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sabato, Dicembre 21, 2024

Che fine fanno gli abiti usati? La seconda vita degli indumenti, tra riuso e riciclo

Dai cassonetti gialli dove lasciare gli abiti e le scarpe che non usiamo più e che verranno poi rimessi sul mercato dell'usato o del riciclo, fino alle associazioni caritatevoli: scopri la seconda vita dell'abbigliamento. In attesa dei decreti end of waste promessi dal ministero dell'Ambiente, per ridare nuova linfa ai vestiti

Caterina Ambrosini
Caterina Ambrosini
Laureata in Gestione dell’ambiente e delle risorse naturali presso la Vrije Universiteit di Amsterdam con specializzazione in Biodiversità e valutazione dei servizi forniti dall'ecosistema. Da inizio 2020, collabora con l’Atlante Italiano dell’Economia Circolare nel lavoro di mappatura delle realtà nazionali e nella creazione di contenuti.

In Italia il sistema di raccolta degli indumenti usati è rappresentato da una filiera molto vasta in cui si interfacciano numerosi attori, nonché da canali differenti a cui far riferimento per il loro conferimento. Abbiamo da un lato la raccolta differenziata degli indumenti usati, per capirci il loro conferimento nei contenitori stradali: parliamo di rifiuti tessili da abbigliamento usato che, in base al decreto legislativo 152/2006, il cosiddetto Testo unico ambientale, che dopo una fase di selezione possono finire nel canale del riuso, riciclo o smaltimento.

Secondo Italia del Riciclo 2020, il report annuale di Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile e Fise Unicircular, in Italia il riutilizzo rappresenta circa il 68%, il riciclo il 29% mentre lo smaltimento il 3%. Ma è possibile dare seconda vita agli indumenti usati anche tramite canali alternativi alla raccolta differenziata: l’art. 14 della legge 166 del 2016 il conferimento presso associazioni a scopo benefico che si occupano di distribuirli a chi ne ha bisogno, abiti che quindi non sono considerati un rifiuto.

Raccolta differenziata obbligatoria dal 2022

Lo scenario italiano descritto dai dati Ispra racconta di una raccolta differenziata della frazione tessile pari a quasi 160 mila tonnellate nel 2019, un incremento del 7,9% rispetto all’anno precedente. Si avviano a riciclo più abiti usati insomma, e c’è da scommettere che i numeri aumenteranno ancor più dopo il primo gennaio del prossimo anno, quando diventerà obbligatoria la raccolta differenziata della frazione tessile in tutta Italia, a seguito del recepimento della direttiva Ue 851/2018, in anticipo rispetto al termine del 2025 fissato dalla Commissione europea. Diverse le questioni che secondo Italia del Riciclo 2020, si dovranno affrontare avvicinandosi a questa data: la necessità di definire delle regole a supporto del criterio della responsabilità estesa del produttore (ovvero la norma, sancita appunto dalla direttiva 851/2018, che prevede che il produttore di un bene è responsabile anche alla fase post-consumo, ovvero della sua gestione una volta che il bene diventa un rifiuto, ndr) o un quasi inevitabile crollo dei prezzi e una maggiore difficoltà di collocare le raccolte sul mercato del riuso a causa dell’aumento dei volumi di rifiuti da abbigliamento usato in tutta Europa.

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Che fine fanno quei vestiti?

Ma qual è il destino dei nostri abiti una volta conferiti negli appositi cassonetti stradali? I rifiuti urbani da indumenti usati raggiungono gli impianti dedicati dove una prima selezione definirà cosa verrà avviato a riuso, quindi a una successiva commercializzazione sul mercato, e cosa invece sarà destinato a attività di riciclo. La frazione scelta per il riuso è sottoposta a una seconda fase di selezione, dove gli operatori separano gli indumenti in base alla loro qualità con l’obiettivo di selezionare la frazione con maggior valore. Prima di finire sul mercato, il prodotto viene igienizzato per raggiungere gli standard definiti per legge.

