“Non mi stanco di ripeterlo: i peggiori nemici dell’idrogeno sono i faciloni dell’idrogeno”. È netto su LinkedIn il commento di Nicola Armaroli, tra i più noti e apprezzati esperti di energia in Italia nonché dirigente di ricerca presso il Consiglio Nazionale delle Ricerche. La chiosa arriva dopo la bocciatura arrivata dalla relazione dei Corte dei conti europea sul nuovo mercato dell’idrogeno verde, o rinnovabile, sul quale sia la “vecchia” Commissione che la nuova Commissione, entrambe guidate da Ursula von der Leyen, hanno puntato e puntano parecchio.
Anche i singoli Stati membri dell’Unione europea puntano sull’idrogeno come vettore energetico, spinte anche dalle aziende fossili, per le quali la riconversione da gas a idrogeno – in Italia il caso più noto è quello di Snam – sarebbe la più facile e la più economica da effettuare. Il caso più interessate da questo punto di vista è costituito dalla Germania: da anni il Paese intende diventare leader mondiale dell’idrogeno e oggi il governo è pronto a sostenere una rete di condotte che dovrebbe estendersi per 9.700 chilometri. A febbraio di quest’anno l’esecutivo guidato da Olaf Scholz ha delineato un piano da 16 miliardi di euro di sussidi complessivi, in conto capitale e conto esercizio, allo scopo di riconvertire le centrali elettriche a gas.
In questo ambito si collocano pure le cooperazioni tra gli Stati, almeno negli annunci, al contrario di quello che finora abbiamo visto realizzato col gas: è recente la notizia, diffusa ad esempio dal Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica, di una dichiarazione di intenti tra Italia, Germania e Austria per la costruzione del South H2 Corridor: si tratta di un’infrastruttura mastodontica, lunga 3.300 chilometri, che dall’Africa del Nord dovrebbe giungere fino in Germania, passando per l’Italia, in buona parte riconvertendo le “vecchie” condutture a gas.
“Il corridoio Sud dell’idrogeno – scrive il MASE – è già stato selezionato a livello europeo come Progetto di interesse comune (Pci). Il partenariato trilaterale, sottolinea una nota congiunta, mira a rafforzare la sicurezza energetica per i principali cluster di domanda industriale dei rispettivi Paesi, sostenendo allo stesso tempo gli obiettivi climatici dell’Unione Europea. Il corridoio meridionale dell’idrogeno dovrebbe essere uno dei cinque corridoi di importazione di idrogeno su larga scala per realizzare l’importazione di 10 milioni di tonnellate di idrogeno rinnovabile entro il 2030”.
Tuttavia, nonostante la mole di investimenti e interessi, l’idrogeno finora ha arrancato. E rischia di diventare la perenne tecnologia del futuro. Per capire i motivi di tali difficoltà è utile fare riferimento al report della Corte dei conti europea.
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“Obiettivi eccessivamente ambiziosi sull’idrogeno”
Da tempo la Corte dei conti europea, vale a dire i giudici amministrativi che hanno un ruolo di controllo della gestione finanziaria dell’Unione Europea, monitorano le politiche industriali dell’UE, dai biocarburanti alle emissioni dei trasporti. Con la relazione speciale 11/2024 “La politica industriale dell’UE in materia di idrogeno rinnovabile – Il quadro giuridico è stato in gran parte adottato: è ora di fare il punto della situazione”, disponibile sul sito Internet della Corte, l’attenzione si sposta dunque sul mercato emergente dell’idrogeno verde (o rinnovabile).
“Nonostante le svariate azioni positive intraprese dalla Commissione europea – scrivono i giudici amministrativi – permangono problemi lungo tutta la catena del valore dell’idrogeno ed è improbabile che l’UE raggiunga gli obiettivi per il 2030 in materia di produzione e importazione di idrogeno rinnovabile. La Corte esorta a fare il punto della situazione per far sì che gli obiettivi perseguiti dall’UE siano realistici e le scelte strategiche non compromettano la competitività di industrie fondamentali o creino nuove dipendenze. L’idrogeno rinnovabile o verde ha significative ripercussioni sul futuro di industrie essenziali dell’UE, dato che può aiutare la decarbonizzazione soprattutto in settori difficilmente elettrificabili, come la produzione di acciaio, nonché l’industria petrolchimica, del cemento e dei fertilizzanti. Può inoltre aiutare l’UE a raggiungere l’obiettivo climatico di zero emissioni nette entro il 2050 e a ridurre ulteriormente la dipendenza dell’UE dai combustibili fossili russi”.
