Si torna a parlare della direttiva Green Claims, cioè la normativa europea che dovrebbe disciplinare la modalità di verifica e validazione delle dichiarazioni ambientali utilizzate dalle imprese. Dopo il clamoroso annuncio del ritiro la scorsa settimana da parte della Commissione, e dopo le numerose reazioni contrarie e stizzite, l’organo esecutivo dell’Unione Europea fa un passo indietro.
Lo fa nella modalità a cui siamo abituate e abituati anche in Italia: senza ammettere la retromarcia, dando implicitamente la colpa a chi si è limitato a riferire quanto riportato dal portavoce della Commissione in una conferenza stampa, dunque durante un’occasione pubblica e dove la dichiarazione è facilmente riscontrabile.
In ogni caso le incertezze che sono emerse in questa fase sulla direttiva Green Claims, dove anche gli Stati membri non hanno fatto mistero di non gradire tale provvedimento (ci torneremo), hanno certamente influenzato la credibilità dell’UE in materia ambientale. Da più di un anno, come abbiamo raccontato spesso anche sul nostro portale, la direzione intrapresa su quasi tutti i provvedimenti ambientali lascia forti dubbi sulla capacità, e sulla volontà, di rispettare gli impegni del Green Deal.
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Come si è arrivati al passo indietro sulla direttiva Green Claims
È il 23 giugno quando il Partito Popolare Europeo – il gruppo politico di cui fa parte la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, che si è notevolmente spostato a destra – si scaglia contro la direttiva Green Claims, proposta dalla Commissione nel marzo del 2023 e già discussa dal Parlamento e dal Consiglio, con diverse proposte di ridimensionamento già emerse in quest’ultimo passaggio.
Lo scopo è contrastare il greenwashing, imponendo alle aziende di comprovare le dichiarazioni ambientali volontarie con prove scientifiche, di sottoporsi a verifiche indipendenti e di limitare l’uso di etichette ecologiche fuorvianti. Il regolamento proposto si applicherebbe a tutte le dichiarazioni ambientali relative a prodotti e servizi nell’UE, con disposizioni specifiche per garantire che le dichiarazioni siano accurate, comparabili e credibili. Secondo gli stessi dati dell’Unione Europea, oltre il 50% delle dichiarazioni ambientali è attualmente vago o fuorviante e il 40% è completamente infondato.

Dopo la bocciatura del PPE la Commissione va in affanno e, appunto, un portavoce dichiara in conferenza stampa che “la Commissione intende ritirare la proposta” sulla direttiva Green Claims. Le forti reazioni negative – tra ong e associazioni industriali e Parlamento europeo – devono a loro volta intimorito la Commissione, che ha invece fatto filtrare a Politico – un portale molto informato sui retroscena UE – la volontà di proseguire con la direttiva Green Claims. La stessa Ursula von der Leyen avrebbe riferito di continuare a sostenere il provvedimento, anche se sul sito della Commissione di tale volontà non c’è traccia.
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Quali sono i contrasti sulla direttiva Green Claims
Va ricordato, inoltre, che sulla direttiva Green Claims non c’è unanimità di vedute neanche tra gli Stati membri. Poco prima dell’annuncio della Commissione di voler ritirare la proposta, infatti, l’Italia aveva comunicato di non sostenere più la direttiva, e ciò andrebbe a incidere sulla maggioranza qualificata necessaria affinché il Consiglio possa procedere.
Il rischio, dunque, al di là delle dichiarazioni della Commissione, è quello di uno stallo. Il nodo da sciogliere riguarda le microimprese, cioè le imprese con meno di 10 dipendenti e un fatturato inferiore a 2 milioni di euro, che rappresentano circa il 96% delle aziende nell’UE. Secondo la proposta della Commissione risalente a marzo 2023 anche le microimprese sarebbero soggette agli obblighi contenuti nella direttiva Green Claims. Un obbligo che è stato già in parte esentato e che, secondo le pressioni lobbistiche, dovrebbe essere del tutto annullato.
Il futuro della direttiva sulle dichiarazioni verdi dipende ora da due fattori: chiarezza e unità tra gli Stati membri dell’UE sull’opportunità di esentare le microimprese e ricostruzione del consenso politico sia in Consiglio che in Parlamento dopo la rottura dei negoziati. Gli ambasciatori dell’UE dovrebbero tornare sulla questione mercoledì. Bisognerà infine capire cosa intenderà fare la nuova presidenza del Consiglio dell’Unione Europea: da oggi, infatti, termina il semestre polacco e subentra la guida della Danimarca. Secondo il Mattinale Europeo, una newsletter quotidiana sull’UE, si potrebbe assistere a un periodo di forti incognite. Con ripercussioni evidenti sui provvedimenti ambientali.

“La Danimarca avvierà i negoziati sulle proposte della Commissione per abbandonare completamente il petrolio e il gas russi, ma vuole anche spingere investimenti nelle interconnessioni e nella rete – scrive il Mattinale – La presidenza danese vuole avanzare soprattutto sull’unione dei mercati dei capitali, che dovrebbe permettere di fornire gli investimenti privati necessari a rilanciare la competitività”. Intanto domani la Commissione presenterà gli obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2 per il 2040, che sono strettamente collegati agli impegni per il 2035 che l’Ue presenterà alla COP30 che si terrà in Brasile a novembre. E in questo caso, secondo le bozze circolate negli ultimi giorni, la Commissione permetterà agli Stati membri di usare crediti internazionali e facilitazioni per compensare le emissioni dei settori difficili da decarbonizzare. A meno di eventuali, ma questa volta improbabili, nuovi passi indietro.
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