Mentre proseguono i lavori alla COP27, arrivano da diversi fonti conferme che l’andamento con cui i Paesi si sono mossi finora verso gli obiettivi di Parigi non è sufficiente. Le evidenze scientifiche sono allarmanti, e rendono ancora più urgente e cruciale rispettare, rinnovare e potenziare gli impegni presi finora dai Paesi.
Secondo Warming Projections Global Update, l’ultimo report di Climate Action Tracker (CAT), non si è infatti riusciti a garantire i tagli urgenti alle emissioni promessi dai governi per mantenere il riscaldamento entro 1,5°C.
“Con gli attuali obiettivi per il 2030, – scrivono nel report – il mondo si sta dirigendo verso un riscaldamento di 2,4°C. Se questo numero sembra familiare, è perché è lo stesso dello scorso anno. Nel 2022 i governi hanno continuato ad aderire al Global Methane Pledge (l’impegno che mira a accelerare l’azione globale e a rafforzare il sostegno alle iniziative internazionali esistenti per la riduzione delle emissioni di metano, ndr), per far progredire il lavoro tecnico e politico che servirà a sostenere le azioni nazionali dei partecipanti, ma alcuni dei principali responsabili di emissioni sono rimasti in disparte”.
Per la 27esima Conferenza delle Parti sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite si è parlato finalmente di “attuazione” di quelli che sono gli Accordi di Parigi ma la strada è lunga, anche se il tempo non è un’opzione. “Quest’anno ci sono stati alcuni risultati degni di nota, – afferma ancora lo studio – ma non stiamo ancora assistendo alla portata e alla velocità di attuazione necessarie per colmare il divario e mantenere aperta la possibilità di mantenere la temperatura sotto 1,5°C”.
La corsa al gas e l’Accordo di Parigi
“È sempre più evidente come in tutto il mondo l’industria del petrolio e del gas stia spingendo il gas fossile come via d’uscita dalla crisi”. Come sottolineato anche dal report, la crisi energetica causata dall’invasione dell’Ucraina da parte della Russia ha spinto i governi ad affannarsi per rafforzare la sicurezza energetica. In molti casi, però, sottolineano nel report, i governi stanno raddoppiando l’uso dei combustibili fossili, nonostante il fatto che “le energie rinnovabili, l’efficienza e l’elettrificazione siano di gran lunga le opzioni più economiche, veloci e sicure”.
Questo non è solo una mossa sbagliata sul piano teorico: secondo il Climate Action Tracker, i piani di espansione legati al Gas Naturale Liquefatto (GNL) comprometteranno seriamente il rispetto del limite di 1,5°C. La capacità di GNL attualmente in costruzione, insieme ai piani di espansione, potrebbe aumentare le emissioni di oltre 1,9 gigatonnellate di CO2 equivalente all’anno.
Tra il 2020 e il 2050, le emissioni cumulative di GNL potrebbero essere superiori di oltre 40 gigattonellate di CO2 equivalente e nel 2030 l’eccesso di offerta potrebbe raggiungere i 500 megatonnellate di GNL, quasi cinque volte le importazioni di gas fossile dell’Ue dalla Russia nel 2021 e oltre il doppio delle esportazioni totali russe. Una reazione alla crisi energetica sproporzionata, dunque, che può portare conseguenze disastrose se non ridimensionata.
Gli NDC Paese per Paese
L’accordo di Parigi prevedeva che ogni Paese, al momento dell’adesione, comunicasse il proprio “contributo determinato a livello nazionale” (in inglese Nationally Determined Contribution, NDC) con l’obbligo di perseguire le conseguenti misure per la sua attuazione. Naturalmente ogni successivo contributo nazionale doveva costituire un avanzamento rispetto allo sforzo precedentemente ma dal report emerge che così non è stato. La mappa di Climate Action Tracker disegna infatti un costante avanzare e retrocedere da parte dei Paesi, in un movimento che non offre certezze.
Ecco alcuni esempi significativi per fare un primo punto sugli obiettivi NDC dei vari Paesi (qui l’elenco completo):
La domanda di energia della Cina continua a crescere di anno in anno e, anche se il percorso per la transizione energetica avanza, come dimostra l’ambizione di incrementare rapidamente le energie rinnovabili, purtroppo, la dipendenza dai combustibili fossili è destinata ad essere protagonista, almeno nell’immediato futuro.
