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sabato, Novembre 30, 2024

A pesca di plastica per difendere il mare. Ecco i Salvamare (anche prima della legge)

Si moltiplicano le iniziative degli spazzini delle acque che puliscono i fondali e favoriscono il riuso dei materiali grazie all’economia circolare. In Italia l’approdo della legge “Salvamare” sosterrà l’azione dei pescatori, ma può non bastare a risolvere un problema multidimensionale

Nicoletta Fascetti Leon
Nicoletta Fascetti Leon
Giornalista pubblicista, allevata nella carta stampata. Formata in comunicazione alla Sapienza, in giornalismo alla Scuola Lelio Basso, in diritti umani all’E.ma (European Master’s Programme in Human Rights and Democratisation) di Venezia. Ha lavorato a Ginevra e New York nella delegazione UE alle Nazioni Unite. Vive a Roma e da nove anni si occupa di comunicazione ambientale e progetti di sostenibilità

La plastica dispersa in mare è tra i disastri ambientali più noti e odiosi. Abbiamo tutti visto almeno una volta le immagini di tartarughe marine impigliate nelle reti da pesca abbandonate, o di gigantesche isole di plastica galleggianti negli oceani. E anche senza andare lontano, basta una breve passeggiata su una qualsiasi delle nostre spiagge per constatare la presenza inesorabile di montagne di rifiuti in plastica, destinati ad aumentare ad ogni mareggiata. Per nonp parlare della pervasività delle microplastiche…

Si stima che ogni anno vengano prodotti 450 milioni di tonnellate di plastica, di cui circa 8 milioni finiscono negli oceani, dove ben 700 specie marine subiscono fenomeni di inquinamento da materiale plastico (dati WWF). Ma c’è una buona notizia che interessa proprio mare, laghi, fiumi e lagune del nostro Paese.

Italia, approda “Salvamare”

Ieri l’aula del Senato ha approvato in via definitiva la cosiddetta legge “Salvamare”. La norma, dopo travagliati rimpalli legislativi, equipara finalmente i rifiuti accidentalmente pescati in mare ai rifiuti delle navi, favorendone così la raccolta e lo smaltimento da parte dei pescatori che finora, a causa della normativa vigente, erano costretti a ributtarli in mare per il rischio di pesanti sanzioni amministrative e oneri di smaltimento, come se li avessero prodotti a bordo. Con la “Salvamare” sarà possibile, per il comandante della nave o il conducente della barca arrivati in porto, conferirli all’impianto portuale di raccolta.

Con questo provvedimento – che riguarda anche fiumi, laghi e lagune – si introducono, inoltre, le definizioni di “rifiuti accidentalmente pescati” (RAP) e “rifiuti volontariamente raccolti” (RVR), non solo durante campagne di pulizia del mare e delle acque dolci ma anche mediante sistemi di cattura.

Affogati nella plastica

Il mare affoga nella plastica e lo sappiamo tutti. Si pensi che persino Dior, in collaborazione con il network Parley for the Oceans, pubblicizza una nuova linea prodotta con materiale creato da detriti in plastica marina e attrezzi da pesca recuperati dalle coste e dalle isole di tutto il mondo, come Maldive, Repubblica Dominicana e Sri Lanka. La consapevolezza dello stato di degrado delle acque è dunque diffuso e coinvolge oggi in special modo i pescatori che con la propria attività vivono il mare ogni giorno. Proprio intorno alla pesca si moltiplicano le iniziative di raccolta e riciclo della plastica finita a nuotare insieme ai pesci.

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L’Europa a pesca di rifiuti

Spazzini del mare solcano le acque ad ogni latitudine. Limitando lo sguardo all’Europa, il programma Fishing for litter, avviato come piccola iniziativa locale di tre porti olandesi, ha celebrato venti anni di attività nel 2021 ed è ormai una realtà in numerosi porti bagnati dal mare del Nord, dal Belgio alla Norvegia. Il programma, che coinvolge i pescatori su base volontaria, fornisce i pescherecci di grandi sacchi per raccogliere la plastica e i detriti che si accumulano nelle reti durante le attività di pesca. Al rientro in porto, il contenuto è scaricato in apposite strutture per essere poi riciclato o smaltito a terra.

