giovedì, Novembre 6, 2025

Trump “lobbista in chief” contro un trattato ambizioso sulla plastica

Emergono pressioni statunitensi su altri Paesi per ridimensionare gli obiettivi del futuro trattato ONU contro l’inquinamento da plastica, evitando un tetto alla produzione. Lo stesso lavoro che a Ginevra stanno facendo i sempre più numerosi lobbisti delle imprese petrolchimiche

Daniele Di Stefano
Daniele Di Stefano
Giornalista ambientale, redattore di EconomiaCircolare.com e socio della cooperativa Editrice Circolare

Gli Usa hanno invitato le altre nazioni a sabotare i lavori per il trattato globale sulla plastica. Avremmo dovuto prevederlo. Bastava ripensare all’atto esecutivo di Donald Trump che diceva addio alla “situazione ridicola” delle cannucce in carta (“le ho provate, esplodono”) ripristinando per gli acquisti federali quelle in plastica. E sarebbe bastato ricordare l’allergia dell’amministrazione Trump per il multilateralismo, che per natura contempera gli interessi delle singole nazioni con quelli di tutte le altre. E che quindi non può andare d’accordo con “America first”. Scoprire quindi che gli USA, secondo produttore al mondo di plastica dopo la Cina, hanno invitato altri Paesi a minare le ambizioni del trattato non dovrebbe essere una sorpresa. Eppure non può lasciare indifferenti l’ennesima conferma che per l’amministrazione Trump – certamente in buona compagnia – i profitti delle industrie nazionali vengono prima degli interessi del pianeta, della salute globale, dei diritti delle comunità che di quei profitti sono vittime. E del bene delle generazioni future.

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Olivia Le Poidevin e Valerie Volcovici di Reuters hanno svelato che all’inizio dei colloqui sul trattato sulla plastica in corso a Ginevra “gli Stati Uniti hanno inviato lettere ad almeno una manciata di Paesi per esortarli a rifiutare l’obiettivo di un patto globale che includa limiti alla produzione di plastica e agli additivi chimici della plastica”. Reuters ha visionato il documento: datato 25 luglio, mette nero su bianco la posizione statunitense, al di là dell’ufficialità.

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Altro che “intero ciclo di vita”

La delegazione statunitense, spiegano le giornaliste, ha inviato note ai Paesi in cui dichiara che non accetterà un trattato che affronti l’inquinamento da plastica a monte, con tetti alla produzione e limiti all’uso di sostanze chimiche pericolose. Eppure il mandato dell’UNEA (United Nations Environment Assembly) che ha dato il vita ai lavori per il trattato parla chiaramente di uno “strumento internazionale giuridicamente vincolante” con un “approccio globale che affronti l’intero ciclo di vita della plastica”, quindi non solo i rifiuti, col riciclo, ma anche la produzione.

Gli Stati Uniti “sostengono un accordo che rispetti la sovranità nazionale e si concentri sulla riduzione dell’inquinamento da plastica senza imporre restrizioni onerose ai produttori”, aveva dichiarato un portavoce del Dipartimento di Stato USA. Ma la lettera resa nota da Reuters è certamente più chiara sulle intenzioni del governo federale: “Non sosterremo approcci globali impraticabili come gli obiettivi di produzione di plastica o i divieti e le restrizioni sugli additivi o sui prodotti di plastica, che aumenteranno i costi di tutti i prodotti di plastica utilizzati nella nostra vita quotidiana”, si legge nella nota, a quanto riferisce l’agenzia di stampa.

“Alcuni Paesi possono scegliere di intraprendere dei divieti, mentre altri possono concentrarsi sul miglioramento della raccolta e del riciclaggio”, ha fatto sapere a Reuters il Dipartimento di Stato, che a Ginevra segue la trattativa. Dichiarazione che nell’attuale incertezza dei lavori diplomatici potrebbe far pensare che tra gli obiettivi statunitensi ci sia fare leva sul passaggio della risoluzione UNEA in cui si afferma che lo strumento giuridico control l’inquinamento da plastica “potrebbe includere approcci sia vincolanti che volontari”. Volontari per alcuni, vincolanti solo per chi lo sceglie. Sperando poi – viste le dichiarazioni non nettissime della commissaria Roswall – che l’Europa non si allinei su questa traiettoria disfattista.

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Foto: Kiara Worth – IISD

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Gli altri lobbisti

Se dunque Donald Trump si è scelto il ruolo di lobbista in chief per le industrie petrolchimiche, non è certamente il solo a lavorare per loro. Dalla prima sessione di lavori a Punta del Este, Uruguay, nel 2022, fino a quella in Svizzera, l’unica certezza è stato l’aumento del numero di lobbysti accreditati a partecipare ai lavori. Un’analisi del CIEL (Center for International Environmental Law) ha fatto emergere che già a Nairobi (INC-3) i lobbisti erano oltre 140, il 36% in più di Parigi (INC-2). A Ottawa sono stati quasi 200. A Busan, INC‑5, i lobbisti erano 221. A Ginevra sono 234. Ed è un dato di minima, visto che altri si saranno accreditati – come è successo ad esempio alle COP sul clima – con affiliazioni diverse.

Secondo le ultime analisi di CIEL, nel Palazzo delle Nazioni di Ginevra i lobbisti dell’industria chimica e dei combustibili fossili superano le delegazioni diplomatiche di tutti i 27 Paesi UE messi insieme (233). Superano 4 a 1 la Scientists’ Coalition for an Effective Plastic Treaty (60) e sette a uno il Forum internazionale dei popoli indigeni (36). Spesso poi – come abbiamo denunciato con la campagna Clean the Cop – i lobbisti sono accreditati dai governi nazionali: “Diciannove lobbisti dei combustibili fossili e delle industrie chimiche si sono assicurati posti nelle delegazioni nazionali di Egitto (6), Kazakistan (4), Cina (3), Iran (3), Cile (2) e Repubblica Dominicana (1)”, fa sapere CIEL.

E i numeri non dicono tutto. Il Center for International Environmental Law ha segnalato anche molteplici denunce su intimidazioni, interferenze verso scienziati indipendenti e pressioni alle delegazioni nazionali affinché sostituiscano esperti tecnici con rappresentanti pro‑industria. “Coinvolgere le stesse aziende che traggono profitto dai danni della plastica nella definizione del percorso da seguire garantisce una cosa sola: un trattato che protegge i loro profitti, non il pubblico o il pianeta”, ha detto Ximena Banegas, Campaigner CIEL per le materie plastiche e i prodotti petrolchimici. I lobbisti,, infatti – come abbiamo visto in Azerbaijan con Italgas – fanno i lobbisti anche quando sul tavolo ci sono interessi superiori a quelli delle imprese per cui lavorano.

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