Le vendite degli smartphone nel mondo sono triplicate dal 2011, superando le 1,5 miliardi di unità all’anno. Eppure, la durata media di utilizzo rimane estremamente breve: chi vive nel Regno Unito e negli Stati Uniti, per esempio, usa il suo smartphone per poco più di 22 mesi, quindi molto al di sotto rispetto al loro potenziale tecnico di 5 anni. Con tassi di ricambio così elevati, questi dispositivi contribuiscono in grande misura ad aumentare il flusso di rifiuti elettrici ed elettronici (RAEE), una “folle corsa” che si stima raggiungerà le 74 milioni di tonnellate globali entro il 2030.
Insomma, da una parte consumi e produzione di rifiuti tecnologici aumentano costantemente, dall’altra si accentua l’allarme sul sovrasfruttamento delle risorse naturali e in particolare sulla sempre maggiore difficoltà – e in molti casi pericolosità – di approvvigionarsi delle cosiddette materie prime critiche.
Per trovare una risposta a questa evidente contraddizione è necessario allargare lo sguardo e considerare diversi aspetti, andando oltre l’analisi delle pur necessarie politiche di prevenzione basate su ecodesign, riutilizzo, riparazione e riciclo. L’analisi del fenomeno deve necessariamente coinvolgere da una parte le dinamiche di produzione e costante immissione sul mercato di oggetti tecnologici e dall’altra i fattori che spingono le persone ad acquistarli nonostante non ne abbiano un bisogno effettivo, magari gettandoli via dopo pochi cicli di utilizzo e ancora funzionanti. Per fare questo è necessario addentrarsi nel labirinto intricato della società dei consumi, in cui le dinamiche della tecnologia, dell’economia, della psicologia e della cultura si intrecciano fittamente, per individuare le sue caratteristiche e le sue contraddizioni: dallo spreco produttivo all’obsolescenza programmata, dal concetto di “homo consumens” a quello della cultura dello scarto.
Nell’ambito del progetto “Training for Circularity – Borse di Studio (WEEE Edition)”, promosso dal Centro di Documentazione sui Conflitti Ambientali in collaborazione con Erion WEEE e il Dipartimento Sostenibilità dei Sistemi Produttivi e Territoriali di ENEA, con il supporto di EconomiaCircolare.com, la ricerca condotta dalla borsista Vittoria Moccagatta, sotto la supervisione degli esperti Matteo Civiero e Alessandra De Santis, si è posta l’obiettivo di far emergere la rilevanza pratica della sociologia dei consumi all’interno delle questioni legate alla circolarità e di incoraggiare la riflessione critica su ciò che spesso rimane inosservato o incompreso dei moventi al consumo moderno.
L’identikit della società dei consumi
Le parole con le quali il sociologo e filosofo francese Jean Baudrillard comincia una delle sue opere di maggior successo, La società dei consumi. I suoi miti e le sue strutture (edito in Italia da il Mulino), rappresentano ancora una chiave di lettura e un monito per comprendere il contemporaneo: “vi è attorno a noi una specie di evidenza fantastica del consumo e dell’abbondanza, costituita dal moltiplicarsi degli oggetti. Le persone […] non sono più circondate, come è sempre avvenuto, da altre persone, bensì da oggetti”. Questi oggetti, che sembrano ubiqui, denotano la presenza di un nuovo tipo di società, quella in cui consumarli non è soltanto sinonimo di soddisfazione di bisogni e desideri, ma anche della costruzione dell’identità personale e della percezione delle relazioni e dei valori sociali. Sebbene tutte le società abbiano sempre speso e consumato oltre la soglia del necessario, è solo in questa che nel consumo le persone si determinano e “si sentono vivere”, aggiunge Baudrillard. L’atto di consumare specifici prodotti, servizi e marchi si configura infatti come il principale mezzo per comunicare appartenenza, identità e status, contribuendo a generare connessioni e disconnessioni tra le persone – che sarebbe meglio definire “homines consumentes”, secondo la visione del teorico della “modernità liquida” Zygmund Bauman. Il volume in cui avviene questo battesimo è proprio Homo consumens. Lo sciame inquieto dei consumatori (Il Margine), dove Bauman descrive la condizione tragicomica di appiattimento degli esseri umani a fasci di nervi inquieti con la compulsione all’acquisto: attorniati da sollecitudine e compiacenza pubblicitarie che li spronano ad accumulare oggetti e servizi e a dipendere quotidianamente da entrambi, gli sciami di consumatori seguono freneticamente una moda dopo l’altra e, di 2.0 in 3.0, rincorrono un desiderio insostenibile di neofilia credendo che diventi realtà grazie alle formule magiche “3×2”, “offerta imperdibile” e “sconto esclusivo”. Questa magia, che deriva dalle narrazioni pubblicitarie che racchiudono simili formule, consiste precisamente nel fare in modo che l’homo consumens venga – scrive l’intellettuale austriaco Ivan Illich nel famoso saggio del 1973 Energia ed equità – “sollevato per aria”, cioè alleggerito della complessità e contraddittorietà della realtà retrostante merci e servizi che acquista e nutrito di sole leggere immagini.
