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venerdì, Novembre 29, 2024

Pesticidi nelle acque: quanto sono efficaci i monitoraggi

Rilevare e misurare la presenza di pesticidi nelle acque è essenziale per la salute dell’ambiente e delle persone. Ma quanto sono efficaci i monitoraggi che vengono condotti oggi?

Sabia Braccia
Sabia Braccia
Nata a Lanciano (CH) nel 1999 ha vissuto a Urbino e a Parma per laurearsi, rispettivamente, in "Scienze umanistiche. Discipline letterarie, artistiche e filosofiche" e in "Giornalismo, cultura editoriale e comunicazione multimediale" con una tesi sul giornalismo ambientale in Italia. Appassionata di storia, antropologia e ambiente, collabora con vari giornali e riviste online e, come volontaria, si occupa della manutenzione e della comunicazione social della Riserva Naturale Regionale Lago di Serranella, una delle oasi WWF d'Abruzzo.

Al centro di una querelle politica nelle istituzioni europee – che di recente hanno abbandonato il tentativo di approvare regole più stringenti sull’uso di queste sostanza – i pesticidi, e i loro danni sull’ambiente e sulla salute degli essere umani, sono al centro di uno dei fatti che hanno dato il là alla diffusione della difesa dell’ambiente. Era il 1962 quando la biologa americana Rachel Carson pubblicava negli Stati Uniti Silent Spring (Primavera silenziosa) cambiando il corso della storia e del dibattito pubblico intorno al tema dei fitofarmaci e delle conseguenze ambientali derivate dal loro abuso.

La sua battaglia nasce proprio con lo scopo di mostrare come i pesticidi – e nello specifico l’insetticida DDT (diclorodifeniltricloroetano) – una volta erogati non agiscano solo sul diretto ‘bersaglio’ (per esempio le piante spontanee per un diserbante o una determinata specie per un insetticida) ma vadano a contaminare colture, suolo e acque immettendosi inevitabilmente nella catena alimentare. Il titolo stesso del libro allude alla progressiva scomparsa di alcune specie di uccelli canterini, e quindi al silenzio di una primavera privata del loro canto, a causa del DDT che però non era a loro direttamente destinato. Il grandissimo merito di Carson sta proprio nell’aver illuminato un problema fino ad allora sottovalutato, una questione ancora oggi difficile da monitorare, soprattutto in alcuni suoi aspetti come quella della contaminazione dei beni di consumo da alcune sostanze largamente impiegate in agricoltura.

Sicuramente molti prodotti dal 1962 ad oggi sono stati vietati e la consapevolezza su questo tema è andata aumentando di pari passo con gli studi e le ricerche relativi al rischio ambientale e sanitario a loro connesso, ma ci sono ancora varie criticità legate al monitoraggio e all’analisi della loro pervasività, denunciate proprio dall’organo italiano deputato al controllo dei pesticidi nelle acque interne, l’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA). Dal Rapporto nazionale pesticidi nelle acque realizzato nel 2022 infatti emergono dati significativi di sostanze che superano i limiti ambientali così come molte difficoltà nella raccolta stessa dei dati, nella loro possibile comparazione e nella loro capacità di fornire un quadro realistico del livello di contaminazione delle acque interne in Italia.  Ma quali sono le sostanze che superano maggiormente i limiti ambientali in Italia? Quali quelle più vendute? C’è omogeneità di risultati delle analisi su tutto il territorio nazionale? Ma soprattutto, siamo sicuri che gli attuali sistemi di monitoraggio siano efficaci?

Monitoraggio, una questione aperta

Come sottolinea l’Istituto Superiore di Sanità (ISS) il termine ‘fitosanitari’ ingloba varie tipologie di prodotti utilizzati in agricoltura che si distinguono in base al target cui sono destinati per cui si hanno insetticidi, fungicidi, diserbanti, anticrittogamici, nematocidi, acaricidi e fitoregolatori. I fitosanitari in commercio contengono “almeno una sostanza attiva che permette al prodotto di svolgere la sua azione” alla quale vengono solitamente poi “aggiunte altre sostanze (chiamate co-formulanti) utili, ad esempio, per poterli sciogliere più facilmente nell’acqua (emulsionanti), per conservarne la stabilità ed efficacia o per migliorarne la penetrazione nell’organismo bersaglio (coadiuvanti)”. Nel Rapporto l’ISPRA utilizza invece il termine ‘pesticidi’ includendo al suo interno sia i prodotti fitosanitari che i biocidi (disinfettanti, pesticidi per uso diverso da quello agricolo, preservanti) che spesso utilizzano gli stessi principi attivi dei fitosanitari ma sui quali si hanno a disposizione molti meno dati.

