Mentre l’Italia era concentrata il 14 luglio sulla sfiducia del M5s in merito al decreto Aiuti, e sulla crisi di governo che tale scelta ha generato, in Europa si votava una scelta forse minore ma comunque importante, vale a dire le nuove regole di rendicontazione sociale e ambientale che le grandi imprese dovranno rispettare per mostrare di essere realmente sostenibile.
Lo scopo è quello di evitare la pratica del greenwashing, purtroppo sempre più diffusa, e promuovere standard uniformi per i criteri ESG, in modo tale che la finanza sostenibile provi a parlare se non con una sola voce almeno con un linguaggio comune. Il voto del 14 luglio da parte della Commissione giuridica del Parlamento europeo è il penultimo passaggio di un iter che darà ufficialità alla nuova rendicontazione obbligatoria in materia di ambiente, affari sociali e governance.
L’ultimo passaggio, infatti, è la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea dell’accordo, approvato il 21 giugno, tra Consiglio e Parlamento. Come scrive il Consiglio, “la sostenibilità diventerà un nuovo pilastro delle prestazioni delle imprese, allontanandosi dal focus sui profitti a breve termine”. Mentre l’Ue “è destinata a diventare leader nella definizione di standard globali di rendicontazione sulla sostenibilità”. Ma concretamente cosa avverrà per le grandi imprese? E a partire da quando?
Leggi anche: lo Speciale sul greenwashing
I nuovi standard di sostenibilità
Dal 2024 le grandi aziende dovranno divulgare pubblicamente informazioni sul modo in cui operano e gestiscono i rischi sociali e ambientali. A dirlo è l’accordo stilato da Consiglio e Parlamento, che hanno firmato congiuntamente la Corporate Sustainability Reporting Directive (CSRD). È questo atto che obbligherà le grandi imprese – con oltre 250 dipendenti e un fatturato di 40 milioni di euro, quotate o meno in borsa – a dover mettere nero su bianco il loro impatto sulle persone e sul pianeta.
Le aziende dovranno dare analoga importanza a quella che danno alle esigenze di bilancio e ai profitti alla cosiddetta rendicontazione non finanziaria, dunque su ciò che riguarda il loro impatto sull’ambiente, la tutela dei diritti umani, il rispetto delle uguaglianze e la gestione interna. L’obiettivo è porre fine al greenwashing e gettare le basi per gli standard di rendicontazione della sostenibilità a livello globale.
Le informazioni fornite dalle imprese saranno poi oggetto di audit e certificati indipendenti, con un’obbligatorietà che sorpassa la volontarietà affrontata finora soltanto da alcune grandi imprese. La rendicontazione finanziaria e la rendicontazione sulla sostenibilità saranno su un piano di parità e gli investitori, è l’auspicio dell’Unione europea, avranno finalmente accesso a dati affidabili, trasparenti e comparabili.
Leggi anche: lo Speciale sulla Finanza Sostenibile
In attesa di standard comuni sulla finanza sostenibile
Come ben sa chi legge il nostro giornale, uno dei temi cruciali su cui si arrovella la finanza sostenibile per essere credibile è la capacità di districarsi nella selva di criteri che le grandi imprese sfoggiano per mostrarsi sostenibili. Nell’Unione europea dei 27 Stati membri, infatti, la condivisione manca anche relativamente alle imprese extra Eu. Così si interpreta il passaggio, voluto dai deputati e dalle deputate del Parlamento, in cui si legge che anche “le società non UE con un’attività sostanziale nel mercato dell’UE (150 milioni di euro di fatturato annuo nell’UE) dovranno seguire regole di rendicontazione equivalenti”. A controllare il rispetto di questi standard saranno poi i singoli Stati membri, con l’aiuto della Commissione.
Le norme si applicano anche alle piccole e medie imprese quotate, tenendo conto delle loro specificità. Per le pmi sarà possibile una deroga (“opt-out”) durante un periodo transitorio, il che significa che esse saranno esentate dall’applicazione della direttiva fino al 2028.
Il regolamento si applicherà in tre fasi:
- 1º gennaio 2024 per le imprese già soggette alla direttiva sulla comunicazione di informazioni di carattere non finanziario
- 1º gennaio 2025 per le grandi imprese attualmente non soggette alla direttiva sulla comunicazione di informazioni di carattere non finanziario
- 1º gennaio 2026 per le pmi quotate, gli enti creditizi piccoli e non complessi e le imprese di assicurazione captive
La rendicontazione delle imprese, segnala poi Valori, “dovrà essere basata sugli standard obbligatori di rendicontazione della sostenibilità dell’Unione europea, gli European Sustainability Reporting Standards (ESRS). È in corso la consultazione pubblica, aperta fino all’8 agosto 2022, sul primo set di indicatori ESRS preparato dall’Efrag (il Gruppo consultivo di esperti finanziari a cui si è affidata Bruxelles). La prima serie di standard dovrebbe essere adottata entro ottobre 2022”.
I tempi per una “standardizzazione degli standard”, per dirla così, si preannunciano dunque lunghi. A essere forse più soddisfatte di questa dilatazione dei tempi saranno le piccole e medie imprese italiane, storicamente meno attente alla trasparenza ambientale e alla disciplina dei rapporti di lavoro. Serve invece accelerare, perché la crisi climatica è in corso e non può attendere le esigenze finanziarie.
© Riproduzione riservata