produzioni sono causa di una fetta significativa di emissioni di gas serra ed inquinamento.
© Riproduzione riservata