Le norme europee stabiliscono che dal 1 gennaio 2025 tutti i Paesi Ue dovranno praticare la raccolta differenziata dei rifiuti tessili, ma, come l’Italia, quasi tutte le nazioni europee hanno già avviato dei sistemi per intercettare i tessili gettati dai cittadini. Nonostante questo, segnala l’Agenzia Europea per l’ambiente (AEA) che su questo tema ha pubblicato un report (‘Management of used and waste textiles in Europe’s circular economy’) la maggior parte dei rifiuti tessili in Europa finisce nei rifiuti misti. Solo il 10% in media viene infatti raccolto separatamente dagli altri rifiuti urbani. E secondo l’AEA, oltre alla raccolta differenziata vanno urgentemente incrementate capacità di selezione e riciclaggio, per garantire un uso più circolare dei prodotti tessili.
I dati (incerti) dei rifiuti tessili in Europa
La direttiva quadro sui rifiuti dell’UE impone agli Stati membri di dotarsi di sistemi di raccolta differenziata per i prodotti tessili usati a partire dal prossimo anno. La Commissione europea ha inoltre proposto una revisione mirata della direttiva per introdurre l’obbligo di responsabilità estesa del produttore (EPR) per i prodotti tessili in tutti gli Stati membri. Secondo un’indagine condotta dall’AEA nel 2023, la maggior parte degli Stati membri dell’UE disponeva già di sistemi di raccolta differenziata, “ma per lo più per raccogliere i prodotti tessili riutilizzabili”. Non per il riciclo, quindi.
Nel 2020 (ultimi dati disponibili) l’UE-27 ha generato un totale stimato di 6,95 milioni di tonnellate di rifiuti tessili: si tratta di circa 16 kg a persona. Di questi 16, solo 4,4 kg a persona sono stati raccolti separatamente (il 27,5%), mentre i restanti 11,6 sono finiti nei rifiuti domestici misti. Di tutti i rifiuti tessili, l’82% proveniva dai consumatori e il resto era costituito da rifiuti di produzione o da tessuti mai venduti.
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Questi dati, avverte però l’Agenzia, “possono presentare delle discrepanze” dovute ai diversi sistemi di raccolta in ogni Stato e alle diverse interpretazioni delle categorie di rifiuti; in alcuni Paesi ad esempio, i prodotti tessili raccolti per il riutilizzo possono non essere classificati come rifiuti ma come prodotti. Un buco (quasi) nero riguarda gli scarti pre-consumo, quelli prodotti dalle aziende della filiera durante i processi di lavorazione: ”Gli Stati membri dispongono di dati minimi sulle percentuali di rifiuti tessili pre-consumo, come per i tessuti invenduti, generati nelle fasi di vendita al dettaglio”. Si stima infatti che il 4-9% di tutti i prodotti tessili immessi sul mercato in Europa venga distrutto prima dell’uso, per un totale valutato tra le 264.000 e le 594.000 tonnellate di prodotti tessili all’anno.
Il rapporto dell’AEA avverte che, oltre alla raccolta differenziata, è necessario “aumentare le capacità di selezione e riciclaggio in Europa per evitare che i prodotti tessili raccolti finiscano negli inceneritori, nelle discariche o vengano esportati in regioni al di fuori dell’UE”.
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Tasso di raccolta differenziata e qualità dei rifiuti
Il tasso medio di raccolta dei rifiuti tessili in Europa (la media dei tassi di raccolta dei singoli Paesi) è solo del 12% (un dato diverso dal tasso di raccolta continentale pari al 27,5%), il che indica che il resto finisce nei rifiuti urbani misti e di conseguenza viene portato in discarica o incenerito. Questi dati “mostrano un significativo margine di miglioramento nei sistemi di raccolta differenziata dei prodotti tessili”. Il Lussemburgo (50%) e il Belgio (50%) registrano i valori più alti, seguiti dai Paesi Bassi (37%) e dall’Austria (30%) Tutti questi Paesi, sottolinea l’Agenzia, offrono sistemi di raccolta diversi a seconda dei vari livelli di urbanizzazione.
Con l’attuazione del regolamento UE sulla raccolta differenziata dei rifiuti tessili entro il 2025, è prevedibile un aumento dei tassi di raccolta dei tessili dalle famiglie, “anche se la qualità complessiva degli articoli raccolti potrebbe diminuire”. Questo, riflette l’agenzia, “probabilmente ridurrà l’incentivo al riutilizzo e potrebbe portare a un maggiore riciclaggio, un’opzione meno sostenibile dal punto di vista ambientale rispetto al riutilizzo”. Ecco perché l’AEA invita i Paesi a “evitare gli incentivi che potrebbero distogliere i prodotti tessili dal riutilizzo” poiché potrebbero “potenzialmente creare una concorrenza tra riutilizzo e riciclaggio”.
