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L’intelligenza artificiale ha grandissime potenzialità in vari settori legati all’economia circolare, a partire dall’agrifood, dove può aiutare a ottimizzare il consumo di risorse, favorire il riciclo dei materiali, migliorare la resa agricola, oltre a essere uno strumento a sostegno della tutela ambientale e della biodiversità. A patto, però, che venga usata nella maniera corretta: dal lato degli utenti non può diventare un costosissimo (in termini di impatti) sostituto di Google, mentre la ricerca deve orientarsi nelle applicazioni dell’AI per la sostenibilità, per esempio per ridurre i consumi di energia e acqua.
È questo, riassumendo, il pensiero del professore Francesco Loreto sugli attuali sviluppi dell’intelligenza artificiale, esaminata alla luce delle tematiche agro-ambientali. Il suo è sicuramente un osservatorio privilegiato: è stato direttore del dipartimento di Scienze Bio-Agroalimentari del Cnr e insegna Fisiologia vegetale presso l’università di Napoli Federico II, dove è anche coordinatore di uno dei cinque dottorati nazionali in intelligenza artificiale con area di specializzazione in agrifood ed ambiente.
Professor Loreto, partiamo dall’aspetto più discusso dell’intelligenza artificiale. Dal punto di vista ambientale gli impatti di questa tecnologia sono eccessivi?
Gli impatti sono molto diversi a seconda dell’uso che si vuole fare dell’intelligenza artificiale. Alcuni potremmo definirli consumi di lusso, e quindi assolutamente evitabili. Non ha senso, come sempre più spesso invece accade, utilizzare l’intelligenza artificiale generativa come fosse un motore di ricerca, perché esistono altri strumenti per questo, e perché questa tecnologia richiede molte risorse, per esempio molta energia per funzionare, e molta acqua per il raffreddamento dei supercomputer.
La mia impressione è che sull’intelligenza artificiale, come del resto è avvenuto per qualsiasi nuova tecnologia, in questo momento sia necessario calibrare l’approccio per evitare di “sparare alla mosca con il cannone”, ovvero utilizzarla solo quando l’obiettivo lo rende necessario. Ad esempio per quanto riguarda la gestione dei cosiddetti big data, quindi dove è richiesta una elevata capacità di elaborazione dei dati, l’AI aiuta molto a selezionare le informazioni rilevanti. Un altro campo di applicazione imprescindibile è il machine learning, in cui gli algoritmi vengono addestrati per fare operazioni al posto degli esseri umani. Infine, l’AI ha prospettive interessanti nella computer vision, aiutando a selezionare e interpretare immagini fornite da telecamere o sensori ottici. Attualmente molte ricerche nei laboratori internazionali e in quelli che aderiscono al dottorato nazionale si stanno indirizzando lungo queste tre direttrici.
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L’aspetto da lei sollevato è sicuramente un tema, che riguarda però gli utenti: a livello di tecnologia, invece, come è possibile ridurre l’impronta dell’AI?
Sono in corso tentativi a livello tecnologico di ridurre l’impatto ambientale dell’intelligenza artificiale. Un esempio è la ricerca per quella che viene chiamata “AI frugale”, in cui si cerca di mantenere i consumi di energia e di acqua ai livelli del minimo indispensabile, con alcune soluzioni informatiche, come evitare di duplicare i database su più server o dispositivi, lo sviluppo di algoritmi che richiedono meno dati per essere addestrati, e soprattutto uno storage dei dati meno impattante, con l’adozione di infrastrutture distribuite e decentrate.
Un’altra strategia è a livello di programmazione. Un esempio su cui si discute molto è DeepSeek, la startup cinese che ha lanciato un modello di intelligenza artificiale concorrente a ChatGPT di OpenAI, ed è riuscita ridurre il consumo energetico dei suoi modelli: ha utilizzato hardware meno costosi e ottimizzato l’efficienza computazionale, con performance migliori a livello di impatti ambientali rispetto ai primissimi modelli di intelligenza artificiale generativa di OpenAI. Il caso cinese ha dimostrato come ridurre i costi, la quantità di informazioni con cui addestrare i modelli e i consumi energetici sia possibile e la ricerca nei prossimi anni dovrebbe procedere in questa direzione.
Se uno dei problemi principali è il consumo di energia, un’integrazione più stretta con fonti rinnovabili potrebbe abbassare in futuro gli impatti dell’AI?
Stiamo appena cominciando a stimare il consumo energetico dell’intelligenza artificiale, ma sappiamo che sono numeri molto elevati e c’è tanta preoccupazione sul tema. E non si tratta di una preoccupazione da liquidare come eccessiva, ma è totalmente giustificata. Sicuramente l’utilizzo di fonti di energia rinnovabile rende più “pulito” il consumo di energia, ma sempre di consumi stiamo parlando: a parte il fatto che c’è comunque un impatto legato alla produzione di energia anche con le rinnovabili, se l’intelligenza artificiale viene usata per scopi inutili come, appunto, in sostituzione di Google, siamo in ogni caso di fronte a uno spreco da eliminare.
Dopo avere analizzato gli aspetti negativi legati all’AI, quali sono invece le potenzialità, in settori come l’economia circolare?
