Il 17 giugno 2025 segna un’importante ricorrenza: la 31esima Giornata mondiale per la lotta alla desertificazione e alla siccità. Quest’anno l’attenzione globale si concentra su un messaggio potente e proattivo, racchiuso nel tema “Restoring Land. Unlocking Opportunities” (Restaurare la terra. sbloccare opportunità): abbandoniamo, per un momento, la sola narrazione dell’emergenza (seppur reale e seria) per abbracciare quella della soluzione.
L’Organizzazione delle Nazioni Unite, attraverso la Convenzione per la Lotta alla Desertificazione (UNCCD), ci invita infatti a guardare al ripristino dei terreni degradati non solo come a un dovere ambientale, ma anche come a una straordinaria leva per la crescita economica, la sicurezza e la stabilità globale. L’obiettivo è ambizioso e quantificato: restaurare 1,5 miliardi di ettari di terra degradata e, così facendo, costruire un’economia basata sul ripristino del suolo dal valore di 1.000 miliardi di dollari entro il 2030.
Non si tratta di un sogno, ma di una necessità economica e di un’opportunità di sviluppo senza precedenti che pone la salute del nostro suolo al centro di un futuro più prospero e resiliente per tutti.
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La Terra come motore economico: i numeri della degrado e della rinascita
Per comprendere l’urgenza e la portata dell’opportunità, dobbiamo partire da un dato impressionante: ogni anno, il nostro pianeta perde una porzione di terra fertile estesa quanto l’Egitto. Questo degrado causa una catena di conseguenze disastrose: perdita di biodiversità, aumento del rischio di siccità, intere comunità costrette a migrare.
Gli effetti si propagano a livello globale causando instabilità, aumento dei prezzi dei generi alimentari e crisi umanitarie. Consideriamo un altro dato fondamentale: oltre la metà del PIL mondiale dipende, direttamente o indirettamente, dalla salute degli ecosistemi. Ignorare il degrado del suolo significa, quindi, minare le fondamenta della nostra stessa economia.
In questo contesto si inserisce il cambio di paradigma proposto per il 2025: il restauro del suolo inverte la rotta. La ricerca dimostra che ogni dollaro investito in attività di ripristino genera un ritorno economico stimabile dai 7 ai 30 dollari. Restaurare la terra significa riattivarne la produttività, creare posti di lavoro, rafforzare i cicli dell’acqua e sostenere milioni di mezzi di sussistenza nelle aree rurali, trasformando un problema in una fonte di benessere diffuso.
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L’economia della rigenerazione può essere business del futuro. L’esempio dell’agricoltura rigenerativa e nature-positive
Quando parliamo di lotta alla desertificazione, non possiamo non fare riferimento alla “rigenerazione del suolo”. Cosa significa esattamente? Immaginate il suolo non come una superficie inerte, ma come un organismo vivente, una complessa rete di minerali, materia organica, acqua, aria e miliardi di microrganismi. Questo “capitale naturale” è la base della nostra stessa esistenza, ma decenni di pratiche agricole intensive, deforestazione e urbanizzazione lo hanno impoverito, compattato e reso sterile. Rigenerare il suolo significa invertire questa tendenza, ripristinandone la salute e la fertilità.

In tale ambito possiamo introdurre il concetto di “economia della rigenerazione” ovverosia creare modelli di business e interi settori economici che hanno come obiettivo primario il ripristino del capitale naturale e, in particolare, del suolo. Questo va ben oltre la semplice sostenibilità.
Con l’agricoltura rigenerativa (e “nature-positive”) non si tratta solamente di ridurre l’impatto ambientale (“fare meno danni”), ma di adottare un approccio che migliora attivamente e ripristina gli ecosistemi. Ad esempio, non ci si limita a produrre cibo, ma si aumenta la fertilità del suolo, la sua capacità di trattenere acqua e di sequestrare carbonio. Questa attività crea valore aggiunto: prodotti di qualità superiore, aziende agricole più resilienti alla siccità e capaci di accedere a nuovi mercati, come quello dei crediti di carbonio. Pensiamo poi ai grandi progetti di rimboschimento ed agroforestazione che non si limitano a catturare CO2, ma creano anche filiere del legno sostenibile, prodotti secondari (frutta, resine, oli essenziali) e sviluppano il turismo ecologico.
Questo paradigma si basa su alcuni principi chiave. Innanzitutto, ridurre al minimo il disturbo del suolo, abbandonando pratiche come l’aratura profonda a favore della semina diretta o della minima lavorazione (No-Till o Minimum Tillage). Mantenere il suolo sempre coperto, con colture o residui vegetali, è un altro pilastro, così come massimizzare la biodiversità, coltivando più specie contemporaneamente (policoltura) o integrando alberi e arbusti nei campi (agroforestazione appunto).
Quest’ultima pratica, in particolare, offre molteplici benefici: gli alberi proteggono il suolo dall’erosione, migliorano il microclima, offrono habitat per la fauna selvatica e possono fornire un reddito aggiuntivo. L’integrazione tra coltivazioni e allevamento – ambito nel quale gli animali contribuiscono a fertilizzare il terreno in modo naturale – chiude il cerchio di un sistema che imita i processi naturali, creando un’azienda agricola resiliente, produttiva e in equilibrio con l’ambiente.
L’Europa e l’Italia in prima linea: il progetto MONALISA
Questa visione globale trova un’applicazione concreta anche nel nostro continente. L’Europa e il bacino del Mediterraneo sono aree particolarmente vulnerabili alla desertificazione. In questo contesto si inserisce il progetto MONALISA (MONitoring and Assessing prevention and restoration soLutIons to combat deSertificAtion). Questa iniziativa rappresenta un esempio di avanguardia della lotta al degrado del suolo, combinando un approccio transdisciplinare con tecnologie avanzate come il telerilevamento e l’intelligenza artificiale.
L’obiettivo finale di MONALISA è duplice: da un lato, fornire soluzioni innovative per prevenire e combattere la desertificazione, dall’altro, promuovere nuove opportunità di business e stimolare investimenti in queste soluzioni sostenibili. MONALISA è l’esempio perfetto di come la ricerca scientifica e l’innovazione tecnologica possano tradurre un tema globale in azioni concrete e misurabili, creando le basi per quell’economia della rigenerazione che la Giornata Mondiale 2025 ci chiama a costruire.

Dall’allarme all’azione: cosa possiamo fare?
La Giornata di oggi ci ricorda che la terra è la nostra eredità più preziosa che abbiamo. Proteggerla non è solo un dovere, ma l’unica via per garantire un futuro a noi stessi e alle future generazioni. La sfida della desertificazione e della siccità è immensa, ma non siamo impotenti. I governi e le istituzioni hanno un ruolo guida nel promuovere politiche di gestione sostenibile del territorio e delle risorse idriche, come delineato nel Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (PNACC) italiano.
L’azione, però, deve essere individuale e collettiva, partendo dal basso. Come consumatori, le nostre scelte quotidiane possono fare la differenza: privilegiare prodotti da agricoltura biologica, rigenerativa o a chilometro zero, ridurre lo spreco alimentare e idrico e sostenere le aziende che dimostrano un reale impegno per la sostenibilità sono passi concreti e necessari.
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