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Big tech entra nel club dei fan dell’energia nucleare. Amazon, Google e Meta hanno sottoscritto il “Large Energy Users Pledge” (Impegno dei grandi consumatori di energia) che coinvolge aziende, soprattutto quelle fortemente energivore e i produttori di energia, nell’obiettivo di triplicare l’energia nucleare prodotta globalmente entro il 2050. Questa scelta non può non essere stata influenzata dall’espansione dei data center e dai grandi consumi energetici legati all’impiego, sempre più ampio, dell’intelligenza artificiale.
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COP 28 a Dubai, più certezze sul nucleare che sul clima: il “Large Energy Users Pledge”
L’impegno iniziale a triplicare la capacità energetica nucleare globale è stato lanciato dalla World Nuclear Association in collaborazione con la Emirates Nuclear Energy Corporation prima della COP28 sul clima di Dubai. Del gruppo dei supporter dell’atomo fanno parte più di 100 aziende dell’industria nucleare.
“Nonostante gli sforzi in corso per l’efficienza energetica, si prevede che la domanda di energia in molti settori industriali aumenterà in modo significativo nei prossimi anni per sostenere le economie in crescita”, recita il documento pro nuke. Secondo i firmatati “la capacità di energia nucleare dovrebbe almeno triplicare entro il 2050, rispetto ai livelli attuali (l’appello, come ricordato, è stato diffuso nel 2023, ndr), per contribuire a raggiungere gli obiettivi globali di una maggiore resilienza e sicurezza energetica e di un approvvigionamento energetico pulito e costante”.
Sdoganare l’atomo
Al di là degli schieramenti tra favorevoli e contrari alla produzione di energia atomica, qualcuno ha messo sul piatto problemi legati alla reale praticabilità dell’impresa di triplicare la produzione di energia nucleare entro in soli 25 anni. “A giudicare dai risultati dell’industria nucleare internazionale negli ultimi due decenni, è impossibile”, ha dichiarato a Reuters Mycle Schneider, autore principale del World Nuclear Industry Status Report. Ci sono voluti 70 anni per portare la capacità nucleare globale all’attuale livello di 370 gigawatt (GW), riflettono David Stanway and Timothy Gardner di Reuters, “e l’industria deve ora selezionare le tecnologie, raccogliere i finanziamenti e sviluppare le regole per costruire altri 740 GW nella metà del tempo”. In che modo?
Nonostante il crescente supporto (anche la Commissione europea ha incluso l’energia dell’atomo nella Tassonomia per la finanza sostenibile), il nucleare continua a essere un settore il cui finanziamento resta problematico: i progetti nucleari hanno costi elevati, tempistiche lunghe e non sempre prevedibili e complesse normative da rispettare. Inoltre, molte istituzioni finanziarie – come la World Bank – hanno finora evitato di investire nel nucleare.
“Perché spendere un solo dollaro per una tecnologia che, se pianificata oggi, non sarà disponibile prima del 2035-2045?” ha commentato a Reuters Mark Jacobson, esperto di energia dell’Università di Stanford.
Al di là del triplicare effettivamente la produzione nucleare, però, il vero obiettivo del pledge sembrerebbe essere sdoganare gli investimenti per la produzione di energia dall’atomo: “Assicurando che il nucleare e le altre fonti energetiche abbiano pari accesso ai finanziamenti – si legge ancora nel documento promosso dalla World Nuclear Association – i governi possono consentire lo sviluppo della capacità nucleare su scala mondiale”.
Governi e finanza schierati per il nucleare
A settembre dello scorso anno quattordici delle maggiori banche mondiali – come Bank of America, Barclays, BNP Paribas, Citi e Goldman Sachs, alcune delle quali hanno anche riconsiderato i propri impegni di decarbonizzazione – hanno annunciato la loro adesione al Large Energy Users Pledge.
Ma oltre alle aziende, a COP28 è stata il trampolino di lancio della “Declaration Recognizes the Key Role of Nuclear Energy in Keeping Within Reach the Goal of Limiting Temperature Rise to 1.5 Degrees Celsius” con lo stesso obiettivo di triplicare la produzione nucleare ma questa volta a sottoscriverla sono i governi di 25 Paesi (tra cui Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna e poi Ungheria, Ghana, Giamaica, Olanda, Romania). E oggi i Paesi sono già diventati 31.
L’Italia, che non ha aderito all’appello, come sappiamo subisce però il fascino dell’atomo. Il governo Meloni sta cercando di riavviare la macchina spenta col referendum del 1987. A fine febbraio il Consiglio dei ministri ha approvato un disegno di legge per conferire una delega all’Esecutivo sul “nuovo nucleare sostenibile”. La delega prevede che il governo adotti una serie di decreti legislativi “per disciplinare in maniera organica l’intero ciclo di vita della nuova energia sostenibile, attraverso la stesura di un Programma nazionale: dalla sperimentazione, localizzazione, costruzione ed esercizio dei nuovi moduli, al tema della fabbricazione e riprocessamento del combustibile”.
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La fame di energia dei data center
Tra i fattori che stanno rimettendo in moto la macchina dell’energia nucleare – decisamente in sofferenza negli ultimi anni per l’agguerrita concorrenza delle rinnovabili -, come abbiamo visto, anche la fame insaziabile di elettricità dei data center e dell’intelligenza artificiale. “Gli investimenti in nuovi data center hanno registrato un’impennata negli ultimi due anni, trainati dalla crescente digitalizzazione e dall’adozione dell’intelligenza artificiale (AI), che si prevede continuerà ad accelerare”, scriveva a ottobre dello scorso anno l’Agenzia internazionale per l’energia (IEA). Gran parte della spesa è concentrata negli Stati Uniti, dove gli investimenti annuali nella costruzione di data center sono raddoppiati solo negli ultimi due anni. Seguono Europa e Cina. In Italia, fa sapere Terna, al 28 febbraio le richieste di connessione di data center sono pari a 39,62 GW, dato “24 volte superiore rispetto a quello del 2021”.
“Nel 2023, gli investimenti complessivi di Google, Microsoft e Amazon, leader nell’adozione dell’intelligenza artificiale e nell’installazione di data center, erano superiori a quelli dell’intero settore petrolifero e del gas degli Stati Uniti, per un totale di circa lo 0,5% del PIL statunitense”.
Se oggi a livello globale i data center consumano, secondo l’IEA, circa l’1% dell’elettricità, nelle grandi economie come gli Stati Uniti, la Cina e l’Unione Europea, i data center rappresentano oggi circa il 2-4% del consumo totale di elettricità. Ma, avverte l’agenzia, “Il consumo di elettricità dei data center, dell’intelligenza artificiale (AI) e delle criptovalute potrebbe raddoppiare entro il 2026. Questa domanda equivale all’incirca al consumo di elettricità del Giappone”.

Aggiornamento del 30 aprile 2025
I dati più recenti dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (Energy and AI) mettono in evidenza gli smisurati bisogni energetici dell’intelligenza artificiale: soltanto coi progetti dei prossimi 5 anni la domanda di energia elettrica dai data center di tutto il mondo è destinata a più che raddoppiare a circa 945 terawattora (TWh): una quota che da sola è leggermente superiore all’intero consumo di elettricità del Giappone oggi.
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