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Grecia, se il detrito si fa calzino

Quanto al nostro Mediterraneo, è particolarmente interessante l’iniziativa di Enaleia, un’impresa sociale non-profit impegnata nella formazione dei pescatori sulle pratiche di pesca che preservano le popolazioni ittiche locali e riducono l’inquinamento marino da plastica. Il progetto è nato in Grecia nel 2016 dalla volontà di Lefteris Arapakis, un giovane che si è guadagnato il premio di European Young Champion of the Earth dell’UNEP nel 2020, proprio grazie alla sua iniziativa volta a pulire i mari, proteggere gli ecosistemi marini, responsabilizzare le comunità di pescatori locali e integrare la plastica marina nell’economia circolare. Sul sito di Enaleia si legge che gli oltre 1.300 pescatori greci e italiani coinvolti nel progetto ad oggi hanno recuperato dai fondali marini più di 180mila chili di plastica, mentre 20mila chili di reti da pesca sono stati raccolti e utilizzati per la produzione di 260mila paia di calzini.

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L’esperienza italiana di “Fishing for litter”

Sulle coste italiane, nonostante il gap legislativo, molte iniziative sono state condotte in questi anni grazie a protocolli d’intesa locali che hanno permesso progetti come Fishing for litter della Regione Lazio e Corepla. Nel 2021 i pescherecci laziali hanno recuperato 25mila chili di plastica in mare, mentre dei nuovi arredi urbani realizzati con la plastica riciclata sono stati donati al Comune di Fiumicino. Simili iniziative sono state realizzate in Abruzzo (Giulianova Fishing for Litter), Toscana (Arcipelago pulito), Marche (A Pesca di Plastica a San Benedetto del Tronto), e molte altre località.

Tutti pronti a salvare il mare

Fedagripesca stima che se l’intera a flotta da pesca italiana ad ogni uscita potesse portare a terra tutto quello che rimane impigliato nelle reti oltre al pesce, in 10 anni libererebbe il mare da 30mila tonnellate di rifiuti. Con l’approvazione della nuova legge sarà più facile occuparsi dei rifiuti affondati nel nostro mare. Sui litorali nazionali si accumulano dai 500 ai 1000 rifiuti ogni 100 metri di spiaggia. Le associazioni dei pescatori italiani, già impegnate in progetti come l’uso di reti biodegradabili per l’allevamento dei molluschi, si dicono pronte a creare una filiera del rifiuto in grado di mettere a regime un’attività di raccolta quotidiana, creando nei porti le infrastrutture necessarie per il conferimento e  prevedendo incentivi per gli operatori.

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Un problema complesso

Si moltiplicano dunque i candidati a ripulire le nostre acque dalla plastica, il che è certamente una buona notizia. Associazioni ambientaliste come Greenpeace ci mettono però in guardia. Dare un riconoscimento a tutti pescatori che raccolgono i rifiuti, potrebbe un domani considerare sostenibili attività che non lo sono, come ad esempio la pesca a strascico. Il problema è complesso e multidimensionale e ha bisogno di una pluralità di soluzioni. Si prevede che nel 2050 potrebbe esserci più plastica che pesci nel mare. Non basterà impegnarci a pulire il mare dalla plastica se non iniziamo a prevenirne la sua dispersione nell’ambiente.

Anche per questo è importante l’impegno di ognuno di noi, non solo quando facciamo la differenziata o raccogliamo i rifiuti sulle spiagge. Anche le scelte di consumo, per esempio limitare quello usa e getta, riguardano il benessere del mare.

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