Parallelamente, il flusso di indumenti usati non adatti al riuso ma avviato a riciclo potrà trasformarsi in pezzame a uso industriale o per la produzione di nuovo tessuto o isolante acustico e termico, a seguito della rifilatura, cardatura e sfilacciamento delle fibre di cui è composto.

End of Waste e responsabilità estesa del produttore

La corretta gestione di queste attività ha ovviamente ripercussioni sulla transizione verso un’economia circolare, su cui è intervenuto anche Filippo Brandolini, vicepresidente di Utilitalia: “Occorreranno ulteriori passaggi normativi, come un regolamento per l’End of waste dei rifiuti tessili, e altresì si auspica la costituzione di sistemi di responsabilità estesa al fine di responsabilizzare i produttori riguardo alla durata e alla riciclabilità dei prodotti tessili che immettono sul mercato, oltre che, più in generale, alla loro sostenibilità”.

L’attenzione delle multiutility italiane verso questa frazione di rifiuto urbano non è un caso. Specie se consideriamo che il nostro Paese attende per quest’anno, così come stabilito più volte dal ministro dall’Ambiente Sergio Costa, nuovi regolamenti per varie categorie interessate dall’end of waste, ovvero il processo di recupero eseguito su un rifiuto che consente, al termine del processo, di far diventare il rifiuto un prodotto.

“I rifiuti tessili giocheranno sempre più un ruolo non marginale nell’economia circolare. Innanzitutto perché, grazie alla preparazione al riutilizzo, si consente di prolungare la vita di molti indumenti e quindi ridurre i volumi dei rifiuti da smaltire” spiega Brandolini. A supporto di questa tesi ci sono anche i passi avanti dell’Unione Europea che con la recente Roadmap per la definizione della strategia europea per i prodotti tessili sostenibili ha messo in chiaro il ruolo del settore nel raggiungimento di obiettivi ambientali comunitari più ampi come quelli definiti nel Green Deal e nel Piano d’azione per l’economia circolare. 

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Le forme di affidamento in gestione 

Tutto il complesso sistema volto al valorizzare il più possibile la frazione tessile dei rifiuti urbani segue alla prima fondamentale fase dell’intera filiera, ovvero l’affidamento del servizio di gestione. Su questo tema, Utilitalia ha recentemente presentato nel suo documento “Linee guida per l’affidamento del servizio di gestione degli indumenti usati” (qui in Pdf) le principali modalità oggi previste sul territorio italiano.

Le aziende di igiene urbana possono in un primo caso essere responsabili del servizio di raccolta, trasporto e avvio a recupero, e affidare la fase di trattamento finale a un attore terzo che gestisce impianti dedicati. Questa opzione è considerata più flessibile, ma il suo limite è nell’impossibilità di avere un controllo sulle fasi successive a quella di avvio a recupero che fanno comunque parte della filiera, quindi tutte le attività che avvengono negli impianti di trattamento finale.

Esiste poi la possibilità di affidare separatamente il servizio di raccolta e trasporto, vendendo poi il rifiuto a impianti di recupero tramite bando o asta. In questo caso la stazione appaltante ha la possibilità di monitorare più direttamente l’efficacia e la qualità della raccolta, ed essendo responsabile di scegliere chi si occuperà della valorizzazione del rifiuto, avrà la facoltà di richiedere garanzie e rispetto di determinati requisiti. Questa modalità di affidamento del servizio di gestione “spezza la filiera” secondo Utilitalia: chi raccoglie il rifiuto tessile potrebbe essere quindi indotto a non perseguire obiettivi di qualità del materiale raccolto poiché non è responsabile della sua valorizzazione.

L’ultima categoria invece richiede un affidamento integrato dell’intero ciclo, quindi raccolta, trasporto e trattamento finale. È possibile partecipare alla gara attraverso forme di aggregazione di imprese che dovranno garantire un controllo su tutte le fasi della filiera: in questo modo la stazione appaltante potrà definire criteri e standard da dover rispettare, dall’attività di raccolta fino a quella di trattamento finale. 

