La metà degli articoli che vengono pubblicati in molte riviste interdisciplinari su sostenibilità e transizione ecologica possono essere classificati come “cazzate accademiche”: è la tesi principale di un articolo scientifico, pubblicato sulla piattaforma Sprinker negli scorsi giorni, che sta facendo parecchio discutere, uscendo fuori dall’ambito accademico. Al di là del nucleo principale della riflessione, su cui torneremo, ciò che salta immediatamente all’occhio è che non solo viene rilanciata da una delle più note e accreditate piattaforme internazionali di opere e riviste scientifiche, ma che questa arrivi direttamente “dall’interno”. Più precisamente da Julian Kirchherr, ricercatore all’Università di Utrecht (Olanda) alla Facoltà di Geoscienze e specializzato sui temi dell’economia circolare e della transizione energetica.
Per rilanciare la sua ricerca, che egli stesso definisce già dal titolo “una provocazione”, Kirchherr su Twitter sceglie la strada dell’ironia, scrivendo che “in questi giorni ci sono troppe ricerche pubblicate sulla sostenibilità e sulle transizioni che sono di pessima qualità (e, è vero, il mio record di pubblicazione non è certamente del tutto esente da articoli del genere!)”.
Dalle numerose e piccate reazioni circolate in ambito accademico e sui social pare che Kirchherr, in appena 6 pagine di paper, abbia toccato un nervo particolarmente scoperto. Ma cosa sostiene concretamente il giovane ricercatore, già partner associato presso McKinsey & Company e i cui lavori precedenti sono stati citati da testate prestigiose come BBC, Bloomberg e Wall Street Journal?
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I cinque archetipi delle cazzate accademiche
Nelle premesse al suo articolo scientifico Julian Kirchherr riconosce che la “ricerca sulla sostenibilità e sulla transizione sta fiorendo”, anzi “alcune di queste ricerche stanno aiutando a risolvere i problemi più urgenti dell’umanità”. E allora perché usare un’espressione molto forte come “cazzate accademiche”? Il ricercatore sostiene che “la volgarità può anche avere un’utile funzione di sveglia, che potrebbe essere necessaria nel mondo accademico in questi giorni”.
Nel corso della sua carriera accademica, infatti, Kirchherr ha letto centinaia di articoli che la letteratura scientifica ha dedicato alla sostenibilità, parola chiave ormai di ogni scelta governativa e aziendale e privata. Sulla base di ciò ha stilato un elenco di “cinque archetipi di cazzate accademiche onnipresenti”, una tipologia che comunque non è considerata esaustiva e su cui anzi il ricercatore invita a suggerire nuovi spunti. Al momento tuttavia i cinque archetipi sono:
- mancanza di originalità. Qui viene citata proprio l’economia circolare, con gli articoli che, secondo Kirchherr, non fanno altro che “replicare empiricamente lavori precedenti”. Viene riportato ad esempio il caso dei fattori abilitanti per le piccole e medie imprese, con lavori molto simili tra di loro;
- revisioni su revisioni. Intendiamoci, in ambito scientifico la revisione di lavori precedenti è una pratica molto utilizzata, che serve a migliorare le conoscenze su un dato argomento. Qui però, è sempre la tesi di Kirchherr, sotto attacco ci sono le “numerose revisioni circolari del modello di business attualmente in circolazione, spesso in gran parte indistinguibili. Riassumono ciò che già sappiamo e non portano nessuna novità”;
- la ricerca riciclata. Se il riciclo è una delle caratteristiche dell’economia circolare, va meno bene in ambito scientifico. Kirchherr in questo caso si fa quasi sardonico, e scrive che “attualmente, un numero crescente di studiosi che un tempo erano esperti di product as service, efficienza dei materiali o design del prodotto sembra essersi semplicemente rinominato per saltare sul carro dell’economia circolare. Questa borsa di studio è spesso di eccellente qualità, sia da un punto di vista teorico che empirico, ma non si è basata sul corpo del lavoro dell’economia circolare perché ha utilizzato solo opportunisticamente il termine ‘economia circolare’, a volte anche solo nel titolo o nelle parole chiave, e quindi non aggiunge nulla al corpo di conoscenze sull’argomento”