La qualità del rifiuti raccolti è però essenziale. “L’ottimizzazione dei sistemi di raccolta è attualmente in discussione – fa sapere l’AEA – per consentire sia alti tassi di raccolta che buone condizioni di riutilizzo”. Ad esempio, una da parte dei residenti per distinguere i tessuti riutilizzabili da quelli non riutilizzabili, insieme a una migliore informazione ed educazione, potrebbe facilitare tassi di riutilizzo e riciclaggio più elevati. Il processo di preselezione potrebbe essere facilitato, suggerisce il report, “attraverso l’educazione dei cittadini, a condizione che la qualità dei tessuti riutilizzabili sia salvaguardata”. E poi, ad evidenziare come siano ancora un po’ in alto mare, il report spiega che “non è chiaro se lo smaltitore debba essere responsabile della distinzione tra tessuti riutilizzabili e rifiuti tessili. Ciò è dovuto alla mancanza di chiarezza sui criteri di differenziazione da applicare”.
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Discarica e incenerimento
In Europa si è assistito ad una “notevole” riduzione dello smaltimento in discarica dei prodotti tessili. Nel 2010, il 21% dei rifiuti tessili veniva smaltito in discarica, ma entro il 2020 questa percentuale è scesa all’11%. Parliamo di in una riduzione da 220.000 a 150.000 tonnellate. Non pochi Paesi sono però in controtendenza: lo smaltimento in discarica è infatti aumentato in Bulgaria, Estonia, Francia, Polonia, Lettonia, Lituania, Paesi Bassi e Ungheria. Anche in questo caso, ricorda l’AEA, c’è un problema di dati: che “possono essere stati influenzati dal commercio di prodotti tessili usati e di scarto tra i Paesi dell’UE”, perché “i prodotti tessili scartati durante le operazioni di cernita e successivamente smaltiti in discarica – compresi i rifiuti tessili importati – sono riportati nel Paese che importa”.
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Se, nel complesso, la quota di rifiuti conferiti in discarica è diminuita, “contemporaneamente la quantità di rifiuti tessili destinati al recupero energetico è passata dal 9% nel 2010 al 16% nel 2020”. Ciò corrisponde a più di un raddoppio: da 90.000 a 220.000 tonnellate.
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La capacità di trattamento
Secondo la letteratura scientifica cui il documento dell’agenzia fa riferimento, ci sono 17 aziende di riciclaggio tessile in Europa, che prevedono di riciclare circa 1,3 milioni di tonnellate di fibre all’anno. Ma, di nuovo, questi dati potrebbero essere inferiori al dato reale. Spiega infatti l’agenzia: “Il database open source “Textiles Sorting and Recycling database“, fornito da WRAP, mappa i selezionatori di tessuti, i prelavoratori, i riciclatori e i filatori di filati all’interno dell’UE e del Regno Unito. Attualmente, questo database contiene oltre 50 riciclatori da fibra a fibra, sia chimici che meccanici, alcuni dei quali sono in fase di sperimentazione”.
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Responsabilità estesa del produttore
Finora, un sistema EPR (Extended producer responsibility-EPR) per i prodotti tessili è stato obbligatorio solo in Francia, Ungheria e Paesi Bassi, e volontario nella regione delle Fiandre (Belgio). Inoltre, la Croazia obbliga i produttori tessili a facilitare la raccolta del tipo di prodotti tessili che immettono sul mercato. Questo meccanismo, incentivato dal legislatore europeo e diffuso in sempre più Paesi per sempre più tipologie di prodotti, non è esente da problemi: “Il fatto che grandi quantità di prodotti tessili usati vengano esportate dai Paesi di raccolta genera ostacoli specifici all’attuazione efficace dell’EPR. Quando i prodotti tessili vengono esportati per il riutilizzo o il trattamento dei rifiuti, le tasse EPR rimangono tipicamente nei Paesi esportatori. Questo priva i Paesi riceventi, compresi i Paesi terzi in Africa e Asia, del sostegno finanziario necessario per il trattamento di fine vita”. L’agenzia suggerisce che “i sussidi per le riparazioni dei tessuti finanziati attraverso gli eco-contributi dell’EPR, insieme agli sgravi fiscali su pratiche come la riparazione e il riutilizzo, potrebbero potenzialmente contribuire a colmare questo divario”.
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