Le linee guida di Utilitalia

Che si scelga una o l’altra modalità di affidamento del servizio di gestione di indumenti usati, Utilitalia ha voluto offrire indicazioni e raccomandazioni che possano essere utili in fase decisionale per le stazioni appaltanti. Si tratta di linee guida che oltre a far riferimento ai principi generali del codice dei contratti pubblici, portano alla luce altri criteri importanti da tenere sempre a mente: parliamo ad esempio della garanzia di qualità delle prestazioni, di efficacia, economicità, libera concorrenza e altri aspetti legati alla sfera sociale. Ciò vuol dire che chi si prenderà carico del servizio dovrebbe anche perseguire la tutela della salute, dell’ambiente e la promozione di uno sviluppo sostenibile. Sotto il profilo ambientale, la federazione delle aziende dei servizi pubblici si sofferma ad esempio su requisiti riguardanti la qualità delle attività svolte, ma anche il tracciamento dei flussi nell’intera filiera. Chi si candida a essere responsabile del ciclo di gestione degli indumenti usati dovrebbe essere valutato anche in base alla dotazione di strumenti e standard tecnico-professionali nella tracciabilità dei flussi, e alla qualità della gestione delle sue attività in chiave ambientale, facendo riferimento ad esempio alla dotazione di certificazioni ambientali che riconoscano la conformità a requisiti per un sistema di gestione ambientale efficace, vedi UNI EN ISO 14001:2015.

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Prevenzione dell’illegalità

C’è però anche un’altra motivazione dietro alla particolare attenzione che Utilitalia riserva al tema del controllo e della tracciabilità dei flussi di rifiuti urbani tessili. Negli anni, le attività legate a questa frazione sono diventate oggetto di infiltrazioni malavitose e illegalità legate alla possibilità per le stazioni appaltanti di avere dei ritorni economici dalla gestione degli indumenti usati derivanti da raccolta differenziata. Con le sue Linee guida Utilitalia fornisce indicazioni a supporto della scelta di operatori efficienti, che offrano un servizio trasparente e su cui i cittadini possano fare affidamento. Gli autori sottolineano come “in questo contesto le stazioni appaltanti (prevalentemente aziende di igiene urbana) possono svolgere un importante ruolo di promozione della trasparenza, della sostenibilità (sociale e ambientale) e di prevenzione dell’illegalità“. Gli illeciti che hanno messo sotto una cattiva luce l’intero comparto sono stati molteplici: raccolte abusive, contrabbando, riciclaggio di denaro sporco, reati fiscali, smaltimenti illegali del materiale di scarto, falsificazione di formulari e bolle di trasporto e molto altro. Tra i criteri proposti per valutare le offerte, Utilitalia suggerisce di considerare l’eventuale impiego da parte dei concorrenti di strumenti di controllo che facciano da filtro a possibili illeciti nella filiera e che possano garantire la trasparenza delle attività svolte e della situazione specifica dell’impresa. Le linee guida si soffermano anche sulla possibilità di tracciare i flussi di rifiuto e avere garanzia della loro corretta gestione facendo richiesta agli appaltatori, nel contratto stesso, di report annuali che informino sulle percentuali delle diverse destinazioni, quindi preparazione al riutilizzo, riciclo, recupero o smaltimento.

Trasparenza e tracciabilità

Il documento elaborato dalla Federazione, oltre a poter supportare le scelte riguardanti l’affidamento del servizio di gestione degli indumenti usati sul piano tecnico, economico e dell’efficienza, potrà dunque avere un valore molto più significativo secondo Stefano Vignaroli, presidente della Commissione bicamerale Ecomafie: “Tra gli strumenti che possono tracciare una strada di emersione del settore dall’illegalità ci sono sicuramente le linee guida di Utilitalia, che ho accolto con soddisfazione. Esse sono il frutto anche di un confronto con la Commissione, che ha fornito suggerimenti e osservazioni. Le linee guida aiuteranno la trasparenza e la tracciabilità della filiera, aiuteranno a prevenire pratiche irregolari e scorrette anche nei confronti dei concorrenti onesti, faranno bene alle aziende che operano nel rispetto delle regole”.

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