Per iniziare, la Commissione ha fissato “obiettivi eccessivamente ambiziosi”, così vengono definiti dalla Corte dei conti europea, per la produzione e l’importazione di idrogeno rinnovabile, cioè 10 milioni di tonnellate per ciascuna entro il 2030. Questi obiettivi non erano basati su analisi approfondite, bensì il frutto di valutazioni politiche. Inoltre il loro raggiungimento è stato compromesso da un inizio accidentato. D’altra parte, la Corte riconosce alla Commissione il merito di aver proposto la maggior parte degli atti giuridici in breve tempo: il quadro normativo è quasi completo e ha fornito quella certezza che è indispensabile per creare un nuovo mercato.
“Tuttavia – scrivono ancora i giudici amministrativi – c’è voluto tempo per trovare un accordo sulle norme che definiscono l’idrogeno rinnovabile e molte decisioni di investimento sono state posticipate. I promotori dei progetti hanno inoltre rinviato le decisioni di investimento perché l’offerta dipende dalla domanda e viceversa. Creare una industria UE dell’idrogeno richiede massicci investimenti pubblici e privati, ma la Commissione non dispone di una visione completa né del fabbisogno né dei finanziamenti pubblici disponibili. Al tempo stesso, i finanziamenti dell’UE, che gli auditor hanno stimato a 18,8 miliardi di euro per il periodo 2021-2027, sono dispersi tra più programmi: di conseguenza, per le imprese è difficile scegliere il tipo di finanziamento più adatto ad uno specifico progetto”.
La Corte raccomanda dunque alla Commissione di aggiornare la strategia per l’idrogeno sulla base di una valutazione approfondita di alcuni aspetti:
- calibrare gli incentivi sul mercato per la produzione e l’uso dell’idrogeno rinnovabile;
- stabilire un ordine di priorità per gli scarsi finanziamenti dell’UE e decidere su quali parti della catena del valore focalizzarsi;
- considerare quali industrie l’UE vuole mantenere e a quale prezzo, date le implicazioni geopolitiche della produzione interna all’UE rispetto alle importazioni da paesi terzi.
Va ricordato, infine, che nel 2022 l’idrogeno rappresentava meno del 2% del consumo energetico europeo e la maggior parte della domanda proveniva dalle raffinerie. Stando alla relazione della Corte, la domanda che dovrebbe essere stimolata non raggiungerà nemmeno 10 milioni di tonnellate entro il 2030, né tanto meno i 20 milioni di tonnellate previsti inizialmente dalla Commissione. La Corte rileva che, allo stato attuale, non esiste una strategia generale dell’UE sulle importazioni di idrogeno. Tanto che, aggiungiamo noi, sono i singoli Stati membri che si muovono nell’ottica di cooperazioni che andranno comunque verificate, come dimostra il caso del Corridoio Sud dell’Idrogeno.
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Il PNIEC e l’idrogeno
A inizio luglio il governo Meloni ha consegnato alla Commissione europea il PNIEC, il Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima che delinea obiettivi e modalità in questi ambiti fino al 2030, con un orizzonte temporale che si allarga fino al 2050 e al previsto raggiungimento della neutralità climatica. Ed entro fine luglio, secondo Il Sole 24 ore, il MASE dovrebbe diffondere pure la Strategia nazionale sull’idrogeno.
“In attesa di fissare i pilastri fondamentali del suo sviluppo all’interno della strategia nazionale – scrive il quotidiano di Confindustria – il ministero ha anticipato nel PNIEC trasmesso a Bruxelles a fine giugno (in realtà il 3 luglio è stato inviata una revisione del PNIEC, nda) alcune previsioni, sulla base degli specifici obiettivi sull’idrogeno rinnovabile e sui combustibili rinnovabili di origine non biologica delineati dalla direttiva Red III, che punta ad aumentare la quota di rinnovabili nel mix energetico europeo, nonché dalle proposte di regolamento RefuelEU Aviation e FuelEU Maritime, che puntano invece ad aumentare il ricorso a carburanti sostenibili per aerei e navi. Le proiezioni di impiego dell’idrogeno nell’industria, riportate nel PNIEC, dicono quindi che saranno necessari circa 330 ktep (migliaia di tonnellate equivalenti di petrolio) di idrogeno rinnovabile, bio e non bio, per raggiungere il target settoriale al 2030. In merito ai trasporti, si stima, invece, un consumo complessivo di circa 390 ktep di idrogeno rinnovabile”.
I settori su cui si punta per un utilizzo più ampio dell’idrogeno sono dunque le industrie pesanti e i trasporti. Se nel primo caso, comunque, gli esempi positivi e gli utilizzi già oggi non mancano, sui trasporti bisogna chiarire che al momento l’utilizzo dell’idrogeno per le auto private appare utopistico, mentre finora i treni a idrogeno hanno finora suscitato più speranze che ottenuto risultati. Non sarà che alla fine il problema principale di un uso massiccio dell’idrogeno è l’ottimismo?
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