giovedì, Novembre 6, 2025

Il passo di lato della Commissione sullo stop alle auto termiche dal 2035

Il piano d’azione sull’auto lanciato dalla Commissione Europea prova a supportare uno dei settori industriali più in difficoltà. Lo fa tra luci e ombre: spostando le scadenze sulle emissioni, fornendo 1,8 miliardi di euro per creare una filiera sicura sulle batterie e chiedendo agli Stati di fornire incentivi economici

Andrea Turco
Andrea Turco
Giornalista glocal, ha collaborato per anni con diverse testate giornalistiche siciliane per poi specializzarsi su ambiente, energia ed economia circolare. Redattore di EconomiaCircolare.com. Per l'associazione A Sud cura l'Osservatorio Eni

Più che un passo indietro, l’ennesimo tra l’altro, è più un passo di lato: ci riferiamo al piano d’azione sull’auto della Commissione europea. Frutto di una evidente rincorsa al compromesso, per non scontentare nessuno, il piano presentato da Ursula von der Leyen lo scorso 5 marzo riesce invece a non far felice nessuno. Così se da una parte nessun partito politico sembra voler sostenere le decisioni prese dalla Commissione, dall’altra permangono dubbi sia da parte delle case automobilistiche che dei singoli Stati membri che delle associazioni ambientaliste.

Un pastrocchio, insomma, che però partiva da difficoltà oggettive. Prima tra tutte, la crisi del settore. L’automotive, un tempo fiore all’occhiello dell’industria europea, è in crisi da anni: dall’aumento dei prezzi che è stato scaricato sui consumatori al conseguente calo delle vendite, dall’aumento della concorrenza cinese alla mancata transizione all’auto elettrica. Ecco perché c’era molta attesa sul dialogo strategico sul futuro dell’industria automobilistica lanciato dalla presidente Ursula von der Leyen il 30 gennaio 2025. Da questo processo collaborativo, che ha comportato molteplici discussioni e un deciso coinvolgimento delle parti interessate, anche attraverso l’ausilio di una consultazione pubblica aperta sul futuro dell’industria automobilistica europea, nonché grazie alla costituzione di diversi gruppi di lavoro a livello istituzionale, si è arrivati alle prime indicazioni del piano d’azione. 

D’altra parte che il piano UE sull’auto tenti una mediazione tra diverse esigenze si evince già dalla dichiarazione, a supporto del lancio, da parte di Ursula von der Leyen. “Voglio vedere la nostra industria automobilistica europea prendere l’iniziativa – ha detto la presidente della Commissione Europea – Promuoveremo la produzione nazionale per evitare dipendenze strategiche, in particolare per la produzione di batterie. Manterremo i nostri obiettivi di emissioni concordati, ma con un approccio pragmatico e flessibile. Il nostro obiettivo reciproco è un’industria automobilistica sostenibile, competitiva e innovativa in Europa che avvantaggia i nostri cittadini, la nostra economia e il nostro ambiente”.

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Cosa prevede il piano auto della Commissione

Pur se non appare al momento una priorità nell’utilizzo comune di come intendiamo attualmente la mobilità, la Commissione ha annunciato di voler sviluppare il quadro normativo e la ricerca sui veicoli autonomi, tramite l’ausilio dell’intelligenza artificiale. Azioni che, spiega la Commissione, “saranno sostenute da investimenti congiunti pubblico-privato di circa 1 miliardo di euro sostenuti dal programma Horizon Europe nel periodo 2025-2027”. 