Il mio dottorato di ricerca si concentra sull’agrifood, dunque è particolarmente adatto per avere un’idea di come l’intelligenza artificiale può incidere positivamente sull’ambiente e favorire la diffusione dell’economia circolare. Essere sostenibili e circolari è un obiettivo primario che ci siamo posti in tutte le ricerche del dottorato. Di esempi ce ne sono molti. Il più “classico” è l’utilizzo dell’AI nella cosiddetta blockchain applicata alla filiera del cibo in ottica farm to fork. Ogni fase della filiera rappresenta “un blocco” e l’AI viene usata per valutare se in ciascun blocco ci sono delle imperfezioni: ad esempio nella fase “farm” un utilizzo eccessivo di antiparassitari, oppure un consumo eccessivo di acqua viene rilevato, ottimizzando le risorse. Lo stesso vale nella fase successiva, quando il grano raccolto entra in una fabbrica che lo trasforma in pasta e l’intelligenza artificiale può ottimizzare i processi e ridurre il consumo di energia o di manodopera.
Oltre alle imperfezioni della filiera, è possibile anche eliminare contaminazioni sanitarie. Per esempio, l’AI aiuta a individuare dove si è verificata la contaminazione con patogeni dei prodotti alimentari. Nel caso del grano, il problema è nato mentre il frumento era ancora nei campi? Si è sviluppato durante la trasformazione in pasta? Oppure è avvenuto successivamente, magari nella fase di confezionamento o stoccaggio? Grazie alla tracciabilità con applicazioni AI, è possibile risalire con precisione al momento critico e intervenire tempestivamente.
C’è poi, ovviamente, tutto il discorso legato all’agricoltura di precisione, in cui entra in gioco soprattutto l’altra applicazione dell’AI basata sulla computer vision. Attraverso sensori ottici si monitorano le colture agrarie o gli allevamenti. Dopodiché interviene l’AI per migliorare l’efficienza nell’uso delle risorse o le rese agricole: ad esempio indicando utilizzi di acqua più efficienti per irrigare i campi, o abbeverare gli animali, o ancora quando lavorare il suolo, utilizzare il fertilizzante, o raccogliere quando la coltura è perfettamente matura. La computer vision è utilissima anche in un’ottica di prevenzione. L’occhio elettronico si accorge prima di noi dei sintomi precoci di una patologia oppure dell’invasione di insetti e patogeni che potrebbero distruggere il raccolto.
Abbiamo parlato di emissioni generate dall’intelligenza artificiale. Invece, ribaltando la questione, l’intelligenza artificiale può aiutare a ridurre le emissioni e raggiungere gli obiettivi net zero?
Gli esempi che ho fatto finora hanno tutti un impatto positivo sull’ambiente, in quanto permettono un minore consumo di risorse e di energia, con ricadute dirette sulle emissioni di gas serra e la conservazione della fertilità dei suoli e della biodiversità. Ci sono altri esempi in cui l’AI può essere utilizzata direttamente per ridurre le emissioni di anidride carbonica. Ad esempio per ottimizzare la fotosintesi delle piante, massimizzandone l’efficienza: garantire cioè che le piante ricevano la giusta quantità di luce, favorire l’apertura degli stomi per migliorare gli scambi di CO2 e acqua, e assicurare un apporto idrico adeguato, contrastando così il cambiamento climatico. La fotosintesi, infatti, come ricorda il Protocollo di Kyoto, è l’unico metodo naturale ed efficace per ridurre l’anidride carbonica atmosferica e assorbe circa il 50-60% dei gas serra prodotti dall’uomo.
Un altro esempio riguarda l’applicazione di tecniche basate sull’intelligenza artificiale negli allevamenti intensivi, che sono tra i maggiori produttori di metano, un gas serra molto dannoso. Utilizzare l’intelligenza artificiale per ridurre o riciclare il metano, ottimizzando la gestione dei rifiuti organici e migliorando le diete degli animali, può avere un impatto significativo sulla riduzione delle emissioni.
Infine, un interessante ambito di ricerca dell’AI riguarda i composti organici volatili (VOCs), sostanze che possono influire sull’effetto serra o contribuire all’inquinamento atmosferico, ad esempio favorendo la formazione di ozono. Molti ricercatori stanno lavorando per sviluppare soluzioni basate su tecniche AI per minimizzare la produzione di questi composti, sia quelli biogenici di origine naturale, sia quelli antropogenici, cioè derivati dall’attività umana, nelle zone dove questi possono essere più impattanti (per esempio le città).
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L’intelligenza artificiale sarà in grado di rimediare agli errori dell’essere umano?
Sicuramente l’intelligenza artificiale può essere un valido strumento perché l’uomo possa mettere un argine ai problemi da lui stesso creati, tutelando e salvaguardando l’ambiente. Ci sono esempi di progetti dei nostri dottorandi che utilizzano AI e computer vision, grazie alle immagini raccolte da droni, aerei o satelliti, per migliorare la ricerca di plastiche, microplastiche e nanoplastiche nei terreni agricoli contaminati e nei mari, per recuperarle e infine avviarle, quando possibile, in un percorso di riciclo.
L’AI può anche essere usata a supporto degli insetti impollinatori come le api, soggette a frequenti morie a causa di inquinamento e patogeni. In particolare gli inquinanti confondono il segnale olfattivo che guida gli insetti, compromettendo un servizio ecosistemico come l’impollinazione, fondamentale per l’agricoltura e l’ambiente. I nostri colleghi stanno studiando il comportamento delle api dotandole di sensori che le seguono durante il loro percorso. Così monitorano per esempio quante volte l’ape esce dall’alveare, dove si dirige, come si comporta. Dopodiché l’AI rielabora questo enorme flusso di informazioni alla ricerca del percorso migliore da indicare agli impollinatori per raggiungere il loro obiettivo.
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