Tra le priorità strategiche per la diffusione del passaporto digitale dei prodotti sarà necessario garantirne l’accessibilità alle piccole e medie imprese (pmi) utilizzando soluzioni di digital product passport (DPP) gratuite o a basso costo. Perché il DPP sia affidabile, la tracciabilità e l’integrità dei dati sono imprescindibili: la trasparenza è un driver competitivo, ma allo stesso tempo bisogna agire tempestivamente per allineare i sistemi ed evitare rischi di non conformità che potrebbero portare all’esclusione dal mercato. Allo stesso modo, è necessaria una rendicontazione semplificata, che passi per la standardizzazione delle informazioni sui prodotti condivise lungo la catena di approvvigionamento e nei diversi quadri normativi nazionali.
E proprio a livello normativo, gli standard dovrebbero definire cosa è necessario, non come farlo, consentendo flessibilità ma al tempo stesso interoperabilità tra varie nazioni e mercati e per questo bisogna armonizzare dati e metriche e rifarsi a principi generali condivisi. L’Unione Europea si appresta ad estendere il DPP ai requisiti di efficienza energetica: si applicherà a un’ampia gamma di prodotti e criteri ambientali, come durabilità, contenuto riciclato e tracciabilità dei materiali, ma questi principi andranno rispettati nel momento in cui il digital product passport sarà normato attraverso atti delegati previsti dal regolamento ESPR sull’ecodesign.
Sono questi, in massima sintesi, i temi principali emersi nel corso del “simposio” online organizzato dall’Unece – la Commissione economica per l’Europa delle Nazioni Unite – dal 30 giugno al 2 luglio. Al centro del dibattito c’è la norma ISO PWI 25534-1, il primo progetto internazionale lanciato congiuntamente per definire i principi fondamentali per i sistemi DPP interoperabili. Con numerose esperte ed esperti del mondo produttivo, dell’università e delle istituzioni, il simposio ha approfondito il dialogo con i settori chiave – tessile, batterie e altri – per allinearsi sui requisiti e garantire che gli standard risultanti soddisfino le esigenze del mondo reale.
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Le priorità strategiche per diffondere il passaporto digitale dei prodotti
Sono tre, dunque, le priorità strategiche emerse nel simposio per garantire un’implementazione efficace: accessibilità economica per le pmi, valorizzazione della trasparenza e prevenzione del rischio di esclusione dal mercato per chi non si adegua. Come sottolineato dalla professoressa Jeanne Huang della University of Sydney Law School, in Australia, è cruciale “evitare un eccessivo onere finanziario alle aziende e fornire formazione e assistenza tecnica”.
Husheng Li della China Academy of Information and Communications Technology (CAICT), invece, ha invitato nel corso del simposio a non spingere forzatamente soluzioni tecnologiche, ma piuttosto a “pensare alle pmi. Usare tecnologie esistenti, definizioni chiare, procedere per gradi”, è stato il suo consiglio. Susanne Guth-Orlowski dell’Unece ha ribadito che la trasparenza deve estendersi “su scala, tra diverse giurisdizioni, industrie e segmenti di prodotto, per raggiungere gli obiettivi di sostenibilità”.

Per ovviare al rischio di esclusione del mercato Gerhard Heemskerk, dell’Unece, intervenendo al simposio del 30 giugno, ha previsto che “gli early adopter possono dimostrare leadership nella trasparenza e sostenibilità” e questo può essere “un trampolino di lancio”. L’allineamento preventivo dei sistemi è quindi fondamentale per evitare sanzioni o blocchi commerciali. “Senza pressioni normative stringenti, le imprese possono sperimentare, e le pmi adottare gradualmente”, ha affermato Heemskerk. Perché la trasparenza non è solo un obbligo, ma una leva competitiva.
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Fiducia, verificabilità dei dati e tracciabilità: le chiavi di successo del passaporto digitale dei prodotti
Per generare fiducia nelle dichiarazioni dei DPP, serve disporre di dati verificabili lungo tutto il ciclo di vita del prodotto. “Fiducia nell’informazione sulla sostenibilità: accrescere l’affidabilità delle dichiarazioni e delle divulgazioni”, è il pensiero di Guth-Orlowski. Heemskerk ha aggiunto l’importanza della “precisione dei dati, in particolare per le dichiarazioni di sostenibilità e la provenienza dei materiali”.
Per permettere che il passaporto digitale dei prodotti venga adottato su larga scala, i dati sulla sostenibilità devono inoltre essere semplificati e armonizzati, come ha ricordato Grzegorz Tajchman dell’ITC: “Va riconosciuta la necessità di armonizzare e standardizzare i dati sulla sostenibilità, per supportare implementazioni scalabili e interoperabili del DPP”.
La mole di dati necessari è in aumento. “Le crescenti richieste regolatorie richiedono dati di tracciabilità estesi”, ha fatto notare Jenny Wärn dell’azienda di software TrusTrace. Questi dati sono essenziali per tutte le strategie di circolarità. “Possono fornire informazioni cruciali per processi di riparazione, riutilizzo, remanufacturing e riciclo”, ha spiegato Heemskerk. Allo stesso tempo, la Commissione europea è al lavoro per semplificare la rendicontazione: insomma, serve equilibrio tra diverse esigenze.

Guth-Orlowski ha poi sottolineato come la tracciabilità robusta è un prerequisito per catene del valore prive di rischi e capaci di dimostrare la conformità con le normative internazionali: “Consentire il tracking e tracing di prodotti, componenti e processi lungo la loro value chain per supportare le dichiarazioni ambientali”. Così, invece, Jenny Wärn ha riassunto cosa comporta il concetto della traccibilità: “Sapere come e da chi sono prodotti i beni. Conformità con le regolazioni globali sulla sostenibilità. Supply chain priva di rischi”.
Anche se nei dibattiti e nei documenti diffusi a latere del simposio non si menzionano marker invisibili da inserire nei prodotti, si rafforza la necessità di strumenti traccianti avanzati, come quelli descritti da TrusTrace che consentono di “documentare il percorso del prodotto in tempo reale per una robusta catena di custodia”.
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Prospettive future: verso un DPP globale, flessibile e interoperabile
Alla tracciabilità si aggiunge l’interoperabilità. “L’interoperabilità del DPP è cruciale per facilitare lo scambio transfrontaliero di dati di prodotto, e stabilire standard unificati è fondamentale per garantirne l’efficacia e l’adozione diffusa”, ha spiegato Husheng Li. L’interoperabilità deve essere garantita su tre livelli fondamentali: tecnico, organizzativo e semantico. In poche parole i DPP devono “parlare la stessa lingua”, come ha ricordato Piergiorgio Licciardello, direttore di EDI – GS1 AISBL, organizzazione che si occupa di standard globali. Il corollario dell’interoperabilità è uno: i passaporti digitali dei prodotti devono essere allineati a livello globale. Servono standard condivisi. “Il primo passo è identificare una serie di standard da sviluppare per il DPP, partendo da una panoramica dei principi architetturali”, afferma Husheng Li.
Sempre Li ha sottolineato che la sfida è “mantenere le cose semplici, concise, accessibili e utili per tutti”. Serve evitare “stop” tecnologici, valorizzando i sistemi già in uso: “Occorre utilizzare quanto esiste già: essere aperti al riuso delle tecnologie esistenti, evitando di costringere l’industria a migrare verso nuove soluzioni solo per motivi normativi”, ha osservato Licciardello.
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