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venerdì, Novembre 15, 2024

Verso una filiera italiana per il recupero di materiali nobili dai cellulari. Il progetto di Enea

Il progetto di ricerca di Enea mira a sviluppare una tecnologia che permetta di valorizzare al meglio le apparecchiature di telefonia a fine vita attraverso un processo innovativo

Silvia Santucci
Silvia Santucci
Giornalista pubblicista, dal 2011 ha collaborato con diverse testate online della città dell’Aquila, seguendone le vicende post-sisma. Ha frequentato il Corso EuroMediterraneo di Giornalismo ambientale “Laura Conti”. Ha lavorato come ufficio stampa e social media manager di diversi progetti, tra cui il progetto “Foresta Modello” dell’International Model Forest Network. Nel 2019 le viene assegnata una menzione speciale dalla giuria del premio giornalistico “Guido Polidoro”

Mettere a disposizione una tecnologia in grado di completare la filiera dei telefoni in Italia, per valorizzarne, all’interno del nostro Paese, tutte le preziose componenti. È con questo obiettivo che l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (Enea) sta sviluppando un processo innovativo per il recupero di materiali da telefoni cellulari a fine vita, all’interno del progetto di ricerca Portent. Il progetto da 138mila euro,  che ha preso il via lo scorso 26 aprile ed avrà la durata di due anni, è co-finanziato dalla Regione Lazio, attraverso i fondi Fers, e coordinato dal laboratorio Enea “Tecnologie per il Riuso, il Riciclo, il Recupero e la valorizzazione di Rifiuti e Materiali”, in collaborazione con l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”.

Gli smartphone sono ormai oggetti indispensabili nella vita quotidiana di tutti noi e, stando ai dati del rapporto dell’agenzia creativa We Are Social, Digital 2021 Italia, sono presenti nelle tasche e nelle mani del 97% degli italiani dai 16 ai 64 anni. Questo si traduce in un inevitabile problema legato al loro smaltimento che, se non effettuato correttamente, può portare a danni ambientali e a conseguenze per la salute. Secondo il Rapporto rifiuti urbani 2021 dell’Ispra il raggruppamento 4  di RAEE (rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche) che comprende, oltre a telefoni cellulari, fax, stampanti, pc, tablet, notebook, radio e altre apparecchiature di piccole dimensioni, nel 2019 ha raggiunto le 63.849 tonnellate, il 22% sulla raccolta differenziata totale dei rifiuti da RAEE.

Inoltre, i rifiuti RAEE rappresentano la categoria di rifiuti che cresce più velocemente nell’Unione europea.

Ma, in un’ottica circolare, i RAEE ed in particolare i telefoni, ricchi di metalli preziosi o strategici, possono rappresentare un’importante risorsa per evitare ulteriori estrazioni di materie prime e tamponare il problema legato al loro smaltimento.

Tuttavia, in Italia gli impianti di recupero di terre rare e altri metalli di valore scarseggiano proprio per una carenza di tecnologie, e dopo i primi trattamenti meccanici, di frantumazione, i materiali più preziosi vengono spediti all’estero, soprattutto in nord-Europa, per essere sottoposti a trattamenti chimici, come l’idrometallurgia.

Le tecnologie sviluppate dai ricercatori di Enea consentirebbero invece, una volta applicate a livello industriale, di trattare i metalli nobili direttamente in Italia, con vantaggi economici e ambientali. Ma andiamo con ordine.

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Da quali materiali sono composti i nostri telefoni?

Il progetto Portent si divide in due fasi. Nella prima, attualmente in corso, avviene la caratterizzazione delle apparecchiature, si cerca cioè di individuare quali siano i materiali che compongono il telefono e in che quantità essi siano presenti.

“Abbiamo smontato un gran numero di telefoni in ogni loro piccola parte – spiega al nostro magazine Danilo Fontana, responsabile di progetto Enea – per vedere da quali materiali sono composti. Anche per le parti in plastica, abbiamo cercato di capire se i vari tipi di materiali plastici siano, ad esempio, materiali puri o polimeri semplici, in maniera tale da poterli andare a raggruppare e ad indirizzare in filiere di recupero e riciclo consolidate”.