La Germania ha reagito alla crisi energetica in maniera stata contrastante: se da una parte si è registrato un aumento del sostegno alle energie rinnovabili, vi sono state, come è noto, proposte di infrastrutture per il gas e il GNL. Inoltre, per allinearsi agli obiettivi la Germania dovrebbe impegnarsi a porre fine ai finanziamenti pubblici per i combustibili fossili all’estero, compreso il possibile sostegno all’estrazione di gas in Senegal.
In Sudafrica, dove la crisi energetica ha investito il Paese portando nei mesi scorsi a numerosi e frequenti blackout, il presidente Cyril Ramaphosa ha ribadito, anche nel primo giorno della Cop27, la sua volontà di diversificare le fonti energetiche e garantire la transizione verso un’economia a basse emissioni: naturalmente è da appurare se vi sarà un reale cambiamento e come questo contribuirà a raggiungere l’obiettivo NDC, rafforzato nell’ottobre dello scorso anno. Il Sudafrica e i Paesi che durante la Cop26 si erano impegnati a donare i fondi – Usa, Regno Unito, Unione europea, Germania e Francia – intendono, inoltre, approvare il primo piano di investimenti della Just Energy Transition Partnership (JETP) per accelerare la chiusura delle centrali a carbone entro la fine del 2022.
Gli Stati Uniti hanno compiuto un importante passo avanti con l’Inflation Reduction Act, un ambizioso provvedimento che dovrebbe portare a grossi investimenti in ambito climatico, come i 369 miliardi di dollari al settore dell’energia pulita interna al Paese. Tuttavia si sta pianificando di aumentare la propria capacità di esportazione di GNL di circa un terzo entro il 2026. Inoltre, non hanno rispettato l’invito a presentare un obiettivo NDC rafforzato nel 2022: non proprio un buon biglietto da visita per il maggior produttore mondiale di petrolio e gas e alla sua ambita leadership climatica.
Pochi aggiornamenti sugli NDC
Nel 2022, solo 28 Paesi hanno presentato gli aggiornamenti degli NDC, contrariamente a quanto stabilito dal Patto per il clima di Glasgow, secondo cui tutti i Paesi avrebbero dovuto rivedere e rafforzare gli obiettivi già appunto da questo anno, invece che aspettare, come stabilito, cinque anni per il loro rinnovo. C’è da evidenziare, purtroppo, che molto spesso anche NDC aggiornati non significano un vero passo in avanti o un aumento delle ambizioni.
L’India, ad esempio, ha presentato l’aggiornamento del suo NDC, annunciato per la prima volta a Glasgow, tuttavia nel Paese i nuovi obiettivi non determineranno ulteriori riduzioni delle emissioni. Inoltre, mancano ancora i dettagli sull’obiettivo di zero emissioni per il 2070: non è chiaro se riguardi solo la CO2 o tutti i gas serra. Per quanto riguarda le energie rinnovabili si registrano progressi, ma manca ancora una direzione ben definita verso la graduale eliminazione del carbone. Il governo sta pianificando di aumentare anche il gas fossile nel mix energetico.
Il Regno Unito, che ha ospitato a Glasgow la COP26, non è riuscito a rafforzare il suo obiettivo nazionale o a fare la sua parte nel sostenere gli altri.
Gli obiettivi NDC di Stati Uniti, Unione europea e Cina rimangono invariati.
Solo pochi Paesi hanno presentato obiettivi più ambiziosi, mentre altri lo hanno solo annunciato. L’Australia è stato l’unico Paese del G20 a rafforzare il suo obiettivo, ma il suo punto di partenza era molto indietro rispetto agli altri Paesi.
NDC: dove si sono registrati miglioramenti
In Australia – unico l’unico membro del G20 ad aver rafforzato il proprio impegno per gli obiettivi NDC nel 2022 – questo settembre l’obiettivo di riduzione delle emissioni del 43% rispetto al 2005 entro il 2030 e l’obiettivo di azzeramento del 2050 sono stati resi giuridicamente vincolanti. Sebbene si tratti di un segnale positivo, l’obiettivo è ancora al di sotto dei tagli necessari per limitare il riscaldamento a 1,5°C. Inoltre, l’Australia ha ancora molta strada da fare in termini di contributo alla sua giusta quota e di aumento dei finanziamenti per il clima. Il Paese continua a sostenere nuovi progetti di esportazione di carbone, gas e gas naturale liquefatto (GNL), chiaramente incompatibili con la limitazione del riscaldamento a 1,5°C, e ha poche politiche per raggiungere il suo obiettivo.
