La notizia è stata accolta dagli addetti ai lavori nel settore dei criteri e degli indicatori di sostenibilità come uno sviluppo significativo nella rendicontazione, che aiuterà nell’impegno a migliorare la trasparenza e la responsabilità delle aziende. L’European Financial Reporting Advisory Group (EFRAG), ente europeo che si occupa di reporting di sostenibilità ha definito, infatti, gli indicatori di performance per lo sviluppo sostenibile (SDPI) delle Nazioni Unite come un “solido strumento” per la misurazione dei criteri ESG ambientali, sociali e di governance.
Nel novembre del 2022, l’Istituto di ricerca delle Nazioni Unite per lo sviluppo sociale (UNRISD) aveva pubblicato lo studio “Authentic Sustainability Assessment. A User Manual for the Sustainable Development Performance Indicators”, in cui elaborava, per la prima volta, una serie completa di indicatori per valutare le prestazioni delle aziende considerando le soglie di sostenibilità planetarie e le trasformazioni necessarie per raggiungere gli obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG) delle Nazioni Unite entro il 2030.
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Perché la sostenibilità degli indicatori SDPI è “autentica”
Gli indicatori SDPI forniscono un’alternativa ai modelli convenzionali di rendicontazione ESG, spesso criticati per la loro scarsa attenzione alla doppia materialità e ai rischi esterni. I report ESG, infatti, valutano generalmente gli impatti esterni all’impresa degli elementi ambientali, sociali e di governance (outside-in: l’impatto dei temi ambientali sulle attività economiche dell’azienda), e non degli impatti interni dell’impresa sulla salute del suo ambiente operativo esterno in termini di elementi ambientali, sociali, economici e di governance (inside-out: impatto delle attività aziendali sull’ambiente).
Il focus si sposta adesso dal cambiamento climatico e le emissioni di gas serra come unici elementi per valutare la sostenibilità delle aziende a un punto di vista più ampio con lo scopo di valutarne l’impatto sul benessere di tutte le parti interessate, dalla natura agli esseri umani: quindi, da un lato i planetary boundaries, quei “confini planetari” che non possono essere oltrepassati dallo sviluppo dell’uomo senza mettere in pericolo le risorse della Terra (come il consumo di acqua, di risorse e la perdita di biodiversità) e dall’altro gli impatti sul benessere sociale: se l’impresa garantisce uno stipendio in grado di superare la soglia di sostentamento, la parità salariale, la parità di genere e promuove l’occupazione.
L’EFRAG loda gli SDPI per il controllo dell’inquinamento e la biodiversità
In numerosi documenti e analisi diffusi durante lo sviluppo degli European Sustainability Reporting Standards (ESRS – gli standard di rendicontazione della sostenibilità elaborati dall’Unione Europea), l’EFRAG aveva sottolineato la rilevanza degli indicatori SDPI come strumento fondamentale nell’individuare le soglie ecologiche per la definizione degli obiettivi ambientali, in particolare nelle aree dell’inquinamento (ESRS E2) e della conservazione della biodiversità e degli ecosistemi (ESRS E4).
“L’inclusione degli indicatori SDPI nei documenti fondamentali dell’EFRAG, come la bozza di ESRS per l’inquinamento (E2) e per la biodiversità e gli ecosistemi (E4) – ha commentato l’UNRISD in una nota – evidenzia il suo potenziale nella definizione di parametri di riferimento che allineino le imprese alle pratiche sostenibili. Questi standard sottolineano la necessità per le imprese di integrare gli SDPI nelle loro strategie di sostenibilità”.
Le bozze di standard dell’EFRAG, E2 sull’inquinamento ed E4 sulla biodiversità e gli ecosistemi, evidenziano quindi come gli indicatori SDPI siano fondamentali per valutare la performance ESG e possano aiutare le aziende a determinare il loro impatto su questioni critiche come il controllo dell’inquinamento e la conservazione della biodiversità, oltre a monitorare i propri progressi rispetto alle soglie ecologiche e alle aspettative della società. Allineando le strategie aziendali con le metriche dell’SDPI, le imprese possono, inoltre, orientarsi meglio nella complessità delle sfide della sostenibilità e dei requisiti normativi fissati dall’Unione Europea.
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Una guida per le imprese: l’approccio “incrementale” non basta
“Il riconoscimento da parte dell’EFRAG, in linea con l’ESRS, sottolinea la capacità degli indicatori SDPI di fornire un quadro completo per la valutazione della performance ESG complessiva di un’organizzazione. Questo approccio olistico consente alle aziende di allinearsi alle soglie ecologiche e alle aspettative della società, sostenendo così gli obiettivi più ampi dell’Unione Europea di promuovere un’economia sostenibile e inclusiva”, è il commento dell’UNRISD.
Subito citato da Bill Baue, esperto di reporting di sostenibilità, tra gli autori dello studio delle Nazioni Unite che ha portato alla nascita dei nuovi indicatori e oggi direttore dell’ong r3.0 (Redesign for Resilience & Regeneration), convinto che questo endorsement avrà un effetto a cascata incoraggiando un crescente numero di aziende ad adottarli, facilitando così l’armonizzazione del reporting di sostenibilità in tutta l’Unione Europea: un percorso essenziale per soddisfare i nuovi requisiti della direttiva sul reporting di sostenibilità CSRD, recentemente approvata e in fase di graduale applicazione. Anche i mercati azionari si stanno muovendo in questa direzione, costringendo le società quotate in borsa negli Stati Uniti e in Canada a rendere pubbliche le loro performance di sostenibilità.
Finalmente degli indicatori “autentici di sostenibilità”
Per fare una valutazione accurata sui reali impatti delle attività economiche gli indicatori delle Nazioni Unite superano l’idea di misurazione incrementale in cui le performance aziendali sono calcolate in termini di progressi annuali nella riduzione degli impatti, nel confronto con le altre aziende dello stesso settore o per unità di prodotto, perché si basano comunque sull’idea errata di poter prelevare risorse infinite in un pianeta con risorse finite. Configurando una sorta di “greenwashing legalizzato”.
Un esempio citato spesso da Bill Baue è quello del consumo d’acqua, uno dei beni più preziosi e limitati sulla Terra. Un’azienda che riduce il suo consumo idrico del 35% o risparmia più acqua rispetto alle altre aziende concorrenti, in realtà, non fornisce informazioni precise sul consumo effettivo. L’azienda potrebbe essere la migliore nel suo campo, ma comunque ottenere risultati insoddisfacenti, poiché potrebbe superare i limiti imposti dai confini planetari.
Invece gli indicatori utili per valutare la reale sostenibilità di un’azienda suggeriscono di confrontare l’utilizzo dell’acqua con la disponibilità delle risorse idriche, considerando la capacità dell’ecosistema e il reale fabbisogno idrico delle specie che vi abitano. Solo confrontandosi con tutte queste soglie di sostenibilità, basate su principi universali e fondate scientificamente, le aziende possono considerarsi davvero sostenibili.
Per questo motivo l’UNRISD nel suo manuale sugli indicatori SDPI ha parlato di “sostenibiltà autentica”, in quanto tiene conto di tutta una serie di fattori fondamentali, finora trascurati. Questa visione a lungo termine sarà essenziale per le aziende impegnate ad allinearsi agli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG) delle Nazioni Unite e alle direttive sulla sostenibilità dell’Unione Europea. Adesso spetta dunque alle imprese cambiare e adeguarsi.
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