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giovedì, Dicembre 26, 2024

Come riutilizzare gli scarti dei kiwi: dalle bucce alla peluria, ecco come non buttare più nulla

È un'eccellenza italiana di cui il nostro Paese riesce a valorizzare persino la fastidiosa peluria. Sono tante le qualità di questo particolare frutto: negli ultimi anni si sono susseguiti una serie di studi scientifici che cercano di ridare valore a quegli scarti che sono ricchi di componenti bioattive

Letizia Palmisano
Letizia Palmisanohttps://www.letiziapalmisano.it/
Giornalista ambientale 2.0, spazia dal giornalismo alla consulenza nella comunicazione social. Vincitrice nel 2018 ai Macchianera Internet Awards del Premio Speciale ENEL per l'impegno nella divulgazione dei temi legati all’economia circolare. Co-ideatrice, con Pressplay e Triboo-GreenStyle del premio Top Green Influencer. Co-fondatrice della FIMA, è nel comitato del Green Drop Award, premio collaterale della Mostra del cinema di Venezia. Moderatrice e speaker in molteplici eventi, svolge, inoltre, attività di formazione sulle materie legate al web 2.0 e sulla comunicazione ambientale.

I prodotti agricoli rappresentano la base della nostra alimentazione, ma ciò che spesso non consideriamo è che consumiamo solo una minima parte della pianta. Pensiamo, ad esempio, al rapporto tra i chicchi di caffè e le piante che li producono o alle arance che sono prodotte solo per estrarne il succo.

Come vi abbiamo raccontato, oggi esistono diverse filiere che cercano di utilizzare al massimo possibile ciò che viene considerato uno scarto e che, come tale, finisce in discarica o comunque viene eliminato salvo, talvolta, essere recuperato nelle filiere del compostaggio o usato come biomassa.

Proseguiamo quel racconto approfondendo alcuni esempi di buone pratiche legate agli scarti dei kiwi.

Questo frutto, una volta alloctono, oggi troneggia nei mercati e nei supermarket italiani: pensate che l’Italia, con oltre 400 mila tonnellate annue, è prima nella produzione europea dei kiwi – con il Lazio che è la regione “regina” della coltivazione di questo frutto- e, al mondo, risulta seconda solo alla Cina – paese dal quale ebbe origine circa 700 anni fa- e prima anche della Nuova Zelanda dalla quale ha tratto il suo nome (ispirato al noto uccello omonimo).

Quel che forse non tutti sanno è che tale frutto è, in realtà, una bacca e le due varietà diffuse che acquistiamo sono quella verde e la gialla-gold. Colto in autunno, continuiamo a godere del suo sapore per molti mesi grazie ai processi di conservazione.

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Quali sono gli usi più comuni del kiwi in Italia

A fronte di grandi volumi di produzione, una parte di essi viene esportata sui mercati esteri mentre una gran parte viene consumata o lavorata direttamente in italia.

Ricchi di acqua nonché fonte di antiossidanti, fibre e potassio, i kiwi sono spesso inseriti in diverse diete per sfruttare le loro incredibile proprietà. Oltre che per il consumo diretto, tali frutti sono spesso usati come ingredienti per dolci, confetture, succhi, vini, gelati o come ingrediente di biocosmetici, ma non solo: le proprietà naturali di questo prodotto vengono usate anche dalle industrie farmaceutiche e nutraceutiche.

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Quali sono i principali scarti di lavorazione del kiwi

Nelle filiere industriali di lavorazione del kiwi gli scarti principali sono costituiti dalle foglie, dagli steli, dai fusti e dai fiori nonchè dalla peluria, dalle bucce, dai semi ma anche dalla polpa e dai frutti ritenuti non commercializzabili, a volte, per questioni meramente estetiche.

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L’economia circolare delle componenti bioattive del kiwi

Negli ultimi anni si sono susseguiti una serie di studi scientifici che cercano di ridare valore a quegli scarti agricoli che sono ricchi di componenti bioattive e che potrebbero quindi essere utilizzate – invece di essere magari gettate in discarica – nella filiera alimentare, in quella della cosmetica e nel comparto farmaceutico. Su questo argomento si focalizza la pubblicazione Valorization of Kiwi by-Products for the Recovery of Bioactive Compounds: Circular Economy Model (Novembre 2020, Proceedings) condotta dai ricercatori F. Chamorro, M. Carpena, B. Nuñez-Estevez, M. A. Prieto e J. Simal-Gandara.

Secondo quanto sottolineato dallo studio, in particolare, le bucce possono essere una buona fonte di composti fenolici (PC). Per ciò che concerne i semi, essi sono ricchi di acidi grassi insaturi – principalmente acido linoleico – mentre la polpa è ricca di vari nutrienti tra i quali si annoverano vitamine, minerali, carboidrati, alcuni acidi grassi e carotenoidi. Spicca l’alto contenuto di vitamina C oltre agli alti livelli di vitamina E, fibre, potassio e acido folico e la presenza di pigmenti, carotenoidi, clorofille e antociani.

Ai diversi componenti bioattivi elencati si riconoscono proprietà antiossidanti, antinfiammatorie e antimicrobiche.

Secondo l’articolo scientifico i residui derivanti dalla lavorazione industriale di tale particolare bacca potrebbero essere recuperati e quindi utilizzati per la realizzazione di prodotti nutraceutici, cosmetici o farmacologici mentre il fusto legnoso potrebbe essere impiegato per la produzione di bioetanolo.

Tutto ciò comporterebbe una riduzione degli sprechi dal punto di vista ambientale, una valorizzazione economica di ciò che invece solitamente finisce in discarica nella piena applicazione dei principi dell’economia circolare.

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Come riutilizzare la peluria dei kiwi

Quel che forse non tutti sanno è che in Italia esiste una filiera virtuosa di recupero degli scarti e di lavorazione di questo particolare frutto.

Tra i processi di lavorazione che spesso subiscono i kiwi prima di arrivare sui banconi di frutta e verdura, specie per la grande distribuzione, vi è la rimozione della caratteristica peluria che spesso infastidisce gli acquirenti al tatto e, pertanto, diviene materiale di scarto.

La cartiera Favini, quindi, si è attivata per recuperare tale residuo e utilizzarlo nella produzione del “Crush Kiwi”, una carta ecologica ottenuta impiegando ciò che, fino a pochi anni fa, era solo uno scarto e che ora, invece, viene impiegata come packaging o per diversi tipi di altri materiali cartacei.

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Come trasformare la peluria del kiwi in carta

Come spiega la stessa Favini, lo scarto del popolare frutto viene “micronizzato e aggiunto alla cellulosa e agli altri ingredienti per la produzione della carta, andando a sostituire il 15% di fibre vergini provenienti da albero. Si ottiene così una carta ecologica di alta qualità in linea con i principi dell’economia circolare”.

Tra i diversi utilizzatori di tale particolare carta esempio di economia circolare, vi è la Konobooks, giovane realtà sarda che realizza prodotti di eco-cancelleria: nella loro linea si trova anche uno speciale taccuino dal color verde pistacchio realizzato in carta kiwi.

Cosa fare con gli scarti del kiwi in casa

Questi esempi sono quelli portati avanti dalle aziende, ma ciò non toglie che ognuno di noi possa fornire il proprio contributo per dare nuova vita al più tipico degli scarti del kiwi: la buccia. Evitiamo di gettarla nell’indifferenziata, ma, al contrario, buttiamola nella compostiera domestica o nella raccolta dell’organico per far tornare il tutto – insieme agli altri residui di umido – a nuova vita sotto forma di ammendante e di concime per il terreno.

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