- le tesi di laurea. Sappiamo che sempre più spesso l’economia circolare è oggetto di studi universitari. Secondo Kirchherr, tuttavia, la quantità non è sinonimo di qualità. Si tratta di lavori che “includono un’applicazione disordinata (o nulla) della teoria, non più di una manciata di interviste qualitative, un’analisi che non sembra essere replicabile e/o conclusioni ad ampio raggio e non supportate dai dati. Tali lavori minano gli standard dell’editoria peer-reviewed”
- gli sproloqui degli attivisti. Lo sa bene la nostra testata, che all’economia circolare ha dedicato un portale di informazione in cui applicare i criteri del giornalismo costruttivo: bisogna sottoporre sempre le proprie idee all’analisi dei fatti. Così non è, a quanto pare, per gli articoli scritti da chi tifa per questi temi. “Tale passione – afferma Kirchherr – può scatenare enormi sforzi per quanto riguarda il progresso teorico o la raccolta di dati che potrebbero rafforzare la nostra comprensione dell’economia circolare. Tuttavia, questi articoli rimangono spesso esperienziali invece di diventare teorici e/o empirici; tentano di costruire la loro legittimità attraverso affermazioni generali e di benessere invece di argomenti sostanziali”
Nelle punzecchiature del ricercatore dell’università di Utrecht chi vorrà (e chi avrà l’onestà intellettuale) potrà riconoscersi. Julian Kirchherr, in ogni caso, evita di fornire esempi specifici. Anzi, l’unico caso citato direttamente è proprio il suo, e riguarda il suo studio più celebre – citato 3mila volte su Google Scholar – che raccoglie e propone 115 definizioni dell’economia circolare. In maniera autoironica, si invita il lettore “a tentare di classificare questo lavoro in uno dei cinque archetipi proposti”.
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Sulle cause delle cazzate accademiche
A fare le pulci alla provocazione del ricercatore olandese, si potrebbe osservare che alla tipologia proposta si potrebbe aggiungere un sesto punto, cioè i “numeri buttati a caso per dare una parvenza di scientificità”. Come ha fatto Julian Kirchherr a individuare che “almeno il 50% degli articoli pubblicati sulle riviste specializzate possono essere classificati come cazzate accademiche”? È la domanda che è stata posta da alcuni revisori del suo articolo scientifico. Kirchherr sostiene che “ha selezionato circa 100 articoli pubblicati di recente sull’economia circolare su riviste famose come Journal of Cleaner Production, Ecological Economics e Sustainability”. Può bastare o sarebbe servito un metodo di selezione più rigoroso?
Quel che appare più condivisibile è piuttosto la tendenza a occuparsi delle “parole del momento”, come appunto l’economia circolare, potrebbe andare avanti ancora a lungo. “Sembra che un numero crescente di accademici nel campo – chiosa Kirchherr – concorderebbe sul fatto che è improbabile che la quota di cazzate accademiche diminuisca nei prossimi anni”. Ciò avverrebbe perché molti studiosi, per essere riconosciuti dalla comunità accademica e conseguire maggiori titoli nonché per ricevere finanziamenti ad hoc, provano a intercettare le tendenze senza averle nemmeno del tutto esplorate.
Il problema, insomma, è insito nel sistema che origina la proliferazione di studi sciatti e molto simili tra loro. “Potrebbe quindi non essere giusto incolpare tutti gli accademici là fuori per aver sfornato cazzate accademiche – riconosce Kirchherr -. Piuttosto, l’attenzione potrebbe essere rivolta alle élite che hanno progettato un sistema accademico che sbaglia a privilegiare articoli molto citati. In altre parole: il sistema accademico è così concentrato su obiettivi quantitativi che potrebbe aver dimenticato cosa questi obiettivi avrebbero dovuto misurare. Sostituire questo sistema con uno che alla fine produca meno stronzate accademiche non è un compito banale”.
L’articolo si conclude infine con un invito rivolto a chi effettua ricerche nell’ambito della sostenibilità e dell’economia circolare. Prima di intraprendere uno studio bisognerebbe rivolgersi una domanda: “sto contribuendo ad alimentare la pila di cazzate accademiche o sto contribuendo al progresso della conoscenza del mio campo?”. Peccato che per cambiare i sistemi iniqui le scelte individuali, da sole, possono ben poco. Come sanno bene lettori e lettrici dell’economia circolare. Ma questo è un altro discorso.
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