Il 20 giugno del 1951 è una data di quelle che non si fa fatica a definire storiche: è il giorno in cui, sotto l’egida dell’ONU, viene approvato il documento noto come Convenzione di Ginevra, in cui 144 Stati per la prima volta riconoscono lo status di rifugiato, disciplinando quelli che sono i diritti dei migranti e nello stesso tempo i doveri degli Stati verso di essi.
In occasione del 50esimo anniversario di quella data, cioè il 20 giugno del 2001, da parte delle Nazioni Unite viene istituita la Giornata mondiale del rifugiato, che intende non solo commemorare il ricordo ma monitorare ciò che accade attorno a un fenomeno, quello delle migrazioni, connesso con la storia umana sin dalle sue origini.
Ogni anno, infatti, l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) seleziona un tema comune per coordinare gli eventi celebrativi in tutto il mondo. Proprio in occasione dell’edizione 2023 della Giornata mondiale del rifugiato l’UNHCR ha lanciato il rapporto Global Trends in Forced Displacement 2022, un dossier di 48 pagine che presenta le principali tendenze statistiche e gli ultimi dati sulle migrazioni forzate nel mondo. In questa occasione, inoltre, è stata presentata la campagna HOPE AWAY FROM HOME – Un mondo dove tutti i rifugiati siano inclusi.
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Fuggire dalle guerre e dal clima che cambia
“La guerra in corso in Ucraina, insieme ai conflitti in altre parti del mondo e agli sconvolgimenti provocati dal clima, hanno costretto un numero record di persone a fuggire dalle proprie case nel 2022, acuendo l’urgenza per un’azione immediata e collettiva per alleviare le cause e l’impatto dello sfollamento”: così l’agenzia Onu per i rifugiati rende noti i dati più importanti relativi all’edizione 2023 della Giornata mondiale del rifugiato.
“A fine 2022 – scrive l’UNCHR – il numero di persone costrette alla fuga a causa di guerre, persecuzioni, violenza e violazioni dei diritti umani è salito al livello record di 108,4 milioni, con un aumento senza precedenti di 19,1 milioni rispetto all’anno precedente. Nell’anno in corso, il trend in crescita del numero di persone costrette alla fuga a livello globale non mostra segni di rallentamento anche a causa dello scoppio del conflitto in Sudan che ha causato nuovi esodi, spingendo il numero totale delle persone in fuga a un valore stimato di 110 milioni fino al maggio scorso”.
A ottenere la triste palma del primato degli esodi forzati per il 2022 è l’Ucraina. “Il numero di rifugiati dall’Ucraina è salito da 27.300 alla fine del 2021 a 5,7 milioni alla fine del 2022, costituendo così il più rapido esodo di rifugiati al mondo dalla Seconda guerra mondiale. Il numero di rifugiati dall’Afghanistan è cresciuto nettamente alla fine del 2022 a causa della revisione delle stime dei cittadini afghani ospitati in Iran, molti dei quali erano arrivati negli anni precedenti. Del totale globale, 35,3 milioni sono rifugiati, persone che hanno attraversato un confine internazionale in cerca di sicurezza, mentre il gruppo più numeroso (il 58%, vale a dire 62,5 milioni di persone) è quello degli sfollati all’interno dei loro Paesi a causa del conflitto e della violenza”.
Un altro aspetto interessante che emerge dal report Global Trends è che, al contrario delle narrazioni imperanti, sono sempre i Paesi a medio e basso reddito ad ospitare la maggior parte delle persone in fuga. “I 46 Paesi meno sviluppati rappresentano meno dell’1,3% del prodotto interno lordo globale, eppure ospitano più del 20% di tutti i rifugiati. Si segnala inoltre che nel 2022, i fondi disponibili per far fronte alle molte crisi di rifugiati in corso e per sostenere le comunità che li ospitano, sono stati molto inferiori alle necessità e rimangono a tutt’oggi insufficiente nel 2023, nonostante i bisogni umanitari crescenti”.
E in Italia? Nel nostro Paese le persone arrivate nel 2022 sono state 354.414: di queste il 41% proviene dall’Ucraina. E in questo caso nessuno ha parlato di invasione. Soprattutto, nei confronti della popolazione ucraina c’è stato un alto livello di integrazione, segno che se c’è la volontà politica l’accoglienza è realizzabile. Ma le buone notizie, si sa, fanno meno rumore delle cattive notizie.