Inoltre la Commissione, scrive, “ha preso atto della chiara richiesta di una maggiore flessibilità rispetto agli obiettivi di CO2 e si è impegnata a affrontare la questione in modo equilibrato ed equo”. Anche in questo caso si tratta di un modo morbido e felpato per dire che gli impegni ambientali vengono prorogati, e l’asticella dell’ambizione si abbassa. In particolare la Commissione propone di modificare il regolamento  sulle norme sulle emissioni di CO2 per le automobili e i furgoni, consentendo “alle case automobilistiche di raggiungere i loro obiettivi di conformità con la media delle loro prestazioni su un periodo di tre anni (2025-2027)”. In questo modo si eviteranno le salate multe che molti colossi automobilistici avrebbero dovuto sborsare nel caso in cui non avessero rispettato la quota di emissioni medie di anidride carbonica nel 2025, cioè  95 euro per ogni grammo di CO2 eccedente il limite imposto per ogni gruppo, il tutto moltiplicato per il numero di auto vendute in un anno nei mercati dell’Unione europea.

batterie auto
batterie auto

L’impatto delle multe sull’intera industria dell’auto, stando alle cifre citate dall’amministratore delegato di Renault, Luca de Meo, avrebbe potuto arrivare a 15 miliardi di euro. Con tre anni di tempo in più, invece, ci sarà più tempo per adeguarsi – a meno che la Commissione non riveda ulteriormente gli obiettivi al ribasso.  Infine, “per mantenere una solida base di produzione europea ed evitare dipendenze strategiche”, spiega ancora la Commissione, verranno messi a disposizione 1,8 miliardi di euro per creare una catena di approvvigionamento sicura e competitiva sulle batterie delle auto elettriche. 

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Incentivi e resilienza per l’auto e per chi ci lavora

Non di solo mercato vive il settore dell’automotive. Anzi, a dirla tutta, il disimpegno degli Stati membri dell’UE nel supportare adeguatamente e in maniera programmatica questa industria cruciale è forse uno dei motivi principali della crisi. Ecco perché la Commissione Europea sprona gli Stati a ritornare sulla strada degli incentivi economici per consentire un maggiore consumo di auto a livello europeo, e dunque una maggiore produzione. Inoltre, scrive ancora la Commissione, “per aiutare il settore automobilistico dell’UE ad affrontare le sfide legate alla carenza di competenze, ai disallineamenti e all’invecchiamento della forza lavoro, l’Osservatorio europeo della transizione equa svilupperà e raccoglierà dati, per aiutare a individuare i futuri “punti caldi” delle dislocazioni e delle competenze in materia di occupazione previste”.

“La Commissione – si legge ancora sul sito dell’organo istituzionale UE – amplierà il sostegno del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione per i lavoratori sfollati (FEG) per renderlo più rapido e più ampio, consentendo alle imprese di innescare il sostegno dei lavoratori minacciati dalla ridondanza immediata. Inoltre  la Commissione collaborerà con le parti sociali e gli Stati membri per aumentare i finanziamenti del Fondo sociale europeo Plus (FSE+) per il settore automobilistico, sostenendo i lavoratori che desiderano riqualificarsi e cercare nuove opportunità di lavoro. La Commissione utilizzerà inoltre la revisione intermedia del FSE+ per incentivare gli Stati membri a riprogrammare un maggiore finanziamento per il settore automobilistico. Inoltre, come annunciato nel Patto per le competenze, la Commissione proporrà un’iniziativa rafforzata per sostenere i lavoratori in settori strategici come l’industria automobilistica, concentrandosi sui programmi di miglioramento delle competenze e riqualificazione”.

Basterà per far cambiare marcia all’automotive?

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Il mezzo sorriso dell’Italia sulla possibile deroga per i biocarburanti

“Voglio annunciare in questa occasione che abbiamo deciso di anticipare al terzo-quarto trimestre del 2025, rispetto al 2026, la prevista verifica della legislazione europea nel campo delle emissioni nocive delle auto” ha detto, nella conferenza stampa di lancio del piano sull’auto dell’Unione Europea, il commissario ai Trasporti Apostolos Tzitzikostas. Il riferimento è al regolamento con il quale l’Unione europea ha deciso lo stop alla produzione di auto termiche (benzina, diesel, metano e gpl) dal 2035 in poi. Lo stop rientra nell’ambito delle misure previste dal pacchetto Fit for 55, l’insieme di misure presentate dalla Commissione europea il 14 luglio 2021 (sembra un’era geologica fa, sono passati neppure quattro anni) con le quali l’Unione europea ha annunciato di voler ridurre le proprie emissioni nette di gas a effetto serra di almeno il 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990 e di raggiungere la neutralità climatica nel 2050