Gli Emirati Arabi, che ospiteranno la COP28 nel 2023, hanno presentato un obiettivo NDC rafforzato nel settembre 2022. Tuttavia, stanno ancora pianificando un aumento significativo della produzione e del consumo di combustibili fossili, in particolare carbone e a gas entro il 2050, il che è ovviamente incoerente con l’obiettivo net-zero annunciato lo scorso anno. L’obiettivo del carbone è in fase di revisione, ma non è ancora stato ufficialmente abbandonato. Il Paese prevede poi di raddoppiare la capacità di esportazione di GNL entro il 2026.
La Thailandia, la Norvegia e Singapore hanno presentato obiettivi più ambiziosi poco prima della COP27.
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NDC: nella giusta direzione
L’NDC 2022 del Brasile è migliore del precedente, ma è ancora più debole dell’obiettivo originario del 2016. Per soddisfare il proprio fabbisogno energetico continua, infatti, a puntare sui combustibili fossili, in particolare sul gas. La deforestazione, una dei problemi ambientali più grande del Paese e del Pianeta, continua ad aumentare tra disboscamento illegale e scarsa applicazione delle norme. Fanno sperare, però, le parole del neo-eletto presidente Luiz Inácio Lula da Silva che ha promesso di presentare un NDC aggiornato con obiettivi più forti e di rafforzare l’azione del Paese per il clima, soprattutto per quanto riguarda la lotta alla deforestazione; anche se non è stata fissata alcuna tempistica per l’aggiornamento.
I ministri dell’Ue hanno deciso di rafforzare il loro obiettivo dopo che la legislazione sul clima, il pacchetto “Fit for 55”, sarà completata nei prossimi mesi. A seconda dei cambiamenti nel mix energetico, il piano REPowerEU, presentato dalla Commissione nel maggio 2022, potrebbe consentire al blocco di superare l’obiettivo attuale di qualche punto percentuale. Tuttavia, l’Ue deve ancora spingersi oltre di circa 5 punti percentuali per adottare un obiettivo compatibile con gli 1,5°C. Secondo il report, l’Ue si sta concentrando troppo sul sostegno a ulteriori investimenti in GNL per sostituire il gas russo, invece del potenziale offerto dall’accelerazione delle energie rinnovabili e dal rafforzamento dell’efficienza energetica.
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NDC: dove non sono cambiati
L’Egitto, dove, a Sharm el-Sheikh, è in corso la Cop27, ha presentato obiettivi di riduzione delle emissioni per alcuni settori nell’aggiornamento del suo NDC, e la prima volta ha presentato obiettivi quantificati, insieme a un elenco di politiche e misure per altri settori. Questi obiettivi appaino però deboli e ben al di sopra delle emissioni previste per il 2030, “anche se – precisa CAT – la mancanza di trasparenza dell’aggiornamento rende difficile la valutazione”. L’Egitto, inoltre, sta pianificando e investendo in una massiccia espansione del gas.
Anche l’India ha presentato ufficialmente alcuni – ma non tutti – gli obiettivi annunciati alla COP26. Sebbene i nuovi obiettivi siano più forti sulla carta, l’India li raggiungerà già con le sua attuali politiche di azione per il clima, quindi l’aggiornamento non porterà a ulteriori riduzioni delle emissioni. Il Primo Ministro, Narendra Damodardas Modi, aveva anche annunciato un obiettivo di 500 GW di capacità non fossile a Glasgow: non è stato incluso nell’NDC (ma è incluso nel piano energetico nazionale). Al massimo, questo obiettivo avrebbe determinato riduzioni minori delle emissioni. Complessivamente, l‘India deve proporre ulteriori tagli alle emissioni al 2030 per entrare in un percorso di 1,5°C, per il quale avrà bisogno di sostegno.
Il Regno Unito, lo dicevamo, non ha rafforzato il suo obiettivo di riduzione delle emissioni nell’aggiornamento dell’NDC ma ha fornito invece informazioni aggiuntive su come raggiungerà l’obiettivo attuale.
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