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Le contraddizioni della politica e le soluzioni che già ci sono
In occasione della festa per i 20 anni dell’associazione A Sud, che si è tenuta lo scorso venerdì a Roma, è stata presentata la terza edizione del report sulle migrazioni forzate, ambientali e climatiche. Il report, come ha ricordato la curatrice Maria Marano, è una lettura corale e multidisciplinare con dati, analisi, storie e casi studio.”Molto spesso si parla dei costi dell’accoglienza – ha osservato Marano – ma non delle responsabilità occidentali su queste partenze. L’espressione apartheid climatico fa comprendere che la crisi climatica è anche una crisi di democrazia. Per la gran parte, d’altra parti, i migranti ambientali sono sfollati climatici che si spostano all’interno del proprio Paese. Ecco perché a nostro avviso è più giusto parlare di colonialismo ambientale. Di certo serve una rilettura del concetto di violenza, perché anche costringere le persone a spostarsi è una forma di violenza”.
A moderare l’incontro, ricco di ospiti, è stato Andrea Turco, giornalista di EconomiaCircolare.com e collaboratore di A Sud. “Il pensiero non può andare a ciò che è avvenuto in Grecia nella notte tra martedì e mercoledì, quando un barcone carico di persone, che è partito dalla Libia, è affondato al largo del Peloponneso – ha detto Turco – I morti ufficialmente sono 78 ma presumibilmente sono molti di più: è l’ennesima strage di migranti, l’ennesimo sciagurato record che si appresta a superare il naufragio di Cutro dello scorso febbraio e che potrebbe superare persino gli 383 morti del naufragio di Lampedusa del 3 ottobre 2013. Se già l’argomento delle migrazioni è complesso, figurarsi poi quando si lega questo tema all’altro grande tema del nostro tempo, vale a dire la crisi climatica, che si appresta a infuriare con un’estate particolarmente torrida. A partire dalla più stretta attualità, insomma, è necessario parlare delle migrazioni dovute agli effetti del riscaldamento globale”.
Eleonora Camilli, giornalista di Redattore Sociale ed esperta di migrazioni, ha provato a riflettere su come scardinare il racconto a senso unico delle migrazioni, viste sempre come un’invasione, anche quando i dati smentiscono tale versione. “L’unica emergenza, nel senso di urgenza, che non vediamo è proprio quella ambientale – ha aggiunto Camilli – Mentre nel frattempo raccontiamo le migrazioni in due forme polarizzanti: da una parte la versione criminalizzante della destra e dall’altra la versione paternalista di sinistra. Invece, a mio avviso, va messo al centro dell’analisi il diritto. Nel racconto del naufragio in Grecia non ho visto indignazione, neppure a sinistra. È come se ci fossimo assuefatti a queste tragedie”.
Per Valentina Brinis, che lavora per la ong Open Arms che si occupa del soccorso in mare, “i viaggi in mare sono una minima parte delle migrazioni. Anche noi, come ong, subiamo ostruzionismo ma questo è nulla rispetto al racconto colpevolista che viene fatto nei confronti di chi è costretta o costretto a spostarsi. Le soluzioni per evitare tragedie come quella greca ci sono. Ma manca la capacità politica di far funzionare le strutture che già ci sono. Su temi come le migrazioni e la crisi climatica la classe politica italiana e quella europea sono molto più indietro rispetto alla società“.
Chiara Scissa, esperta in protezione internazionale e diritti umani e dottoranda in Diritto presso la Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, ha ricordato che “a livello nazionale, checché se ne dica, l’Italia è l’unico Paese al mondo a fornire quattro status di protezione per chi fugge dalla propria terra per motivi ambientali. Ovviamente si tratta di un quadro frammentato e contraddittorio, ma è comunque importante”.
L’intervento conclusivo è stato di Gaetano De Monte, giornalista per Domani e altre testate. “Già il modello hotspot, attivo negli anni scorsi, escludeva le persone che provenivano da Paesi fortemente colpiti dalla crisi climatica – ha ricordato De Monte – Condivido ciò che è stato sulla centralità del diritto e sull’assenza di una visione politica, aggiungo che mancano proprio le proposte su strumenti, che pure già ci sono, come l’accesso per le vie legali, i visti per lo studio, l’ampliamento dei corridoi umanitari. Spiace constatare che è proprio l’Europa a dare coraggio alle politiche italiane di respingimento”.
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