Lo studio interessa diversi modelli di telefonia mobile: da smartphone di ultima generazione a cellulari di decenni fa, che spesso giungono nei centri di raccolta dopo essere rimasti in un cassetto per anni. Per quel che riguarda il fine vita, “i cellulari – fa sapere Fontana – erano più facili da gestire rispetto agli smartphone moderni, basti pensare all’accesso alla batteria, che prima si poteva estrarre molto più facilmente, mentre oggi si trova all’interno dell’apparecchiatura, e ovviamente, per chi deve riciclare, è una complicazione in più”.

In scala di laboratorio, infatti, il disassemblaggio avviene per via manuale, ma usare questo metodo su scala industriale non è una soluzione praticabile.

“Va ripensata l’eco-progettazione – afferma Fontana – e questo vale per qualsiasi parte del telefono: se sapessi, ad esempio, che il componente di colore verde contiene palladio, sarebbe tutto più semplice”.

Intento del progetto è ripensare a tutte le diverse parti del telefono in un’ottica di economia circolare: dai materiali plastici, alla batteria, ai metalli che costituiscono la minuteria come viti e supporti, al display, sino alla scheda elettronica, cui è dedicato un focus particolare nello studio, e che conferisce allo stesso telefono un certo valore economico; una tonnellata di telefoni cellulari può arrivare a valere anche 14mila euro.

I materiali interessanti da un punto di vista economico o strategico sono diversi: in un telefono possiamo trovare metalli nobili come oro, argento, palladio, rame e materie prime critiche (CRM – Critical Raw Materials) come, ad esempio, il tantalio.

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Il processo di recupero dei materiali

Dopo la caratterizzazione, si passerà allo sviluppo di un processo che permetta di recuperare i materiali all’interno del telefono, utilizzando l’idrometallurgia, una tecnologia consolidata per Enea. L’ente di ricerca ha infatti depositato un brevetto su una metodologia per il recupero di materiali ad elevato valore commerciale e strategico da schede elettroniche, utilizzando proprio tecniche idrometallurgiche.

“Andremo – ha spiegato Fontana – ad applicare a questo settore un approccio classico che viene utilizzato per altri matrici complesse. L’idrometallurgia viene impiegata per le sue peculiarità, cioè per la sua selettività e per la possibilità di ottenere materiale ad un elevato grado di purezza”.

“La scheda elettronica – precisa Fontana – è una matrice che conosciamo perché abbiamo già studiato quelle dei computer e abbiamo brevettato una tecnologia dedicata; ci aspettiamo dunque che andremo ad affrontare non sarà molto diverso”.

Il processo deve avere i requisiti per essere sostenibile da un punto di vista ambientale ma anche economico, per poterlo poi applicare all’industria. Seguirà infatti un’altra fase di studio, che però non è prevista dal progetto, nella quale verranno effettuate delle verifiche in scala più importante per giungere infine all’industrializzazione.

Le operazioni si svolgeranno presso l’impianto Romeo (Recovery Of MEtals by hydrOmetallurgy), installato presso il Centro Ricerca Casaccia dell’ENEA, dove verranno testate le potenzialità industriali dei processi chimici sviluppati.

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Rimettere in circolo i reflui di processo

Un’attenzione particolare verrà poi destinata al refluo di processo, per valorizzarlo sempre in termini di economia circolare.

“Durante la fase di progettazione, si può già pensare, – conclude Fonata – ad eventuali impieghi che i reflui potrebbero avere. Se, ad esempio, devo fare una neutralizzazione e la posso fare sia con sodio che con potassio, magari sceglierò il potassio perché mi permette di tirar fuori dal refluo un fertilizzante. Tutto deve essere progettato all’inizio in funzione di quello che si farà in corso d’opera”.

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