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lunedì, Dicembre 16, 2024

PFAS nella maggioranza nell’abbigliamento sportivo outdoor britannico

Indagine del magazine Ethical consumer: su 27 aziende esaminate, l'82% utilizza ancora sostanze per- e polifluoroalchiliche (PFAS). Ungherese (Greenpeace): “Un clamoroso paradosso"

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Redazione EconomiaCircolare.com

Ormai la pervasività e la pericolosità dei PFAS sono note, tanto che sono sempre più numerose le iniziative che – al di là delle due sostanze giudicate cancerogene: PFOA E PFOS – impongono approfondimenti e limitazioni al loro utilizzo: in USA, Europa, Giappone, Nuova Zelanda,  Gran Bretagna. Grande famiglia di migliaia di sostanze chimiche sintetiche, i PFAS (sostanze per- e polifluoroalchiliche) sono noti anche come forever chemicals, sostanze chimiche per sempre: perché tutte contengono legami carbonio-fluoro, tra i legami chimici più forti nella chimica organica, che resistono alla degradazione nell’utilizzo ma anche quando queste molecole sono disperse nell’ambiente. Nel quale sono facilmente trasportabili, coprendo lunghe distanze dalla fonte del rilascio. EconomiaCircolare.com ne ha raccontato l’ubiquità, e una recete indagine del magazine Ethical consumer ne ha confermato e documentato la presenza nella grande maggioranza di abbigliamento sportivo outdoor britannico.

Pfas sport outdoor

L’indagine di Ethical consumer

La rivista ha esaminato 27 aziende che producono abbigliamento e attrezzature per l’outdoor venduta in Gran Bretagna – dalle giacche agli scarponi agli zaini – e ha scoperto che l’82% dei brand utilizza ancora sostanze per- e polifluoroalchiliche.

Jane Turner, ricercatrice di Ethical Consumer, ha dichiarato: “L’irreversibile contaminazione globale e l’estrema tossicità delle ‘sostanze chimiche per sempre’ sono indiscusse da anni, ma la maggior parte delle aziende di abbigliamento outdoor continua a usarle inutilmente e ad aumentare il carico di inquinamento dei PFAS. Questo non è accettabile e le aziende devono smettere di usarli ora. I consumatori dovrebbero acquistare solo dalle aziende responsabili che hanno smesso di usare i PFAS”.

Quando questi prodotti vengono impiegati e si usurano, il processo di invecchiamento “fa sì che gli escursionisti che indossano l’attrezzatura da outdoor disperdano alcune sostanze chimiche nell’ambiente, anche se la maggior parte dell’inquinamento da PFAS si verifica durante la produzione delle sostanze chimiche, quando vengono applicate ai tessuti e quando un prodotto viene gettato via”, ricorda il Guardian.

Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna inquinamento di Greenpeace Italia, nel suo “PFAS. Gli inquinanti eterni e invisibili nell’acqua” parla di “un clamoroso paradosso: proprio un settore di abbigliamento che produce capi per attività a contatto con la natura contribuisce a contaminarla”.

“I PFAS sono stati trovati nei fiumi che attraversano l’Inghilterra, sulle pendici del Monte Everest e in più di 600 specie di fauna selvatica, dagli orsi polari ai tursiopi”, ha spiegato al Guardian Hannah Evans della ong Fidra: “Solo in Europa ci sono almeno 23.000 siti di contaminazione noti, 2.000 dei quali sono considerati ‘hotspot’ di PFAS – aree in cui le concentrazioni sono considerate pericolose per la salute. I PFAS stanno contribuendo a una crisi globale di inquinamento chimico”.

A febbraio di quest’anno, il governo britannico ha inserito la regolamentazione dell’uso dei PFAS tra le proprie priorità nel proprio Programma di lavoro REACH (Regulation on the registration, evaluation, authorisation and restriction of chemicals) per il 2023-2024.

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Una questione di filiera

Come spiega ancora il volume di Giuseppe Ungherese, le alternative a queste molecole esistono per quasi tutti i loro usi. E molti brand le scelgono: “Páramo e Finisterre non utilizzano PFAS nei loro prodotti – leggiamo sul Guardian – mentre Fjällräven, Alpkit, Lowe Alpine e Patagonia sono per lo più privi di PFAS. Insieme a più di una dozzina di altre aziende, dichiarano di voler eliminare l’uso di PFAS l’anno prossimo”. Ma siccome i prodotti per l’outdoor sono particolarmente complessi e altrettanto lo sono le filiere che li producono, la questione non può essere risolta da una sola imprese. Ancora il Guardian cita un portavoce della britannica Páramo, che dal 2016 garantisce che i propri prodotti sono privi di PFAS: “La contaminazione da parte di altre aziende che utilizzano queste sostanze chimiche può essere un problema per le aziende che cercano di allontanarsi dai PFAS. Il problema più grande per noi non è stato eliminare le sostanze PFAS dai nostri processi, ma piuttosto convincere le fabbriche di tessuti con cui lavoriamo a fare lo stesso, garantendo tessuti privi di PFAS”. Un esempio virtuoso lo ricorda ancora Ungherese, e riguarda appunto uno degli anelli della filiera dell’outdoor: Gore Fabrics (noto per i prodotti a marchio Gore-tex), leader globale nella produzione di membrane e trattamenti impermeabilizzabili, fornitore di marchi come Patagonia o The North Face, che anni fa ha annunciato la rinuncia ai PFAS.

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Leggi anche: PFAS, la sigla tossica che avvelena l’Europa

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