Misurare la circolarità per rendere credibile la sostenibilità. È stato questo, in poche parole, il messaggio al centro della tavola rotonda “Il metro della circolarità. Strumenti, standard e certificazioni”, curata da Accredia nel corso di Intelligenza Circolare, l’evento internazionale organizzato a Roma da ISIA Roma Design e dal magazine EconomiaCircolare.com, per raccontare come l’eco-innovazione stia trasformando modelli produttivi, filiere e abitudini di consumo, con il patrocinio della stessa Accredia, l’ente unico italiano di accreditamento che in Italia vigila sulla competenza e l’imparzialità degli organismi di certificazione.
“Oggi le aziende con un sistema di gestione per l’ambiente tendono a dimostrare il proprio impegno con delle politiche per la qualità, degli obiettivi di sviluppo e degli obiettivi ambientali anche attraverso il ricorso alla certificazione ambientale per dimostrare il proprio impegno e rafforzare la propria reputazione: è un mondo in forte sviluppo”, ha fatto notare Daniele D’Amino, referente Ambiente ed Economia Circolare del dipartimento Certificazione e Ispezione Accredia nel suo intervento. Gli strumenti di accreditamento e le certificazioni accreditate connesse all’economia circolare, dai sistemi di gestione ambientale ISO 14001 alle certificazioni di prodotto richiamate anche nei Criteri Ambientali Minimi (CAM) obbligatori per gli affidamenti negli appalti pubblici, sono infatti essenziali per tracciare i materiali, valorizzare i sottoprodotti e favorire la simbiosi industriale.
Tra gli altri partecipanti alla tavola rotonda Sergio Saporetti, della Direzione generale Sostenibilità dei prodotti e dei consumi del MASE, Erika Francescon, consulente di sostenibilità e co-fondatrice di Sustain Me, Elena Trapè di Confindustria e Natalia Gil Lopez, della CNA. Il fil rouge che ha collegato gli interventi è stato il concetto misurazione e certificazione della sostenibilità come strumento di trasparenza, competitività e contrasto al greenwashing, osservando come le aziende si muovono in questa direzione, senza tralasciare gli ostacoli normativi e burocratici.
Accredia: come funziona il sistema di accredito in Italia
Accredia ha sicuramente un osservatorio speciale sul tema: “Siamo l’ente unico di accreditamento in Italia: la nostra nascita si deve al Regolamento europeo 765/2008, che prevede per ogni Stato membro un solo ente di accreditamento, non in concorrenza con gli altri, incaricato di garantire la correttezza e la competenza delle valutazioni di conformità”, ha spiegato D’Amino. “In pratica, Accredia è l’autorità nazionale che supervisiona gli organismi di certificazione, ossia quegli enti che rilasciano le valutazioni di conformità, comunemente note come certificati, anche se considerata la norma di accreditamento ISO17029 Verifica e Validazione, il termine certificato è stato sostituito con opinione di verifica”.
Accredia svolge le verifiche, solitamente annuali, presso la sede degli organismi di certificazione, dove analizza la documentazione e le procedure. Nel caso delle verifiche in accompagnamento – in inglese witness assessment – il personale di Accredia va sul campo insieme all’organismo accreditato (CAB) per osservare direttamente come il personale dell’ente di certificazione svolge l’attività di verifica presso le aziende. Uno dei principali ambiti riguarda i sistemi di gestione, accreditati secondo la norma ISO/IEC 17021. Si tratta di verifiche che riguardano l’intera organizzazione aziendale e comprendono, ad esempio, i sistemi di gestione ambientale.
Una crescita costante delle certificazioni tra le aziende
Si tratta di norme che rappresentano uno standard maturo e ampiamente diffuso, come dimostrano i numeri: “Con l’accelerazione data dal Green Deal negli ultimi cinque anni – ha fatto notare D’Amino – in Italia contiamo circa 180.000 siti certificati per i sistemi di gestione della qualità e quasi 50.000 per i sistemi di gestione ambientale. Un dato interessante, se pensiamo che dieci anni fa il rapporto era di nove certificazioni per la qualità contro una per l’ambiente. Oggi siamo arrivati a un equilibrio di circa uno a tre o uno a quattro, segno di una crescita significativa della cultura ambientale nel mondo produttivo”.
Tutte queste aziende, dotate di un sistema di gestione ambientale, tendono a dimostrare con strumenti scientifici solidi e garanzie oggettive quanto dichiarano sul proprio impegno attraverso politiche per la qualità, obiettivi di sviluppo sostenibile e obiettivi ambientali definiti in base ai propri aspetti e impatti specifici. Sono censite nelle banche dati di Accredia e, da poco, anche nella banca dati mondiale degli enti di accreditamento, IAF CertSearch, che consente di visualizzare le certificazioni emesse a livello globale.
Cosa bisogna migliorare secondo le aziende nel sistema di accredito
“Queste certificazioni non devono perciò essere considerate come un mero adempimento normativo, ma come strumenti abilitanti che permettono alle imprese di misurare e migliorare le proprie performance, oltre che di comunicarle in modo trasparente e verificabile”, ha commentato Elena Trapè presentando alcuni dati contenuti nel secondo Rapporto sull’Economia Circolare di Confindustria che confermano quanto la circolarità sia ormai strutturale nei modelli di business italiani.
Un tema sul quale si sta muovendo – gradualmente – anche il cuore produttivo dell’Italia, fatto di piccole e medie imprese, le cui dimensioni ridotte possono a volte rendere più complicato adeguarsi rapidamente agli obblighi normativi, o non hanno la forza economica per modificare i processi produttivi: “Devo dire che, nonostante le complessità, questo sistema negli ultimi anni ha compiuto passi avanti sul fronte della sostenibilità. Tuttavia, è chiaro che oggi le imprese devono confrontarsi sempre di più con una legislazione molto articolata”, ha riconosciuto Natalia Gil Lopez, della Confederazione nazionale dell’artigianato e della piccola e media impresa (CNA), che rappresenta questa galassia.