L’edizione 2022 del Rapporto nazionale pesticidi nelle acque  è stata realizzata dall’ISPRA con i dati raccolti fra 2019 e 2020 “dal monitoraggio svolto dalle Regioni e dalle Agenzie regionali per la protezione dell’ambiente, realizzato nell’ambito dei programmi di rilevazione previsti dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152” (il cosiddetto Testo Unico ambiente).

acqua pesticidi
Fonte: ISPRA

Le criticità dei rilevamenti

Lo stesso Istituto ha però evidenziato le criticità del monitoraggio fin dalle prime pagine. La prima, e forse la più grande, è sicuramente la difficoltà di armonizzare il lavoro di tante unità troppo autonome fra loro a livello metodologico, «con differenze nella rete e nelle frequenze di campionamento, ma anche nel numero delle sostanze controllate e nei limiti di quantificazione analitici».

Riportando un dato ISTAT del 2020 il Rapporto parte dalla quantità di prodotti fitosanitari utilizzati in agricoltura, circa 122.000 tonnellate all’anno “che contengono circa 400 sostanze diverse”, mentre subito dopo passa a spiegare le modalità di campionamento a livello nazionale. Complessivamente sono stati analizzati 31.275 campioni per un totale di 406 sostanze cercate nel 2020; nonostante la frenata dovuta alla pandemia, comunque, generalmente si è assistito nell’ultimo decennio ad un miglioramento dell’efficacia del monitoraggio per l’ISPRA. In base ai campioni analizzati nel 2020 sono stati trovati pesticidi nel 55,1% dei punti di monitoraggio delle acque superficiali e nel 23,3% dei punti delle acque di falda.

Quello che emerge osservando i grafici realizzati dall’ISPRA in merito alla rete di monitoraggio e alle concentrazioni di pesticidi è però immediatamente una disparità fra Nord e Centro-Sud del Paese. Al Nord la concentrazione di pesticidi risulta sensibilmente più alta rispetto alla media nazionale, interessando il 67% dei punti delle acque superficiali e il 34% di quelle sotterranee. Il motivo non è tanto la maggiore diffusione dei fitofarmaci: l’ISPRA fa infatti notare che nel Nord “questo dipende anche largamente dal fatto che le indagini sono generalmente più rappresentative. Si assiste ad un’ottimizzazione del monitoraggio, che è diventato nel tempo più efficace e si è concentrato in modo particolare nelle aree dove è più probabile la contaminazione”. La densità dei punti di monitoraggio viene infatti calcolata rispetto alla SAU (Superficie Agricola Utilizzata); come si può intuire anche dal grafico “la copertura territoriale dei punti rispetto alla SAU è più estesa nelle regioni settentrionali rispetto a quelle centrali e meridionali”.

La seconda criticità riguarda la frequenza del monitoraggio che secondo la norma avrebbe dovuto essere mensile per le acque superficiali e almeno semestrale per quelle sotterranee ma che purtroppo è stata disattesa. In generale comunque nelle acque superficiali il 30,5% del totale dei punti di monitoraggio ha registrato concentrazioni superiori ai limiti ambientali. Le sostanze che hanno superato più spesso questi livelli sono soprattutto gli erbicidi “glifosate e il suo metabolita AMPA, metolaclor e il metabolita metolaclor-esa, imazamox, esaclorobenzene e nicosulfuron” insieme a vari fungicidi. Nelle acque di falda invece il 5,4% del totale dei punti ha registrato concentrazioni superiori ai limiti e le sostanze rinvenute più spesso al di sopra del livello consentito sono state i metaboliti metolaclor-esa e atrazina desetil desisopropil, gli erbicidi bentazone, glifosate e AMPA e imazamox, l’insetticida imidacloprid e il fungicida metalaxil.

A fronte di ciò colpisce ancora di più la terza criticità di un monitoraggio realizzato in questo modo, quella che più di tutte lo rende poco rappresentativo della reale situazione a livello nazionale: il fatto che non tutte le regioni cerchino le sostanze che più spesso superano i limiti, primo fra tutti il glifosato per esempio, l’erbicida più utilizzato al mondo, che all’uscita dell’edizione 2022 del rapporto era stato cercato soltanto da 14 Regioni.