L’attuale decisione non sorprende, verrebbe da dire, e viene incontro alle richieste dell’Italia (ma non solo). Dopo l’apertura agli e-fuels per la deroga allo stop dal 2035 – decisione cucita su misura della Germania, che sui combustibili sintetici ha investito parecchio – in discussione c’è anche un’altra deroga, relativa ai biocarburanti, sui quali il governo Meloni, grazie al ruolo in primo piano di Eni, insiste da tempo.

biocarburanti

Lo scorso dicembre il governo italiano, con in prima fila il ministro delle Imprese e del Made in Italy Adolfo Urso, ha presentato un documento, definito “non position-paper”, che chiedeva di “riesaminare le modalità che accompagneranno il settore automotive verso gli obiettivi di decarbonizzazione fissati per il 2035, rendendoli sostenibili e realisticamente raggiungibili attraverso una tempestiva revisione del regolamento e avendo come bussola la competitività dell’industria europea”.

Il documento è stato firmato da 7 Stati dell’UE: oltre all’Italia, che l’ha redatto, ci sono anche Repubblica Ceca, Austria, Bulgaria, Romania, Polonia e Slovacchia. Al centro delle richieste c’è l’introduzione dell’ormai noto “principio di neutralità tecnologica”: in sostanza si chiede all’UE di non privilegiare esclusivamente la transizione all’auto elettrica ma di mantenere anche in vita le auto termiche attraverso il ricorso, appunto, agli e-fuels, ai biocarburanti e alle auto a idrogeno, il cui impatto ambientale dovrebbe essere minore rispetto alle “sorelle” benzina, diesel, metano e gpl.

L’Italia aveva chiesto di accelerare, e di rimodulare lo stop già nel primo trimestre 2025, anticipando di un anno la scadenza che era stata fissata col pacchetto Fit for 55. La Commissione, ancora una volta, ha optato per una via di mezzo. Un compromesso che sa di resa, che rischia di arrivare troppo tardi rispetto alla crisi galoppante dell’automotive o una giusta mediazione? Staremo a vedere.

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AGGIORNAMENTO 14 MARZO

Sta facendo discutere molto in queste ore la notizia, rimbalzata su tutti i giornali, della presentazione di istanza di fallimento di Northvolt, l’azienda svedese che puntava a diventare il colosso europeo per la produzione di batterie elettriche. La comunicazione è arrivata dal tribunale distrettuale di Stoccolma.

La crisi di Northvolt andava avanti da anni e l’istanza di fallimento ha sorpreso pochi. Foraggiata per anni da corposi investimenti da parte dei più noti e potenti nomi del settore – dalle case automobilistiche Volkswagen a BWW, dai fondi finanziari BlackRock e Goldman Sachs – l’azienda svedese dal 2016 aveva raccolto ben 14 miliardi di euro tra investimenti azionari, prestiti obbligazionari e sussidi pubblici.

Nonostante ciò il fallimento è giunto dopo appena pochi anni. In tanti si sono già affrettati a dichiarare che questa è la più palese dimostrazione del fallimento della transizione all’auto elettrica. Ma in realtà Northvolt avrebbe dovuto essere la bandiera dei sistemi di accumulo di elettricità in Europa. Sistemi che altrove, vedi Cina e Stati Uniti, continuano ad andare benone. Segno che forse la vicenda di Northvolt, se proprio deve insegnarci qualcosa, è che la transizione non si può improvvisare: necessita di programmazione industriale, sinergia tra pubblico e privato e sindacati, ascolto delle esigenze dei territori. Sarà una lezione che l’UE saprà tenere a mente per il cruciale settore dell’automotive?

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