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Produrre per sprecare
“Spreco produttivo” è un termine volutamente contraddittorio che Baudrillard utilizza per descrivere una delle reazioni più eclatanti agli alti costi interni di funzionamento della società dei consumi. Al fine di sostenere i ritmi della crescita economica, questo tipo di società deve infatti integrare all’interno dei suoi stessi processi produttivi alcuni svantaggi che si basano non solo sul consumo, ma anche sullo spreco di qualsiasi oggetto o servizio (d’ora in poi “merce”): dispositivi elettronici, vestiti, oggetti d’arredamento e automobili vengono distrutti, buttati o scartati prematuramente col fine produttivo di essere acquistati e riacquistati nuovamente. Questo “svantaggio integrato nel sistema economico” è dunque calcolato non in funzione del valore d’uso o del fair value dei servizi e delle merci, bensì “in funzione della loro morte”, cioè della loro obsolescenza spesso programmata. Per “obsolescenza programmata” si intende il precoce declassamento della merce attraverso l’introduzione intenzionale di difetti che fanno precipitare le sue prestazioni e rendono necessaria una sostituzione prematura. L’obsolescenza programmata rinnova dunque la necessità di consumare, di fatto rendendo insaziabile il desiderio che guida il consumo. Come spiega Serge Latouche in Usa e getta (Bollati Boringhieri), “si può resistere alla pubblicità […], ma si è disarmati di fronte al deperimento tecnico dei prodotti” derivante dall’obsolescenza programmata, che perciò egli definisce “l’arma assoluta del consumismo”. Il potere di quest’arma consiste nell’assottigliare vertiginosamente il confine tra nuovo e vecchio, merce e rifiuto, scarto e moda: ferito da quest’arma, l’homo consumens vive una condizione esasperante in cui l’aspirazione a possedere ciò che è à la page non si distingue chiaramente dall’imperativo di sostituire ciò che appare datato, sicché egli rimane intrappolato nella continua ricerca di quel qualcosa capace di soddisfarlo pienamente, ma che sfugge sempre appena oltre l’orizzonte della novità.
La teoria nella pratica
Queste riflessioni hanno attraversato le attività co-gestite con il team di EconomiaCircolare.com durante l’anno di svolgimento della borsa. Sono un esempio le interviste svolte durante la fiera Ecomondo – The Green Technology Expo a scrittrici e docenti che divulgano sulla carta e sul web teorie e pratiche di sostenibilità per migliorare la gestione individuale di consumi e sprechi; ma anche quelle condotte ad aziende virtuose che orientano il proprio core-business verso la chiusura dei cicli produttivi, contribuendo a eliminare il concetto di rifiuto. Queste interviste sono state precedute e seguite da articoli sugli stessi argomenti, oltre che inerenti al greenwashing nella comunicazione per approfondire messaggi parziali e immagini equivocabili legate al mondo dei consumi e delle emissioni di gas serra. In particolare, il greenwashing delle emissioni è stato anche oggetto di lezioni per formazione aziendale e di studenti e studentesse del corso “Green marketing e strategie di comunicazione per la sostenibilità”, mentre il greenwashing dei consumi sarà oggetto di uno Speciale di prossima pubblicazione sul magazine EconomiaCircolare.com. Il lavoro inerente le emissioni prosegue tutt’ora attraverso la collaborazione con l’associazione A Sud sul progetto “Cultura sostenibile” dedicato al calcolo dei gas serra emessi da enti ed eventi culturali per aiutare operatori e operatrici del settore a intraprendere un processo di conversione ecologica.
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