Il numero di sostanze cercato dalle regioni risulta infatti disomogeneo e varia “da poche decide a 250 […]. Inoltre, in alcune regioni le sostanze cercate non includono tutte quelle rappresentative delle coltivazioni agrarie. Il confronto dei risultati del monitoraggio regionale, di conseguenza, non è sempre immediato e va fatto con cautela” tenendo presente anche che per alcune regioni i dati mancano del tutto. Per l’Istituto è necessaria infatti un’armonizzazione del lavoro delle varie Regioni che porti a “una lista minima di sostanze” che sia “rappresentativa dei possibili impatti sul territorio”. L’armonizzazione deve poi anche riguardare la strumentazione utilizzata dai laboratori dato che non tutti possono realizzare prestazioni adeguate al soddisfacimento degli standard richiesti nel Rapporto.

Un problema sottovalutato

Uno studio di questo tipo, così disomogeneo a livello regionale deve allarmarci circa il fatto che ancora oggi il problema è troppo sottovalutato. Lo stesso IARC (International Agency for Research on Cancer) negli anni ha condotto vari studi sulle potenzialità cancerogene di alcuni fitosanitari come il glifosato, che nelle ricerche del 2020 compariva fra le prime 15 sostanze più trovate sia nelle acque superficiali che in quelle sotterranee ma non fra le prime 15 più cercate. Dato che è l’erbicida più utilizzato in Italia e che le sue vendite a livello nazionale hanno una media annua maggiore di mille tonnellate, l’ISPRA chiosa che “le informazioni derivate dal monitoraggio sono ancora incomplete sia nello spazio che nella determinazione temporale che non consente ancora di delineare un trend di contaminazione”. Il glifosato è nel “72,3% dei 770 punti di campionamento delle acque superficiali, sopra agli SQA [standard di qualità ambientale, n.d.a.] nel 21,2% dei casi” mentre nelle acque sotterranee è nel “10,6% dei 716 punti, di cui l’1,7% non conformi”. Il suo metabolita AMPA invece “è la sostanza più frequentemente ritrovata nelle acque superficiali (84,7% dei siti) e che più spesso supera gli SQA (52,7% dei siti). Nelle acque sotterranee è presente nel 9,8% dei siti, con superamenti nell’1,7% dei casi” con un notevole contributo ai livelli di contaminazione. Va detto però che la maggiore frequenza di ritrovamento dell’AMPA, oltre a far presupporre “una maggiore persistenza in diverse matrici ambientali” rispetto al glifosato, è legata al fatto che deriva anche dalla degradazione di una serie di composti fosfonati molto utilizzati in ambito urbano e industriale (tessile, chimico e edilizio). L’esempio dell’AMPA apre quindi ad un ulteriore problema nel monitoraggio: quello di non poter distinguere nettamente le sostanze utilizzate soltanto in agricoltura da quelle relative alle produzioni industriali (che dovrebbero avere standard di depurazione delle acque ma che non sempre riescono a soddisfarli) e la difficoltà di comprendere l’importanza dell’azione non di singole sostanze ma di miscele, di come sostanze diverse che interagiscono fra loro possono esercitare la contaminazione e in che modo.

Data la cadenza biennale della pubblicazione del Rapporto da parte dell’ISPRA attendiamo l’estate per l’edizione 2024 sperando che le Regioni e le Agenzie regionali per la protezione ambientale si siano meglio coordinate nel biennio 2021-2022 e abbiano cercato nei punti di monitoraggio soprattutto le sostanze più vendute e più rinvenute negli anni passati. Come è stato mostrato non è sicuramente facile isolare e ricercare i vari prodotti omologandosi bene a livello nazionale, innanzitutto anche per una questione di metodologia e strumentazione disponibile. È altresì necessario però cercare di realizzare un quadro più accurato della situazione se non altro per intavolare un dialogo fra esperti, decisori politici e amministratori sulla contaminazione da pesticidi e sulle possibili soluzioni. Migliorare la situazione è d’obbligo altrimenti si cade in quello che Rachel Carson in Silent Spring nel 1962 descriveva come “uno stato di ipnosi tale da farci accettare come inevitabile ciò che è negativo e dannoso, quasi che avessimo perduto la volontà o la lungimiranza di tendere a ciò che è bene”.

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Foto: Autorità Distrettuale del Fiume Po

 

Questo articolo è stato realizzato nell’ambito del workshop conclusivo del “Corso di giornalismo d’inchiesta ambientale” organizzato da A Sud, CDCA – Centro di Documentazione sui Conflitti Ambientali ed EconomiaCircolare.com, in collaborazione con IRPI MEDIA, Fandango e Centro di Giornalismo Permanente

© Riproduzione riservata

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