Accanto alle considerazioni ambientali, infatti, c’è la necessità di contenere i costi dell’energia, delle materie prime e della gestione dei rifiuti. Inoltre, le imprese che operano nelle filiere guidate da grandi gruppi, sono sottoposte a obblighi più stringenti: “Per le imprese più piccole e meno strutturate, infatti, gli strumenti di misurazione e certificazione restano ancora difficili da gestire. Nei numerosi confronti avuti in questi anni con il Ministero e nel dialogo costante con Accredia, di cui siamo soci – ha spiegato Gil Lopez – sollecitiamo che questi strumenti diventino sempre più adatti alle caratteristiche delle piccole imprese, anche attraverso indicatori a misura di pmi”.
Il consulente di certificazione: un ruolo essenziale
Difficoltà che mettono in luce l’importanza, in questo settore, del ruolo della consulenza per accompagnare le aziende in un percorso in cui è necessario muoversi dentro un quadro normativo complicato da gestire. È il lavoro che svolge la società di consulenza SustainMe hub, come ha spiegato Erika Francescon, co-fondatrice della società insieme a Nadia Foggiato, invitata alla tavola rotonda: “Effettivamente si tratta di un sistema complesso”, ha spiegato. “Recentemente la ISO si è espressa ufficialmente sul tema dell’economia circolare, dando vita alla nuova famiglia ISO 59000, composta da sei norme, nuove anche nella numerazione, poiché esulano dalla serie 14000 dedicata all’ambiente”.
Secondo Francescon, per le aziende è importante capire che l’economia circolare non può essere ridotta a una semplice certificazione, ma si tratta di un sistema economico vero e proprio, per cui l’approccio deve essere di sistema: dietro un prodotto c’è una filiera, dietro un servizio un insieme di processi. “Passando attraverso tutti i processi aziendali – ha spiegato la co-fondatrice di SustainMe hub – l’impresa deve essere in grado di governare la circolarità in modo sistemico. Il linguaggio di riferimento è quello dei sistemi di gestione, che devono essere pervasivi in ogni ruolo dell’organigramma. Fondamentale, inoltre, è la formazione, per far conoscere e applicare concretamente gli strumenti a disposizione”.
Questi strumenti sono, ad esempio, il LCA (Life Cycle Assessment) e la EPD (Environmental Product Declaration) – essenziali per analizzare l’intero ciclo di vita dei prodotti – e tecnologie come digital twin ambientali, IoT e blockchain, per tracciare dati e garantire l’immutabilità delle informazioni. Al cui vertice della strategia, c’è però la progettazione di un oggetto “perché come sottolinea l’UE nel Circular Economy Action Plan, l’80% dell’impatto ambientale di un prodotto è determinato in fase di progettazione”. Del resto, l’importanza crescente della progettazione ecosostenibile di un prodotto è attestata anche a livello di certificazione.
Criteri Ambientali Minimi e certificazione di prodotto
Con l’utilizzo crescente dei Criteri Ambientali Minimi (CAM), all’interno del Green Public Procurement (GPP, ovvero gli appalti pubblici verdi della pubblica amministrazione), il cui ruolo pionieristico per orientare la domanda verso prodotti e servizi sostenibili è stato sottolineato da Sergio Saporetti, del ministero dell’Ambiente e Sicurezza energetica, la “certificazione assume un valore tecnico e giuridico decisivo”, ha spiegato il funzionario del ministero: “La difficoltà principale in sede di GPP resta definire e dimostrare cosa è veramente green, e le certificazioni sono lo strumento principale per garantire la veridicità delle dichiarazioni ambientali”.
Perciò, in molti ambiti in cui sono presenti i CAM – strumenti che fissano i requisiti ambientali obbligatori per orientare la domanda pubblica verso prodotti, servizi e cantieri sostenibili – come l’edilizia o le infrastrutture stradali, stanno emergendo con forza le certificazioni di prodotto: “In questo caso non si certifica più il sistema di gestione di un’azienda, ma il singolo prodotto realizzato dall’impresa. Il punto è capire per che cosa quel prodotto viene certificato, ovvero quale caratteristica o prestazione ambientale viene verificata e garantita”, ha fatto notare D’Amino di Accredia.
Tra gli strumenti previsti dai CAM c’è, per esempio, la EPD, ovvero la dichiarazione ambientale di prodotto: “In questo caso non si rilascia più un certificato, ma un documento chiamato opinione di verifica. È importante distinguere le due cose: il certificato ha una scadenza temporale, mentre l’opinione di verifica resta valida finché le informazioni contenute sono attuali. In questo modo è data la possibilità all’azienda di dimostrare la conformità ai requisiti richiesti, ad esempio nelle gare d’appalto, finché i dati restano aggiornati”, ha spiegato nel dettaglio D’Amino.
Le certificazioni di prodotto riguardano, per esempio, la percentuale di materiale riciclato o di sottoprodotto presente in un prodotto finale. “Il valore di questi strumenti è che permettono ai materiali di scarto o ai rifiuti di rientrare nei cicli produttivi: non vengono più considerati scarti da smaltire, ma nuove materie prime, sia attraverso simbiosi industriali tra imprese, sia come sottoprodotti interni generati e riutilizzati all’interno della stessa azienda”, ha concluso il funzionario di Accredia. Si tratta di una materia in costante evoluzione e crescita: nel caso dei prodotti si contano circa venti schemi di accreditamento e qualche migliaio di prodotti certificati. Il futuro dell’economia circolare, dunque, passa anche da qui.
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